Lo stallo ucraino e il massacro palestinese

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Lo stallo ucraino e il massacro palestinese

 

di Vincenzo Brandi - 21 MARZO 2025

 

Le speranze di assistere ad un rapido percorso di pace nel conflitto in Ucraina - in seguito al tentativo della nuova presidenza Trump di svincolarsi dalla trappola della guerra - si sono affievolite e si assiste ad un sostanziale stallo nelle trattative, che vede anche gli USA riprendere l’aiuto militare e di “intelligence” all’Ucraina.

L’unico risultato raggiunto finora da Trump è stato quello di ottenere dal governo russo un’incerta promessa di una tregua che riguardi solo gli attacchi reciproci agli impianti energetici. La Russia ha dato questo contentino a Trump, che rischiava una pessima figura, aspettando però delle solide garanzie per arrivare ad una tregua effettiva propedeutica ad un autentico percorso pace.

Le condizioni russe per arrivare alla pace sono molto ben definite, e non è chiaro se Trump – sballottato tra il desiderio di por fine alla guerra in Ucraina e le pressioni della tradizionale parte “liberal” e interventista dell’establishment statunitense – sia in grado di giungere ad un accordo definitivo.

Il governo russo mette al primo posto la sicurezza della Federazione Russa chiedendo una situazione di neutralità dell’Ucraina come esisteva prima del 2014, quando l’Ucraina era ancora integra e in pace sia con la Russia che con l’Occidente. Inoltre chiede il riconoscimento di ciò che avvenuto sul campo di battaglia, cioè l’occupazione delle regioni russofone da parte dell’esercito russo.

I Russi si sono sentiti, a ragione, presi in giro e minacciati più volte negli ultimi trent’anni: prima di tutto dall’avanzata impetuosa della NATO fino ai confini della Federazione Russa, nonostante le promesse in senso contrario fatte dagli USA a Gorbaciov e l’atteggiamento amichevole tenuto dai Russi verso l’Occidente e la NATO dopo la caduta dell’URSS.

In seguito USA e NATO, dopo vari tentativi di “rivoluzioni colorate”, hanno alla fine organizzato il colpo di stato di Euromaidan con la complicità delle forze ultranazionaliste e nazi-fasciste locali, per portare l’Ucraina (strettamente legata alla Russia da oltre 1000 anni) dalla parte della NATO. Questa è stata la “linea rossa” che ha convinto la Russia ad intervenire occupando innanzitutto la penisola strategica della Crimea che era stata sempre russa ed era stata solo amministrativamente accorpata all’Ucraina da Kruscev durante il periodo sovietico.

A questo punto la Russia era disposta a lasciare all’interno dello stato ucraino le regioni abitate da Russi che si erano ribellate al colpo di stato. Furono raggiunti gli Accordi di Minsk, con la mediazione della Merkel e della Francia, in cui i Russi si limitavano a chiedere che fossero rispettati i diritti dei russofoni e fosse stato permesso loro di parlare la loro lingua (cosa vietata dalle nuove autorità di Kiev). Ma anche in questo caso gli accordi furono disattesi, e la NATO profittò della tregua per armare fino ai denti l’Ucraina in vista di un attacco definitivo alle regioni ribelli, già pesantemente bombardate per 8 anni.

I Russi si sono poi viste respingere le loro richieste di una trattativa per un accordo di sicurezza reciproca alla fine del 2021 e poi hanno subito il sabotaggio da parte occidentale degli accordi di pace già raggiunti ad Istambul nella primavera del 2022.

Oggi politici realisti, intelligenti ed esperti come Putin e Lavrov non intendono più accontentarsi di vaghe promesse. Viceversa Zelenski e i suoi amici e collaboratori del governo di stampo nazi-fascista di Kiev intendono continuare la guerra sacrificando la vita di altri centinaia di migliaia di Ucraini, ovvero tutti quelli che non sono riusciti a scappare all’estero, o a nascondersi, per evitare la coscrizione obbligatoria, In questo sono incoraggiati dall’irresponsabile atteggiamento bellicista di molti dirigenti europei – dalla Von Der Leyen a Starmer, a Macron, a Merz, a Draghi, alla Kallas, a Calenda, e Pina Picierno – che intendono rilanciare un gigantesco piano di riarmo europeo, anche come volano “keynesiano” per il rilancio dell’economia. Tutto ciò non può che sfociare nella definitiva distruzione dell’Ucraina e nel fallimento del velleitario sogno neo-imperiale europeo.

Se le cose stanno così sul fronte ucraino, persino più drammatiche appaiono le condizioni della Palestina. Qui Trump e Netanyahu – con l’ignobile complicità dell’Europa - sono in perfetta sintonia nel tentativo di portare a termine il programma sionista di pulizia etnica dell’intera Palestina, attuato con il genocidio e persino con la fame, già iniziato nel 1948 dal governo “socialista” di Ben Gurion, e mai interrotto.

Gli alleati potenziali dei resistenti palestinesi, come gli Hezbollah e l’Iran continuamente minacciato, sono in grave difficoltà, mentre la Siria è distrutta. Russia e Cina sono lontane ed hanno altri problemi da affrontare per loro conto (anche se le voci di accordo di scambio tra Ucraina e Palestina tra Putin e Trump sono solo al livello di chiacchiere da bar e di complottismo di infimo livello).

Quello che ci lascia più stupefatti e ci fa sperare è l’enorme capacità di resistenza dei Palestinesi, che sembra abbiano ricostituito le loro formazioni armate nonostante la pressione israeliana ed il tradimento dei collaborazionisti dell’ANP, ed anche la capacità di resistenza del movimento Ansar Allah dello Yemen, uno dei paesi più poveri della Terra e pur devastato da anni di guerra.

Contiamo di tornare più diffusamente sull’argomento. Intanto possiamo concludere che le prospettive di pace e di giustizia mondiale sono incerte e che bisogna auspicare la crescita di un mondo multipolare più pacifico ed equilibrato.

Roma 21 marzo 2025, Vincenzo Brandi

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