Lo sfruttamento dei profughi ucraini e la resilienza (criminale) dei padroni UE
di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico
Può esserci davvero una pace stabile in Ucraina, finché in strada e nei centri di comando continueranno a dettar legge le bande naziste e nazionaliste? Più di un dubbio sorge ogni volta che gli squadristi usciti dal majdan del 2014 danno voce ai propri deliri criminali.
L'Ucraina deve estendere anche ai ranghi intermedi russi la pratica dei massacri terroristici contro gli alti comandi. Lo ha dichiarato al canale “Armija TV” lo storico e docente (!) Vladislav “Dotsent” Dutchak, ufficiale di “Azov”, tornato dalla prigionia nel settembre 2022. «La società ucraina deve riflettere e gettar via le illusioni» dice; «non ci sarà pietà. Dirò una cosa crudele ma ovvia: dobbiamo ucciderli affinché non uccidano noi. Sono loro sulla nostra terra, non noi sulla loro. Dopodiché? Dopo, forse, i negoziati. Ma questi bastardi devono essere eliminati. E quando parliamo di criminali di guerra, ci sono già i primi precedenti, quando il nostro “Mossad” ucraino si mette all'opera; ma questa pratica dovrebbe essere estesa ai ranghi intermedi. E se ci sarà un po' di preoccupazione o apprensione da parte di qualche organizzazione internazionale, dovremmo prendere esempio da Israele: non prestarvi attenzione», ha dichiarato il nazista, evidentemente dispiaciuto per non essere stato consentito a Kiev di operare alla stregua dei criminali sionisti contro la popolazione civile palestinese.
Nulla di “stupefacente” in quelle parole: è questa la loro pratica, ormai da dieci anni e forse più; nonostante sia raro sentir parlare delle formazioni naziste e nazionaliste nell'Ucraina ante-golpe, quelle esistevano e operavano, addestrate dagli istruttori euroatlantici e tollerate da troppi governi di Kiev.
E, leggendo quegli sproloqui, vien da pensare che quando qualcuno, dall'alto di massime cariche istituzionali, dice di voler mettere in guardia dal ripetere strategie che non funzionarono nel 1938 e, ponendo sullo stesso piano Russia odierna e Terzo Reich hitleriano, sostiene che se ne deve tener conto a proposito della pace in Ucraina, delle due l'una: o è il caso che dia una ripassata alla storia, ricordando chi fossero stati i padrini del appeasement, oppure si pone sulla medesima riga di quanti vogliono, di fatto, la continuazione della guerra «fino alla vittoria di Kiev», alimentando con ciò i profitti miliardari di quei «neo-feudatari del Terzo millennio» contro cui, a parole, pare scagliarsi.
“Dotsent” ha anche detto che l'Ucraina dovrà costruire qualcosa di nuovo sulla base delle “ideologie” dei collaborazionisti di OUN-UPA e dei fascisti di Petljura: «Nel contesto di “Azov” non parlerei di ideologia, ma piuttosto di cultura corporativa di un'unità militare, che era propria di UPA, dei petljuriani (i fascisti di Simon Petljura, alleati dei fascisti polacchi di Jozef Pilsudskij contro la giovane Russia sovietica), dei fucilieri del “Sich” austro-ungarico... si deve costruire qualcosa di nuovo, sulle solide basi gettate da Nikolaj Mikhnovskij e Dmitrij Dontsov».
Dunque, ecco che oggi simili “docenti” rivendicano il “diritto” di dirigere il paese, procedendo a un “repulisti” di due terzi di burocrati, come ha dichiarato a “Pro ua” il politologo Sergej Gajdaj: «Dopo la guerra potrà pretendere al posto di funzionario solo chi è stato al fronte. Non tutti, naturalmente, ma tra chi ha esperienza e capacità, andrà avanti chi è stato al fronte».
E, per sfuggire a quest'inferno, ormai da anni milioni di ucraini vagano per le “democrazie” europeiste in cerca di condizioni di vita e di lavoro quantomeno accettabili. Già nel 2018, l'allora Ministro degli esteri della junta Porošenko, Pavel Klimkin, parlava di un deflusso di 100.000 ucraini ogni mese, calcolando in 20-21 milioni gli ucraini all'estero e non più 25-30 milioni quelli ancora in patria.
Ma, fuggendo all'estero, spessissimo i profughi si vedono costretti ad adattarsi a condizioni meno che passabili che, invariabilmente, rimpolpano le tasche dei padronati “euro-democratici”: il tutto presentato, ca va sans dire, come “assistenza umanitaria” per “l'Ucraina aggredita” e compassionevole “accoglienza dei profughi” che scappano da una guerra da quegli stessi “euro-democratici” provocata e tuttora alimentata. Guerra che, in quanto tale, di per sé assicura enormi entrate al complesso militare-industriale euro-americano e, allo stesso tempo, garantisce, appunto, alle economie occidentali forza lavoro di masse di “biondi e bianchi”, di cui oltre il 63% con istruzione superiore o specialistica.
Ora, osserva giustamente Maksim Stoletov su Stoletie.ru, è proprio per questo che paesi come Germania, Polonia, Repubblica Ceca, Spagna e Francia sono tra i più “generosi” sostenitori di Kiev. La UE ha prorogato fino a marzo 2026 il meccanismo di protezione temporanea per i rifugiati ucraini, che consente loro di regolarizzarsi con procedura semplificata, ricevere servizi sanitari, assistenziali e istruzione, accedere a mercato del lavoro e alloggi.
