Media, euro e nichilismo: le ragioni della sconfitta dell'occidente - Emmanuel Todd a l'AD (II PARTE)

"In un mio libro scritto dopo la guerra in Iraq mi auguravo in un ritorno negli Stati Uniti ad una concezione nazionale ragionevole, piuttosto che al nichilismo imperiale che aveva iniziato a prendere piede. Avevo speranza. Oggi non più: per gli Stati Uniti è finita."

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Media, euro e nichilismo: le ragioni della sconfitta dell'occidente - Emmanuel Todd a l'AD (II PARTE)

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di Alessandro Bianchi


Abbiamo incontrato Emmanuel Todd nella sede romana di Fazi, l’editore che ha pubblicato la versione italiana del suo bestseller “La sconfitta dell’Occidente”. Storico, sociologo e antropologo francese di fama internazionale, ci colpisce per la disponibilità, umiltà e generosità con cui ci accoglie e con la quale ci permette di esaudire tutto il nostro fiume di domande e interessi.  

Noto per aver previsto per primo, con anni di anticipo, il collasso dell’Unione Sovietica e la crisi finanziaria del 2008, Emmanuel Todd è una preziosa fonte per “Egemonia” per comprendere meglio i tempi in cui viviamo. Vi abbiamo già pubblicato la prima parte dell’Intervista sulle ragioni che sottendono il suicidio delle classi dirigenti europee nella guerra per procura in Ucraina e nel come si potrebbe materializzare la sconfitta dell’Occidente. 


LEGGI: Emmanuel Todd a l'AntiDiplomatico: "Possiamo salvarci solo accettando la sconfitta della NATO in Ucraina"



Nella seconda, che presentiamo oggi, abbiamo affrontato nel dettaglio il concetto di nichilismo, perno del libro di Todd; in relazione, in particolare, al ruolo dell’informazione, alla perdita dei tradizionali riferimenti politici, culturali e sociali in occidente e abbiamo stimolato il Prof. Todd nella possibilità che, nel nostro continente, ci siano i sentori della nascita di qualche formazione politico-aggregativa in grado di offrire una valida alternativa al sistema fallito, fallimentare e che è stato, come brillantemente argomentato nel suo libro, sconfitto.


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INTERVISTA AL PROF. EMMANUEL TODD – SECONDA PARTE



Nel suo libro pone al centro l’analisi della società anglo-americana e giunge alla conclusione che stiamo assistendo ad una sorta di santificazione del vuoto dovuto a pulsioni distruttive, che riguardano, scrive, cose, uomini e realtà. Sottolinea, nel portare avanti questa tendenza al nichilismo, come questo dipenda molto dal fallimento della religione protestante, riprendendo e attualizzando quanto teorizzato dal grande sociologo tedesco Max Weber. Applica il concetto di nichilismo alla politica estera Usa, alla questione ucraina e adesso, in interviste recenti, anche all’azione militare israeliana. Che ruolo hanno avuto i mezzi di informazione dominanti in occidente nella diffusione del nichilismo e nella sconfitta di questa parte di mondo?

E’ una domanda a cui sento di poter rispondere con cognizione di causa perché il mondo dei media lo conosco a livello approfondito. Mio padre è stato un grande giornalista al Nouvel Observateur e anche io ho lavorato nella stampa all'inizio della mia carriera. Curavo una pagina culturale al quotidiano Le Monde. Ho potuto percepire in prima persona come sia cambiato il giornalismo e come questo abbia cessato di essere un perno della democrazia liberale e del pluralismo delle idee. Le società occidentali erano ideologicamente pluralistiche, nel senso che erano presenti all’interno ideologie concorrenti che si scontravano. Prendiamo il caso che conosco meglio, quello della Francia: c’era il cattolicesimo tradizionalista, il Partito Comunista, la socialdemocrazia, il Gollismo. In Inghilterra c’era il conservatorismo classico che si opponeva agli ideali della classe operaia. E così negli altri paesi europei. I giornalisti, in quel contesto di società, prima di essere giornalisti erano collegati a quel mondo. Ed è così che i giornalisti hanno garantito il pluralismo: c'erano giornalisti comunisti, cristiani, nazionalisti, e insieme si sfidavano come in un concerto liberale in un festival. Ma poi tutte queste ideologie si sono disintegrate. E gli individui, i giornalisti in questione, liberati dalle loro credenze a priori, sono tornati ad una visione meramente tecnica della loro professione. Il giornalismo ha smesso di sostenere il pluralismo per divenire un pilastro dell’unica ideologia oggi esistente, quella del capitale.


