Lo stato (al collasso) di Israele
Popolazione in fuga, economia giù del 20%: assistiamo, in diretta, all'autodistruzione di Israele?
di Francesco Corrado
La guerra apertamente ed oscenamente genocida che Israele sta conducendo a Gaza sta minando la comunità dalle fondamenta. Tralasciando l'aspetto militare che per Israele è davvero tragico, quello cui abbiamo assistito in questi 8 mesi è lo smantellamento di parte del paese sia dal punto di vista demografico che di quello economico.
Dal 7 ottobre scorso 46.000 attività sono state chiuse e l'economia è crollata del 20%. La previsione degli economisti israeliani è che per fine 2024 altre 60.000 attività chiuderanno; ma si tratta di previsioni, plausibili, vediamo i fatti.
Questi i dati riportati dal periodico israeliano Maariv e sono dati ufficiali. La crisi attraversa molti settori dell'economia. Innanzitutto colpisce le piccole attività, quelle fino a 5 dipendenti: il 77% delle attività chiuse, circa 35.000, appartengono a questa categoria. La fuga in massa di israeliani verso l'estero seguita agli attacchi del 7 ottobre ha colpito duramente il settore immobiliare. Questo ha trascinato con se l'indotto: ceramica, materiali da costruzione, mobilio, alluminio, condizionatori ecc.
Del terziario sono stati fortemente colpiti ovviamente i trasporti, ma anche la moda, l'industria del divertimento ed il turismo che è sceso in maniera drammatica.
Ricordiamo che l'autorità portuale di Eilat, unico approdo di Israele sul Mar Rosso dove arrivano le merci provenienti dall'Asia, ha dichiarato bancarotta. La chiusura dello stretto di Bab el-Mandeb da parte dello Yemen, efficace al di là degli sforzi militari dei paesi occidentali fin ora del tutto inutili, ha comportato un'immediata diminuzione dell'85% del volume di merci in arrivo. Questo già alla fine del 2023, tanto che il 7 luglio scorso Gideon Golbert, l'amministratore del porto, ha dichiarato alla Knesset che di fatto per 8 mesi il porto è stato inattivo e non ci sono ingressi economici.
L'occidente non è riuscito a trovare rimedi e quindi dopo mesi in cui lo Yemen ha mantenuta salda la volontà di sanzionare Israele per il genocidio in corso a Gaza, l'autorità portuale di Eilat ha dichiarato fallimento.
Questo va ricordato: lo Yemen con la chiusura dello stretto di Bab el-Mandeb sta sanzionando uno stato che sta commettendo una miriade di crimini di guerra, di violazioni del diritto umanitario e di trattati, il tutto per commettere un genocidio dichiarato dai propri ministri. Dopo aver visto USA e paesi del G7 sanzionare altre nazioni, sempre del sud globale, con pretesti assurdi o palesemente falsi, il che è un atto di guerra, per la prima volta assistiamo a delle sanzioni poste da un paese del sud globale a danni di uno stato, Israele, che sta commettendo un genocidio (quindi una buona ragione) e anche ai suoi alleati occidentali.
Il fatto che questo eroico paese, cioè lo Yemen, abbia sfidato l'intero occidente e che quest'ultimo non ci abbia potuto fare ancora niente, la dice lunga sull'avanzamento tecnologico che questi stati hanno avuto in termini militari.
Se il porto di Eilat è stato strangolato dal blocco dello stretto di Bab el-Mandeb, i tre porti sul mediterraneo vengono presi di mira sia dallo Yemen che dall'Iraq, complicando ulteriormente le cose.
A subire un duro colpo poi è stata l'agricoltura che si concentra soprattutto al sud del paese, cioè vicino a Gaza, e a nord, vicino ad Hezbollah, che sta portando avanti un deciso e consapevole attacco all'economia israeliana.
Le due principali zone agricole del paese quindi sono state dichiarate zone di guerra con decine di migliaia di persone che hanno dovuto lasciare le proprie abitazioni e ora sono ospitate in alberghi e campano di sussidi, oppure se ne tornano nei paesi occidentali da cui provengono. Soprattutto al nord il problema è molto serio: ci sono stime che parlano di 100.000 sfollati in totale. Il 10 luglio scorso Hassan Nasrallah, grande capo di Hezbollah, ha dichiarato che l'obiettivo di indebolire l'economia di Israele è stato raggiunto.
Israele, militarmente, è già in serissima difficoltà a Gaza e sta affrontando perdite cui non è abituato, in uomini e soprattutto mezzi; affrontare la milizia libanese potrebbe scuotere lo stato ebraico dalle fondamenta. Lo sforzo bellico sarebbe del tutto deleterio per l'economia e la getterebbe in un abisso, stando alle parole di Yoel Amir, CEO dell'Israeli information service and credit risk management firm, ente che si occupa di rischi di impresa insieme alla federazione delle camere di commercio.
Un altro aspetto è fondamentale: quello della fuga dei coloni. Sappiamo che circa 500.000 persone hanno lasciato il paese nei primi tre mesi del conflitto. I cittadini israeliani vengono da Europa, America del nord, Australia, nazioni di cui sono cittadini. Paesi in cui hanno vissuto prima di provare l'ebrezza dell'avventura coloniale. L'ebrezza di presentarsi in una terra meravigliosa, da perfetto straniero, ed ottenere, in quanto professante una religione, la casa di un palestinese che è stato previamente cacciato. Ecco questa gente fino a quando ha potuto combattere contro civili indifesi, come nelle precedenti intifada, quando i palestinesi combattevano con le pietre e poi con qualche mitra, ancora ci stava, ma ora i nemici hanno ben altre armi e lo stesso vale per i loro alleati.
La voglia di andare a beneficiare di un regime di apartheid a danno di un'altra popolazione, ridotta in schiavitù, inizia a venire meno se ti tocca combattere e morire davvero o se non puoi più vivere tranquillamente perché stavolta la guerra raggiunge anche te. Così, mentre i palestinesi in quella terra ci sono nati e cresciuti e non hanno un altro posto dove andare, i coloni ebrei occidentali si, e infatti se ne vanno. Se in oltre 500.000 hanno lasciato il paese nei primi tre mesi di guerra c'è da scommettere che i dati attuali siano ben peggiori. E queste sono pessime notizie per il governo fascista di Israele.