L’immigrazione non aumenta la criminalità

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L’immigrazione non aumenta la criminalità

 

di Federico Giusti e Emiliano Gentili

L'immigrazione è ormai un tema centrale nelle campagne elettorali, non ultime quelle svoltesi recentemente in Germania e negli Usa. La lettura del mondo nazionalistica – o “sovranista”, termine fin troppo abusato e ormai intraducibile – non reggerebbe senza la diffusione capillare della percezione di essere “sotto attacco”, di quella sorta di “sindrome dell’assediato” che oggi sembra essere così in voga.

Ma sotto attacco da parte di chi?

Da parte dei governi delle potenze estere, presentati come fautori di comportamenti scorretti e ostili, sul piano commerciale come su quello della diplomazia istituzionale; da parte delle stesse popolazioni di quei Paesi, sulle quali vengono proiettati tratti socioculturali profondamente negativi, per quanto di norma mutuati dalla percezione svilente e riprovevole che si ha di sé stessi.

Dei propri connazionali si ha una pessima opinione. Gli intervistati ostili o critici verso la presenza di immigrati nel nostro paese descrivono questi ultimi nello stesso modo in cui, in altri passaggi delle interviste, descrivono gli aspetti peggiori dei propri connazionali: furbizia, egoismo, opportunismo, scarso rispetto delle leggi e delle regole. Sugli immigrati viene proiettata la figura di quello che ci si rappresenta come “italiano medio”, figura che i nostri intervistati disprezzano. Non e? esattamente la base per considerare il patriottismo un sentimento di massa[1].

Una questione di percezione, una questione di pregiudizio

Fondamentalmente l’ostilità verso l’immigrazione si struttura su due paure generali e collettive: l’aumento del tasso di insicurezza e criminalità, individuato oggi da più parti come l’aspetto sociale di maggiore rilevanza e il problema fondamentale da affrontare e risolvere; l’abbassamento dei salari e l’aumento della disoccupazione fra le popolazioni autoctone, dovuto a un fattore di concorrenza a ribasso tra forza-lavoro migrante – che si accontenterebbe di condizioni d’impiego peggiori – e italiana. Per quanto tali paure siano diffuse al punto da essere giudicate incontrovertibili da larghe fasce della popolazione, in realtà si tratterebbe di puri e semplici pregiudizi. Vi è una evidente contraddizione tra la realtà percepita e costruita fittiziamente e quella scaturita da dati statistici e studi scientifici. Tuttavia, per far crescere la sfiducia collettiva verso gli approcci analitici seri e demistificanti vengono scatenate campagne mediatiche ad hoc e, alla fine, le ricerche accademiche dedicate alla questione finiscono per essere considerate come strumenti utili soltanto ad imporre, in maniera autoritaria letture e posizioni manipolative, a un popolo che, per di più, si supporrebbe privo della capacità di ragionare autonomamente.

Alcuni lavori recenti hanno cercato di esaminare la persistenza della percezione diffusa che l’immigrazione peggiori i problemi della criminalità, a fronte dell’evidenza di effetti nulli o limitati dell’immigrazione sulla criminalità. Una possibile risposta riguarda il ruolo dei media (possibilmente distorti) nei dibattiti su immigrazione e criminalità. Ad esempio, Couttenier et al. (2023) studiano il periodo precedente all’approvazione del referendum pubblico svizzero del 2009 che vietava la costruzione di nuovi minareti sulle moschee (…) Essi mostrano una grande distorsione al rialzo nella cronaca dei media sulla criminalità degli immigrati durante il periodo precedente al referendum (…). Inoltre, i timori sugli immigrati e sulla criminalità sono aumentati più bruscamente nei comuni con un numero maggiore di stazioni radio locali pro capite, suggerendo la possibilità che i media concorrenti stiano amplificando le paure del pubblico[2].

Secondo i dati di una ricerca condotta dalla polizia criminale tedesca (PKS) tra il 2018 e il 2023 sembrerebbe che,

Poiché gli stranieri tendono a vivere più spesso in aree ad alta illegalità, si crea una correlazione statistica tra la loro presenza e i tassi di criminalità locali. Secondo l’Ifo [ifo Institute, istituto di ricerca liberale e conservatore, https://www.ifo.de/en], le analisi condotte negano che un aumento della quota di immigrati porti a un aumento della criminalità [orig. in grass.]. (…) l’Istituto mette in guardia contro le errate percezioni sulla migrazione, spesso alimentate «da una rappresentazione mediatica distorta e da fattori psicologici e socioculturali», suggerendo di incentivare una maggiore comprensione del ruolo degli immigrati nella società per sviluppare politiche efficaci e promuoverne l’integrazione[3].

Un altro approccio sostiene che la percezione di un aumento della criminalità dovuto ai migranti possa essere causata da «un fenomeno di “sostituzione” nei mercati locali della criminalità, in cui gli immigrati sostituiscono i residenti locali in alcune attività illegali senza aumentare il volume complessivo di crimini»[4]. Insomma, oltre a rappresentare un esercito industriale di riserva i migranti sarebbero anche la manovalanza a basso costo della criminalità locale.

