Loretta Napoleoni - Trump e il futuro delle relazioni con il Venezuela
di Loretta Napoleoni
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Due cerimonie di inaugurazione, una si terrà il 10 gennaio a Caracas e l’altra il 20 gennaio a Washington. Due presidenti, il primo al suo terzo contestatissimo mandato, Maduro, e l’altro al suo secondo mandato, eletto nonostante l’assalto a Capital Hill del 6 gennaio 2021, per il quale pende ancora un processo a suo carico. Due uomini controversi, accusati di essere pericolosi, dittatoriali, antidemocratici, e soprattutto in passato nemici.
Nel discorso inaugurale del 2017, Trump attaccò apertamente Maduro, lo definì un tiranno, dichiarò il suo governo illegittimo, una critica alla quale fece seguito l’imposizione di sanzioni nei confronti dell’industria petrolifera, il congelamento dei conti dei suoi fedelissimi negli Stati Uniti e nei paesi alleati e persino una taglia di 15 milioni di dollari per chi offrisse informazioni preziose per il suo arresto. La chiusura di Washington contribuì ad una crisi economica epocale alla quale fece seguito un esodo altrettanto eccezionale.
Ironia della sorte vuole che le ripercussioni si facessero sentire anche e soprattutto negli Stati Uniti, secondo le stime delle Nazioni Unite piu’ di 7,7 milioni di venezuelani hanno lasciato il paese da allora; dal 2018 al 2022 ogni anno il numero di venezuelani che sono entrati negli Stati Uniti è aumentato del 17 per cento annuo per un totale di 320 mila migranti. I venezuelani in ingresso hanno superato numericamente i messicani ed i centro americani e sono oggi il gruppo piu’ cospicuo.
Nel 2017 Trump non poteva prevedere questo boomerang. Consigliato da falchi come John Bolton, il suo national security advisor, Donald Trump ha continuato a perseguire una politica egemonica nell’America Latina, politica cara alla maggior parte delle amministrazioni americane che lo avevano preceduto.
Seguendo questo copione Washington appoggiava un altro candidato Juan Guaido. Nel 2018 l’amministrazione Trump tentò anche di rovesciare Maduro lanciando un attacco cibernetico con lo scopo di impedire il pagamento dei salari dell’amministrazione pubblica e dell’esercito e cosi’ facendo fomentare una rivolta. In quell’occasione Bolton parlò di rivoluzione. Ma il piano non funzionò per una serie di motivi, tra i quali cambiamenti geopolitici dai tempi della Guerra Fredda e la reticenza di Trump di dare alla CIA carta bianca. Il capitolo Maduro si chiuse quando nel marzo del 2019 il segretario di stato Mike Pompeo chiuse l’ambasciata americana a Caracas, ponendo fine ad un canale vitale per lo spionaggio americano nel paese.
Indagini condotte dalla rivista Wired confermano che Trump non ha mai considerato il cambiamento di regime in Venezuela come una priorità della sua amministrazione. Era Bolton che lo spingeva ad entrare in rotta di collisone con Maduro. Ma a settembre del 2019 Trump lo cacciò in malo modo, come si legge nelle sue memorie.
Da allora Trump ha prestato poca attenzione al Venezuela anche se ha continuato a condannare pubblicamente il suo regime. Tuttavia, la retorica non è politica e quella estera del secondo mandato di Trump si prevede avverrà sotto l’ombrello del pragmatismo, attitudine spesso estranea alle amministrazioni americane.
Gli analisti politici concordano che una cooperazione tra Trump e Maduro sarebbe auspicabile per portare avanti il piano di ‘deportazione di massa’ che il primo si prefigge di attuare e che rappresenta una delle priorità della sua amministrazione. Dallo scorso febbraio il Venezuela si è rifiutato di accettare il rimpatrio dei migranti dagli Stati Uniti a meno che alcune sanzioni imposte da Trump vengano rimosse.
Secondo il Washington Post il governo di Maduro è pronto a negoziare con il nuovo presidente, a riprova la sua dichiarazione, all’indomani dell’elezione di Trump, che e’ iniziata una nuova era che potrebbe essere vantaggiosa per entrambi. Maduro ha anche offerto a Trump un ramo d’ulivo liberando centinaia di prigionieri e promettendo di liberarne altri ancora.
Difficile prevedere cosa farà Trump. Sebbene sempre molto critico sul Chavismo in pubblico, in privato ha ammesso di ammirare Maduro in quanto uomo forte, sentimenti che pare nutra anche nei confronti di Putin ed Erdogan. Una lobby che potrebbe giocare un ruolo chiave nel raprochement tra i due è quella del petrolio. Le grandi società energetiche americane ne hanno tutto da guadagnare in quanto potranno tonare ad avere accesso alle immense riserve venezuelane, come avveniva prima dell’insediamento di Chaves.
Un’idea di come si muoverà Trump la avremo durante il suo discorso inaugurale, quello di Maduro, che lo precederà, con molta probabilità conterrà un’apertura verso Washington, nella speranza e’ che Trump la raccolga.