M. Il figlio del secolo: un elenco di "verità storiche"

La serie rispetta la "verità storica sostanziale"? Il commento dello storico Gianpasquale Santomassimo

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 M. Il figlio del secolo: un elenco di "verità storiche"



di Gianpasquale Santomassimo*


Per dovere professionale, 7 anni fa acquistai il primo massiccio volume dell’opera di Scurati su M. L’autore ormai era stato proclamato il Vate del nuovo antifascismo formato “Repubblica” e questo mi ispirava diffidenza. Comunque mi disposi a leggerlo senza pregiudizi, ma confesso che abbandonai a un terzo dell’opera, sopraffatto dalla verbosità incontenibile della scrittura. A qualcuno piacque, anche fra gli storici. Si discuteva dell’efficacia divulgativa della formula adottata. Per quanto mi riguarda detestavo i giornalisti storici che mettevano tra virgolette pensieri da loro attribuiti ai personaggi, e si può capire cosa pensassi di un autore che scriveva impersonando un personaggio storico (non uno qualsiasi, peraltro).

Ma ora il film è un prodotto del tutto diverso, di indubbia efficacia, e destinato ad avere successo. Uno stimabilissimo amico come De Luna sulla Stampa ne ha scritto come opera che rispetta la verità storica sostanziale (il fascismo fu un fenomeno molto violento, che andò al potere con la complicità del sovrano, e che M. era un opportunista).

Credo che questo prodotto – molto ben fatto - debba stimolare in realtà riflessioni più complicate.

Per quanto riguarda le “verità storiche” si può formulare un breve e molto incompleto elenco, sulla base delle prime 4 puntate.

Mussolini era proprietario di un giornale, che aveva ricevuto cospicui finanziamenti italiani e stranieri, non viveva in una stamberga tra le case di ringhiera.

Rachele Mussolini era certamente una popolana, ma non una troglodita.

La Sarfatti non era una ninfomane.

Marinetti non era un pagliaccio.

Vittorio Emanuele non era un cretino.

Giacomo Matteotti non parlava con inflessione pugliese.

I “Quadrumviri” della marcia su Roma – come suggerisce la parola stessa -erano quattro e non tre. Il regista sopprime inspiegabilmente Michele Bianchi, primo segretario del partito fascista e organizzatore di grande abilità, tra i principali artefici dell’ascesa del fascismo.

Una fantasia del tutto gratuita e non supportata da alcun accenno storiografico è immaginare che Mussolini si aspettasse dal Re un incarico prima di Facta.

Ma al di là di questi dettagli, questione più seria è come viene presentato il primo fascismo: movimento di reduci, arditi e combattenti. La verità è molto più inquietante. Il fascismo (come del resto tutti i fascismi europei) fu un movimento di giovanissimi, che non avevano fatto la guerra ma avevano vissuto nel suo mito, e ora combattevano quello che per loro era il nemico interno, in attesa di quello esterno che molti di loro avrebbero sperimentato. Certo erano guidati da arditi (ma non sempre: Bottai era giovanissimo, al punto di non poter entrare per limiti di età nel parlamento dove era stato eletto, ma comanda una delle colonne della marcia). La fedeltà delle squadre andava in primo luogo ai “ras” locali, assai più che a M., non ancora “Duce” e vissuto più che altro come un “primus inter pares”.

Il fascismo fu un fenomeno destinato a segnare un ventennio di storia europea: si può davvero attribuire il suo successo all’abilità manipolatoria di uomo solo?

Si può storicamente parlare del successo del fascismo senza parlare della crisi – non solo italiana – delle istituzioni liberali? E’ questo il grande tema che sta al fondo di tutto, e che nel film non viene neppure adombrato.

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