Cos'è rimasto della libertà di informazione dunque in occidente?

La libertà di poter dire ciò che si vuole, senza avere nulla da dire. C'è una specie di mimetizzazione della professione che amplifica lo stato generale atomizzato della società. E il potere che hanno assunto i media nella società di oggi è enorme. Viviamo un’epoca che definisco di narcisismo giornalistico. I politici sono terrorizzati dai giornalisti. Un giornale come Le Monde ha una capacità enorme nell’intimidire i politici, anche se chi scrive non ha nessuna prospettiva, non ha nessuna visione del mondo. Osservando il giornalismo qui in Italia nei giorni trascorsi nel suo paese, penso che sia lo stesso. Eppure, in passato non era così. Mi ricordo che ero a Firenze per concludere la mia tesi quando seppi del colpo di stato contro Allende in Cile. Lo lessi attraverso le pagine de l’Unità, il quotidiano del Partito Comunista italiano. Qualunque fosse l’opinione politica, non si poteva negare che fosse un ottimo giornale e che mostrava in modo autorevole un’idea di mondo diversa da quella degli altri giornali di destra, nazionalisti, socialisti presenti in Italia. Esisteva un pluralismo dell’informazione, figlio di un pluralismo ideologico che oggi non esiste. E dal momento che non c'è più nessuna ideologia, i giornalisti rappresentano solo loro stessi e quello che scrivono fondamentalmente non significa nulla.

 

Alla base del nichilismo c’è sicuramente, come Lei espone in modo veramente efficace, la distruzione dell’industria, della classe operaia. E ancora la distruzione della democrazia e dei diritti sociali in occidente. Quanto hanno pesato, per l’Europa, le scelte imposte dall’Unione Europea agli stati membri e l’imposizione di una moneta unica in tutto questo processo?

Il nichilismo è un concetto a cui sono appena arrivato nei miei studi. Sono un ricercatore, quindi anche quello che dico in quest’intervista mi permette di evolvere il mio pensiero. Nel mio libro è presente l'idea che il neoliberismo sia una delle prime espressioni del nichilismo, nel senso che alla base di quella dottrina non ci sia mai stata l’idea di riformare l’economia, ma di distruggerla. E l’idea l’ho maturata proprio nelle mie ricerche che ho svolto sul Trattato di Maastricht. Ho trascorso sette anni a scrivere un libro intitolato “L'invenzione dell'Europa”, 550 pagine in cui aveva diviso l'Europa in 483 province prendendo a riferimento come modello i dipartimenti francesi. Ho studiato religione, strutture familiari, le varie particolarità culturali, tradizioni, il sistema agrario etc prendendo a riferimento il periodo che va dal 1500 al 1970. Sono stato in grado di ricostruire la geografia politica interna di tutta Europa. In Italia ho evidenziato, per esempio, le ragioni del perché il comunismo si sia diffuso in tutta la Toscana tranne che nella provincia di Lucca e ho analizzato fenomeni similari in Svizzera, Finlandia, Germania. Quando ho visto che i francesi, i tedeschi e gli altri governi europei avevano ideato il Trattato di Maastricht e immaginato che una moneta avrebbe unificato un continente come quello, sono caduto dalla sedia e ho detto: sono pazzi! E in effetti quello che ho previsto si è realizzato completamente.


