L'Urlo: anche gli intellettuali dalla parte della censura?
Nei giorni scorsi ho avuto uno scambio a distanza con il regista Davide Ferrario, il quale segnalava dalle pagine torinesi del Corriere della Sera come per ben 2 volte (il 7 e il 12 dicembre) si fosse recato al Museo del Cinema di Torino per assistere alla proiezione del film “L’Urlo” di cui sono regista, trovando tuttavia la proiezione entrambe le volte cancellata.
Già che c’era, anziché fare una breve ricerca in rete sugli attestati e gli accrediti internazionali che il mio lavoro ha ricevuto in questi 4 anni, ha pensato di dar voce ad alcuni articoli diffamatori che circolano in rete da alcune settimane.
Qui l’articolo in rete.
La mia replica inviata al Corriere della Sera è stata pubblicata questa domenica, 18 dicembre, in versione ridotta rispetto all’originale e accompagnata da ulteriori righe del Ferrario di replica alla mia replica.
Di questa pagina tuttavia non c’è traccia in rete. Il Corriere della Sera, con una scelta tutt’altro che imparziale, decide che la pubblicazione sulle sole pagine cartacee locali di Torino sia sufficiente, di modo che chi legge le pagine in rete si possa accontentare dei fendenti gratuiti del Ferrario.
Ad ogni modo riportiamo la fotografia della pagina cartacea così da poter leggere la replica del Ferrario alla mia replica.
In queste righe il Ferrario sostiene che ci sia “un indizio che un problema c’è”.
Non è un indizio, caro Ferrario. E’ ciò stesso che L’Urlo denuncia. Una censura di guerra che ormai ha coinvolto non solo festival, televisioni, stampa e soprattutto finanziatori. Ma si è insinuata addirittura all’interno delle produzioni, tra produttore e regista, al punto che i produttori subiscono pressioni per non promuovere i propri stessi lavori.
Sia detto chiaramente, non ho nessun motivo di difendere il produttore, che si assume la responsabilità della sua pusillanimità.
Mentre al Ferrario faccio notare che non si tratta di un indizio, si tratta di una problema grande come una casa e sotto gli occhi di tutti. E si chiama Censura. Ma continuo a constatare che lui preferisce vederla dal lato dei censori, chiedendo a me l’onere della prova, mentre con le mani legate fatico a far proiettare l’opera, e non prende la parte di un autore censurato, al quale ancora nella sua replica nega la sua solidarietà (al pari di tutti gli altri intellettuali de sinistra).
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Ad ogni modo, la mia replica integrale, quella che il Corriere ha giudicato troppo lunga, è riportata qui di seguito.
In data 13 dicembre leggo su queste pagine le accuse strampalate di Davide Ferrario al film “L’Urlo”. Film che non ha visto.
E allora mi chiedo: perché questa pigrizia intellettuale?
“Salta fuori che il regista non solo ha usato interviste ai migranti senza chiedere la liberatoria, ma ha anche forzato montaggio e traduzione per fargli dire il contrario di quello che intendevano” è una bestemmia anche solo pensarlo, se prima non si è visto il film.
Il dott. Ferrario avrebbe infatti facilmente trovato che i messaggi vocali e i video che vado ricevendo dai migranti-schiavi in Libia dal giugno 2018 sono stati pubblicati da Der Spiegel, Die Welt, sono ospitati da 4 aùnni ogni mese su Radio Radicale (che non è esattamente Radio Casa Pound) e persino Roberto Saviano, in un editoriale sul Corriere della Sera del 7 aprile 2021, suggeriva niente meno che all'allora Presidente del consiglio Mario Draghi di seguire il mio lavoro per avere un quadro completo sulla Libia.
Insomma, nessuno che abbia un minimo di onestà intellettuale ha mai messo in dubbio l'autenticità di questo materiale.
Materiale comunque a disposizione nell’omonimo libro “L’Urlo” regolarmente in vendita.
Poi succede un altro fatto. A un anno dalla prima proiezione pubblica del film (film che è stato proiettato nel frattempo a Roma, Istanbul, Bengasi, Palermo, Catania e Milano) durante la proiezione del 25 novembre scorso al Festival dei diritti umani a Napoli, succede che la proiezione del film venga interrotta dalla prevaricazione di alcuni esponenti italiani delle Ong dopo soli 20 minuti su 80.
Questo episodio, la cui condanna il collega Ferrario si dimentica di esprimere, rompe il muro del silenzio e scaraventa il film all'attenzione finalmente di molti, dopo che troppi direttori di festival pusillanimi nel frattempo avevano negato al film lo spazio che meriterebbe.
E dunque solo a questo punto arrivano le accuse (ad orologeria).
Dopo lo squadrismo buonista di Napoli, poteva la macchina del fango non entrare in azione?
Tuttavia la destra non si è impossessata di nulla, anzi ha declinato la mia proposta di ripresentare l’interrogazione parlamentare del luglio scorso all’allora ministro Di Maio a firma Petrocelli e Dessì, mai risposta, dove, documenti del governo di Tripoli alla mano, si certifica che i soldi mandati dall’Italia a Tripoli non vengono lì spesi alla voce migranti.
Su questo argomento stia tranquillo, il dott. Ferrario, destra, sinistra e Ong reggono la stessa candela e tutti a turno hanno già provato a censurare o strumentalizzare il film.
Nel film si esprimono rifugiati dal suolo libico che, giustamente, chiedono niente meno che un volo verso l’Europa (ho parlato di corridoi umanitari anche al Presidente del Senato solo un paio di settimane fa).
Tuttavia ci sono anche quei migranti-schiavi che anziché continuare a rimanere a Tripoli a fare da schiavi, implorano di essere liberati e portati a casa.
Non sia mai! Lesa maestà alle narrazioni fiabesche delle Ong.
E da qui nasce la ridda di accuse scomposte e strampalate.
Facilmente smentibili mostrando il film.
Già.
Ma da un lato c'è chi finge di accusare (sapendo di avere armi spuntate in mano) e dall'altra c'è chi finge di spaventarsi di fronte a queste accuse (il produttore), tanto il film nessuno lo vede e chiunque si sente autorizzato a dirne quante ne vuole. Produttore al quale non sembra vero di aver trovato la scusa per chiudere definitivamente il film nel cassetto per non compromettersi agli occhi della sinistra da ZTL cui appartiene.
Una sinistra pigra intellettualmente.
E troppo spesso in malafede.
P.S. Giovedì 22 dicembre il regista Michelangelo Severgnini presenterà l'Urlo a Roma al Piccolo Teatro di Garbatella