Inoltre potrebbe verificarsi un’associazione più o meno spontanea tra il livello d’istruzione dei migranti – mediamente più basso di quello dei nativi – e la propensione a delinquere: «nel 2000, [in Italia] il 65% degli immigrati aveva tra i 18 e i 39 anni, il 54% erano maschi e l'85% di loro non aveva un'istruzione (riconosciuta)»[5]. Tuttavia, nemmeno il livello culturale di un individuo migrante andrebbe dato per scontato: spesso siamo indotti a giudicare “poco colta” una persona quando svolge un lavoro umile e non ricopre un ruolo di valore nella società, ma di norma «gli immigrati sono obbligati alla scelta di posti di lavoro al di sotto del loro livello di competenza a causa di barriere linguistiche o legali»[6].

Urge infine ricordare che, nonostante le stesse analisi delle forze di polizia confutino l’arbitraria associazione fra tasso di migrazione e tasso di criminalità, alcuni fattori come lo status legale (mancanza del permesso di soggiorno) possono comunque contribuire a una certa sovra-rappresentazione degli immigrati nelle statistiche criminali[7]. Del resto, in Italia nel 2007 circa i due terzi dei migranti incarcerati non aveva ricevuto una condanna definitiva, mentre gli italiani nelle stesse condizioni erano solo un terzo del totale[8].

La criminalità dei migranti

Il tasso di criminalità sembra aumentare in presenza di maggiori difficoltà di accesso dei migranti a un lavoro stabile, a un salario dignitoso e sindacalmente tutelato, e perfino all’erogazione di servizi:

gli immigrati hanno maggiori probabilità di commettere crimini se si trovano ad affrontare prospettive salariali o occupazionali peggiori di quanto le loro caratteristiche demografiche farebbero prevedere, a causa della discriminazione nel mercato del lavoro, del declassamento delle competenze o dello status illegale. (…) Analizzando le province italiane per il periodo 1990-2003, Bianchi, Buonanno e Pinotti (2012) mostrano che (…) i migranti regolari e irregolari hanno opportunità molto diverse nel mercato del lavoro, il che a sua volta inciderebbe sul costo dell’opportunità di commettere reati[9].

«Andersen, Dustmann e Landersø (2019) hanno scoperto che i tagli ai sussidi per i rifugiati in Danimarca hanno aumentato il coinvolgimento dei rifugiati nella criminalità», mentre «la recidiva di rumeni e bulgari che vivono in Italia in calo di oltre il 50% rispetto alla recidiva di altri detenuti graziati dopo l’allargamento [dell’Ue]»[10] (qualcuno ha più sentito parlar male dei romeni?).

Baker (2015) rileva che l’Immigration Reform and Control Act (IRCA) statunitense del 1986 – un’amnistia generalizzata per gli immigrati irregolari – ha causato un forte calo dei reati contro il patrimonio nelle contee relativamente più colpite da questa politica. Allo stesso modo, la fine del periodo di amnistia dopo l’approvazione della legislazione del 1986 ha coinciso con un forte aumento del numero di arresti per crimini motivati economicamente (Freedman, Owens e Bohn 2018)[11].

Effettivamente, nuove leggi che facilitino la concessione della cittadinanza aiuterebbero a ridurre i tassi di criminalità. È di urgenza immediata, però, che vengano ridotti i tempi per l’attesa dei documenti cui una parte dei migranti ha già diritto, al fine di garantire l’accesso al mercato del lavoro e ai servizi normalmente concessi alla cittadinanza: «Le prove del Refugee Council (2005) suggeriscono che [nel Regno Unito] solo circa il 10% dei richiedenti asilo aveva atteso meno di sei mesi per la decisione sulla loro richiesta di asilo, mentre un terzo aveva atteso più di due anni. (…) [Avrebbe senso] «consentire ai richiedenti di cercare lavoro mentre le loro domande vengono prese in considerazione»[12]. Altrettanto importanti sono le politiche di integrazione, come la diffusione di corsi di lingua gratuiti, spesso e volentieri forniti dalle organizzazioni politiche dell’estrema sinistra, da quelle sindacali agli sportelli locali di solidarietà.

Non si dimentichi, infine, la questione della casa. Negli ultimi anni, per le famiglie migranti ricongiunte le difficoltà a trovare un alloggio in affitto sono divenute un altro fattore di crisi e conflittualità anche rispetto agli autoctoni. In particolare un grosso problema sono i regolamenti che disciplinano l’accesso all’edilizia popolare: da oltre 60 anni l’Italia attende un piano casa e spesso i palazzi Erp sono in condizioni precarie e godono di scarsa manutenzione. Infine, ogni volta che le case vengono offerte a famiglie migranti (in genere quelle particolarmente numerose e con minore reddito) la destra presenta questa situazione come un privilegio per gli “stranieri” e un danno per gli autoctoni. In assenza di case e risorse stanziate (anche per la riduzione del welfare e la volontà diffusa di non adeguarlo ai reali bisogni odierni), dunque, si sviluppa una classica guerra tra poveri e se ne fa uno strumento di propaganda utile anche ad attrarre consensi ideologici ed elettorali.