In che modo? E come questo l’ha aiutato a maturare l’idea di nichilismo per l’occidente?

Il Trattato di Maastricht e poi l’euro hanno prodotto effetti completamente diversi da quelli attesi. Oggi abbiamo un'Europa che non funziona, si sono accentuati gli squilibri e distrutti i sistemi industriali. Allora, mi sono chiesto: perché hanno avuto questa idea? Da dove nasce questa concezione così palesemente fuorviante e dall’esito palese? Da quel momento ho iniziato a riflettere molto sulle scelte dei burocrati di Bruxelles e ho introdotto il concetto di nichilismo. Perché in realtà il vero obiettivo era quello distruggere le diverse nazionalità. Vede, per rispondere alla sua domanda vorrei portare un esempio pratico. Una delle cose che mi colpisce è che ci sono atti così palesemente assurdi ideati da questi signori di Bruxelles che non ci può essere altra interpretazione se non la volontà di distruggere i vecchi schemi della convivenza sociale. Ho notato che anche qui in Italia, come in Francia, per uniformare le targhe delle macchine è stato cancellato il riferimento alle città o regioni di appartenenza. Perché? Mi chiedo e vi chiedo: perché? In Francia l'identificazione delle città di origine è così forte che le persone non hanno bisogno di vederlo scritto sulle targhe. Così come in Italia. Tanto è vero che in Francia, in molti, me incluso, hanno iniziato ad aggiungere manualmente il numero del dipartimento. Io ad esempio quello di Finisterre, in Bretagna, dove ho una casa. Ma la domanda è: perché i signori di Bruxelles lo fanno? La risposta è che tutte queste normative europee hanno l’obiettivo nichilista di favorire la scomparsa delle identità umane che hanno retto e fondato le nostre società.

 

Senza una classe operaia, partiti di massa in grado di offrire modelli alternativi possibili e una deindustrializzazione crescente ci ritroviamo immersi in una crisi che è politica, rappresentativa, economica e culturale. Dalla sua analisi emerge come gli Stati Uniti, dove si presentano due partiti identici come unica alternativa, non hanno alcuna speranza di guidare un cambiamento. Sull’Europa crede si possa fare qualcosa di pratico? Ci sono forze politiche che, secondo lei, in Europa sono in grado di combattere efficacemente questo nichilismo? Cosa pensa, ad esempio, del partito di Sahra Wagenknecht?

In realtà non ragiono più in termini di questa o quella forza politica. In passato ho cercato con tutte le mie forze di farlo, ma oggi rifletto piuttosto in termini di un possibile cambiamento ideologico generale. Su questo sono rimasto molto colpito da una formula dell'economista inglese Keynes, secondo cui, in realtà, non sono i politici ad essere al potere, sono le idee economiche a detenerlo. E attualmente viviamo in un’epoca di totale appiattimento. Avete notato che i lavoratori inglesi e i conservatori hanno le stesse idee economiche? Anzi, per essere più precisi, hanno le stesse non idee. Non pensano più nulla. Negli Stati Uniti credo che non ci sia poi così tanta differenza tra i trumpisti e i democratici nella loro concezione economica. Sono tutti gli statunitensi che sono coinvolti in un processo di decadenza intellettuale. Se penso all’Europa non sono così pessimista come per gli Stati Uniti, paese su cui ho cambiato idea più volte. Non è facile per me dire addio al mondo anglosassone. Ho studiato in Inghilterra, la mia famiglia si è rifugiata negli Stati Uniti durante la guerra. In un mio libro scritto dopo la guerra in Iraq mi auguravo in un ritorno negli Stati Uniti ad una concezione nazionale ragionevole, piuttosto che al nichilismo imperiale che aveva iniziato a prendere piede. Avevo speranza. Oggi non più: per gli Stati Uniti è finita. A chi mi chiede cosa cambierebbe con Trump o con Harris al potere rispondo: 'nulla, in ogni caso sarà orribile, poiché gli Stati Uniti disprezzano l'Europa, la sfrutta e vuole farla marcire in guerra. Chiunque vinca'.