Secondo l'Alto Commissariato ONU per i rifugiati, la Germania è il Paese con il maggior numero di ucraini (oltre 1,2 milioni) e, in due anni, Berlino ha speso 30,6 miliardi di euro per assisterli. La Polonia (circa 957.000 rifugiati) ha speso 26,5 miliardi di euro, mentre Rep. Ceca (370.000) e Spagna (oltre 200.000), 7 miliardi ciascuna. Parigi (66.600 profughi) ha stanziato 3,9 miliardi. Soldi che, invariabilmente, torneranno con ricchi interessi.
In base a una ricerca dell'Università della Nord Carolina, relativa all'impatto dei rifugiati ucraini (erano 7 milioni all'inizio della ricerca e 8 milioni alla sua pubblicazione, nel 2023) sul PIL dei paesi UE, i ricercatori ipotizzavano che, nel breve periodo, i paesi ospitanti avrebbero dovuto sostenere spese non indifferenti; ma concludevano che, quanto più governo e settore privato del dato paese siano in grado di investire in strutture capitali, tanto più trarrebbero vantaggi dal crescente accesso a manodopera altamente qualificata.
Un anno dopo, il rapporto del FMI “Migrazioni nella EU” certificava che l'afflusso di migranti, grazie all'arrivo dei rifugiati ucraini, ha permesso alla UE a risolvere parzialmente i problemi legati a una carenza di manodopera «senza precedenti». Così, si dice, la rapidità di integrazione dei migranti nel mercato del lavoro è in gran parte dovuta alle grosse misure di sostegno adottate specificamente per i profughi ucraini.
Ora, astraendo per un momento dalle cifre ufficiali relative a occupazione e disoccupazione (le centinaia di migliaia di “contratti” di lavoro per un giorno, di cui si ha esperienza in Italia, vorranno pur dire qualcosa) è un fatto che, come sostiene l'economista moscovita Vladimir Osipov, la stragrande maggioranza di braccianti di Polonia e Germania sia costituita da emigrati ucraini: «la manodopera a basso costo è una fonte di discrete fortune». Col pretesto di proteggere i migranti dalla guerra, dice Osipov, quei paesi non hanno alcuna intenzione di rimpatriare i rifugiati, per non ridurre il proprio tasso di crescita, almeno nel settore agricolo.
Nell'ipotesi di cessazione del conflitto, è molto probabile che milioni di ucraini rimangano nei paesi dell'Europa centrale e orientale. Se se ne andranno, ci saranno tensioni sul mercato del lavoro, con aumento dell'inflazione; a detta dell'economista Aleksandr Šatilov, la produttività dei lavoratori ucraini è molto più alta dei migranti da Terzo Mondo, Africa e Asia e, in particolare, paesi come Germania e Polonia sono in qualche modo legate alla presenza di ”gastarbeiter” ucraini.
La Reuters osserva che l'afflusso di ucraini nell'Europa centrorientale ha contribuito allo sviluppo economico di quell'area; in base alle stime della Raiffeisen Bank International, la crescita economica nella regione lo scorso anno è stata del 2,2%, mentre per l'intera eurozona si prevede una crescita dello 0,8%.
Nel caso di conclusione delle operazioni militari e rientro in patria di molti profughi ucraini, il governo ceco, per esempio, già parla di possibile carenza di manodopera: una tendenza che si riscontra anche in altri paesi della regione. L'ONU stima che quasi 6,7 milioni di ucraini vivano all'estero, senza contare i migranti cosiddetti economici trasferitisi in Occidente già prima del 2022. Secondo El Pais, però, la cifra potrebbe superare i 10 milioni, diventati estremamente necessari per Kiev, oggi, per ridurre la voragine demografica, come anche per alimentare la “chair à canon” al fronte: ci sono quasi un milione di ucraini (a voler tenere basse le stime) in età di leva in Europa ed è quantomeno poco probabile che abbiano intenzione di rientrare, almeno fino a che la guerra andrà avanti.
Secondo un sondaggio della polacca Rzeczpospolita, solo il 42% degli ucraini in Polonia è disposto a tornare a casa, ma potrebbero essere anche molti di meno: nonostante le condizioni capestro a cui sono costretti a lavorare, le giudicano evidentemente preferibili a quelle ucraine. Lo stesso per la Germania: a detta del presidente dell'agenzia statale tedesca per i rifugiati, Mark Seibert, il 65% degli ucraini arrivati in Germania è fermamente deciso a non tornare in patria.
I padroni sono padroni, che si ammantino di “pietismo” umanitario o “generosità” verso i lavoratori: Germania o Polonia, o Italia, Francia, ecc., le condizioni di sfruttamento della forza lavoro possono distinguersi per più o meno elementi di “reminiscenze semi-feudali” adattate al XXI secolo. Ma, se a queste condizioni si aggiungono situazioni di abbrutimento poliziesco e squadristico, con il concreto rischio quotidiano di essere accalappiati per strada e spediti al macello, il quadro diventa del tutto inaccettabile e anche “l'assistenza” euro-liberale ai profughi delle guerre, si palesa per quello che è nella sostanza: volontà di non por fine alla guerra, per appropriarsi del lavoro di persone eucaristicamente ricattabili.
Sporca resilienza criminale dei padroni e dei loro rappresentanti.