Cosa abbassa i salari?

Purtroppo, gli imprenditori autoctoni (ma non solo, se si pensa ad alcuni settori egemonizzati da imprenditori migranti, come ad esempio il tessile nell’area industriale di Prato) utilizzano la presenza di forza-lavoro irregolare e senza garanzia di accesso ai diritti concessi dalla legislazione sul lavoro per abbassare i salari e le garanzie contrattuali, per ridurre alla fine non solo il costo del lavoro ma anche del prodotto. Questo, nonostante le attive resistenze delle organizzazioni sindacali più conflittuali. Ciò non impedisce, poi, di foraggiare sottobanco l’odio verso il lavoratore straniero, con l’obiettivo di impedire lo sviluppo delle lotte sindacali (con la fusione delle istanze di tutta la forza lavoro senza distinzione etnica) e garantire la permanenza di un razzismo latente con cui mantenere ed elevare ulteriormente i tassi di sfruttamento dei lavoratori tutti, italiani e stranieri. Alcuni degli stratagemmi utilizzati da questi individui senza scrupoli sono: elargire un compenso inferiore a quanto richiesto per ottenere il ricongiungimento familiare, in maniera da mantenere perennemente il lavoratore sotto ricatto; minacciare di non rinnovare il contratto di lavoro, che e? requisito necessario per il permesso di soggiorno legato a motivi di lavoro subordinato (pena il rimpatrio e il ritorno alle condizioni di mera poverta? nel proprio Paese d’origine, oppure la clandestinita?); ridurre le tutele contrattuali e sindacali, il che comporta effetti a catena sul resto del settore economico e sul mercato del lavoro in generale; rendere difficile ottenere il permesso di soggiorno, elargendo retribuzioni insufficienti e sistemando i migranti bisognosi di locazione in alloggi appositamente fatiscenti e non del tutto regolari; sottrarre, rubare i documenti per mantenere il lavoratore in azienda e/o per comprarne l’omerta? su determinati comportamenti scorretti dell’imprenditore; approfittare di particolari fragilità di vita del lavoratore per ricattarlo (figli da mantenere, genitori anziani da sostenere, gravidanze, doppio lavoro…); far firmare le dimissioni in bianco per rendere il lavoratore ricattabile (pratica, questa, diffusa soprattutto in alcuni magazzini della logistica commerciale); non assumere lavoratori di determinate etnie, magari perché più sindacalizzabili (è il caso, ad esempio, di alcune popolazioni provenienti dal Corno d’Africa)[13].

Alla luce di queste considerazioni crediamo di avere fornito strumenti utili per rovesciare il problema o, meglio, per sottrarre la questione dell’immigrazione alla strillante propaganda di guerra delle destre e focalizzare l’attenzione sullo sfruttamento in atto di tanti uomini e donne. Uno sfruttamento che ci riguarda tutti e tutte, avendo ripercussioni immediate anche sul nostro lavoro e sulla nostra vita.

[1] CLASH CITY WORKERS: Dove sono i nostri. Lavoro, classe e movimenti nell’Italia in crisi. Firenze-Lucca: la casa Usher, 2014, p. 202.

[2] Olivier Marie e Paolo Pinotti, Immigration and Crime: An International Perspective, «Journal of Economic Perspectives», Volume 38, Number 1, Winter 2024, p. 196 (trad. nostra).

[3] Franz Baraggino, Migranti e criminalità, in Germania l’Istituto conservatore Ifo nega che esista un nesso. Vale anche per l’Italia? I dati del Viminale, «il Fatto Quotidiano», 23 Febbraio 2025.

[4] Daniele Gianmarco e Paolo Pinotti, L’immigrazione aumenta davvero la criminalità?, «il Mulino», 12 Febbraio 2025.

[5] Milo Bianchi, Paolo Buonanno e Paolo Pinotti, Do immigrants cause crime?, «Journal of the European Economic Association», Dicembre 2012, pp. 1321-1322.

[6] Olivier Marie e Paolo Pinotti, op. cit., p. 187 (trad. nostra).

[7] «Secondo i dati del ministero di Piantedosi, gli stranieri denunciati/arrestati sul territorio nazionale da gennaio a settembre 2024 sono in totale 586 mila. Di questi, 41 mila sono extracomunitari regolari, mentre 98 mila sono gli irregolari, con un'incidenza rispettivamente del 7,1% e del 16,7%» (Franz Baraggino, op. cit.).

[8] Milo Bianchi, Paolo Buonanno e Paolo Pinotti, op. cit., p. 1322. Cfr. http://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_12.wp

[9] Olivier Marie e Paolo Pinotti, op. cit., pp. 187 e 190 (trad. nostra).

[10] Ivi, p. 194 (trad. nostra).

[11] Ivi, pp. 194-195 (trad. nostra).

[12] Brian Bell, Francesco Fasani e Stephen Machin, Crime and immigration: evidence from large immigrant waves, «The Review of Economics and Statistics», Ottobre 2013, pp. 1289-1290.

[13] E. Gentili, L’attacco degli imprenditori. Roma: Sensibili alle Foglie, 2025, pp. 203 e 346-347.

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