Per l’Europa è più ottimista diceva. Perché?

Per l'Europa sono più ottimista nella mia analisi. Il problema degli Stati Uniti, e anche dell'Inghilterra, è che sono paesi la cui ascesa storica è molto recente e dura da pochissimo tempo. In Europa abbiamo dalla nostra la storia, la cultura, ci sono paesaggi, monumenti, ci sono le città. Guardatevi qui intorno in Italia. Ci sono modi di comportarsi, c'è una relazione con il tempo che nel mondo anglosassone non esiste. In questa parte del mondo occidentale, c’è ancora speranza perché qui c’è molto da ricostruire. Il partito che lei ha menzionato prima, quello della Wagenknecht, rispetto a quanto ho detto, è molto poco. Lei è brava, dice cose interessanti ma non incarna, dal mio punto di vista, il processo a cui stiamo andando incontro. In Germania ritengo che forse sarà più l’Afd a farlo in quel cambiamento che produrrà il conservatorismo popolare. Ma su questo sto ancora riflettendo molto e non ho risposte precise al momento. Quello che è certo è che l’unica cosa che conta realmente è la lotta delle idee. E’ un fenomeno generale e non credo si debba ragionare sulla singola formazione politica.


Il grande assente del suo libro è la Francia. Perché il suo paese senza soldati statunitensi e con una deterrenza nucleare non è stato in grado di rappresentare un’alternativa alla supina accettazione delle imposizioni Usa sul conflitto in Ucraina?

E’ molto interessante che menziona il tema della deterrenza, perché la Francia è il primo caso nella storia a perdere la sua indipendenza nonostante il possesso di armi nucleari. È il trionfo del globalismo. Ci siamo resi conto che non basta avere le atomiche in un mondo controllato dall’economia finanziarizzata, dove le élite sono controllate dalla NATO o dalla FED e dalla NSA. Bene, abbiamo le armi nucleari in Francia. Abbiamo sottomarini, ma sono assolutamente inutili nella fase attuale. La Francia è un Paese piccolo che è stato deindustrializzato e ha scelto la marginalizzazione. Per questo motivo non ne parlo nel mio libro. Nel mio paese si arrabbiano e un giornalista francese mi ha proprio sgridato in televisione su questo argomento. Gli ho risposto: ‘Perché parlare di un paese che non esiste?’ Macron è un personaggio psicologicamente labile. Per me è disturbato. Cambia idea in continuazione. Senza esercito, senza mezzi industriali e finanziari allo sbando, ci troviamo di fronte a un paradosso: mentre aspettiamo ancora la disintegrazione del regime di Putin, stiamo assistendo a quella francese. Direi che la Francia sta diventando un riferimento, ma in senso negativo. Siamo il primo paese ad essere imploso dopo l’inizio della guerra per procura in Ucraina.

 

Un’ultima domanda allo storico Todd. Professore se dovesse identificare un periodo del passato per descrivere ciò che viviamo oggi, quale parallelismo userebbe?

Questo è esattamente ciò che non si può fare oggi. È un'ottima domanda, ma quello che colpisce è proprio il fatto che non ci sia alcun parallelo possibile. Ho la reputazione di aver profetizzato scenari nel passato. È vero che avevo previsto la dissoluzione dell'Unione Sovietica. È vero che in un certo senso, con il mio amico Youssef Courbage, avevamo previsto la primavera araba. E poi il fallimento di Maastricht. Ma in realtà queste previsioni riguardavano paesi che non erano alla guida della scena mondiale. Oggi la crisi riguarda il mondo anglo-americano, l'Europa, i paesi più avanzati e ricchi del mondo. E non abbiamo mai visto popolazioni così ricche andare incontro ad un declino di questo tipo. Non abbiamo mai visto popolazioni così istruite farlo. E non abbiamo mai visto popolazioni così vecchie. Paralleli non sono oggi possibili.

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