Meloni da Milei: la "sovranista" senza sovranità e indipendenza
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Dall’Argentina, in compagnia del suo sodale neoliberista e servo di Washington Javier Milei, il Presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni, ha rilasciato gravi dichiarazioni sul Venezuela che rappresentano un caso emblematico di incoerenza e strumentalizzazione politica della democrazia. Non riconoscendo la vittoria di Nicolás Maduro alle elezioni del 28 luglio e definendo “presidente eletto” l’oppositore sconfitto Edmundo González Urrutia, Meloni non solo sconfessa gli organi ufficiali della Repubblica Bolivariana del Venezuela, ma si allinea palesemente alla narrativa statunitense, ignorando fatti e sovranità.
Un’agenda dettata da Washington
Non è una coincidenza che queste dichiarazioni seguano l’intervento del Segretario di Stato USA Antony Blinken, che ha riconosciuto González come presidente eletto. La posizione italiana appare dunque come un riflesso dell’allineamento di Roma e dell’Europa con Washington, una subordinazione che svilisce l’autonomia decisionale e strategica dell’Italia. Blinken, infatti, ha avanzato accuse di irregolarità senza prove solide, in un chiaro tentativo di replicare la fallimentare operazione Guaidó, volta a destabilizzare il governo venezuelano con un’opposizione fabbricata su misura per servire interessi stranieri.
Questa politica estera selettiva solleva interrogativi sulla coerenza di un governo che si propone di difendere i valori democratici. Se la trasparenza elettorale è il metro di giudizio, perché allora non viene mossa alcuna critica a Volodymyr Zelensky, il cui mandato presidenziale è scaduto a maggio e che si rifiuta di convocare nuove elezioni in Ucraina?
L'ipocrisia della difesa della democrazia
Le accuse di deficit democratico rivolte al Venezuela risultano ancora più paradossali se confrontate con la situazione in Argentina, dove il presidente Javier Milei – alleato di Meloni che condivide ideologia neoliberista e atlantista – sta cercando di escludere l’ex presidente Cristina Kirchner dalla competizione politica tramite processi giudiziari. In questo scenario, Meloni non solo evita di criticare, ma anzi rafforza l’intesa con Milei, dimostrando che il principio democratico è usato non come valore universale, ma come strumento politico per delegittimare governi non allineati.
La difesa della democrazia sembra dunque applicata a senso unico, riservata ai paesi che si discostano dagli interessi del blocco occidentale. Venezuela, Nicaragua, Cuba e altri Stati non allineati sono regolarmente oggetto di attacchi che celano intenti di controllo geopolitico sotto la maschera della tutela dei diritti e delle libertà.
Le elezioni venezuelane: fatti contro narrazioni
I risultati elettorali in Venezuela, certificati dagli organi competenti del paese, confermano la vittoria di Maduro con oltre 6 milioni di voti. Le accuse di brogli, avanzate dall’opposizione, si sono dimostrate infondate, come spesso accaduto in passato. González, descritto da Meloni e Blinken come presidente eletto, non ha fornito alcuna prova credibile di presunte irregolarità commesse per falsificare esito della contesa elettorale. Tuttavia, ciò non ha impedito a Stati Uniti e Italia di adottare una narrativa che delegittima l’esito elettorale, creando le condizioni per nuove tensioni interne e giustificando ulteriori ingerenze esterne.
Un tradimento delle relazioni storiche
Le dichiarazioni di Meloni, definite “vergognose” dal ministro degli Esteri venezuelano Yván Gil, danneggiano una relazione storica tra Italia e Venezuela. Durante il Novecento, la nazione sudamericana accolse centinaia di migliaia di migranti italiani, offrendo loro una nuova vita. È quindi particolarmente cinico che un governo italiano, guidato da una leader che si dichiara patriottica e attenta alla memoria storica, scelga di minare questo legame per compiacere Washington e Bruxelles.
La democrazia come arma politica
La vicenda evidenzia un quadro più ampio: la democrazia viene utilizzata non come ideale da perseguire, ma come arma politica per colpire governi considerati ostili al decadente ordine occidentale. Questo doppio standard mina la credibilità di Italia, Stati Uniti ed Europa, che appaiono incapaci di applicare principi universali in modo imparziale.
Se l’obiettivo è davvero la difesa della democrazia, allora l’Italia dovrebbe condannare con la stessa fermezza le derive autoritarie di governi alleati e sostenere processi elettorali trasparenti in tutto il mondo, senza pregiudizi ideologici o imposizioni esterne.
Italia subordinata e senza sovranità
Il caso del Venezuela – ovemai ve ne fosse bisogno - rappresenta un’ulteriore dimostrazione della debolezza di una politica estera italiana subordinata agli interessi altrui. La democrazia non può essere difesa a giorni alterni né ridotta a un mero strumento di pressione geopolitica. Solo adottando una posizione indipendente e rispettosa della sovranità degli Stati, l’Italia potrà aspirare a un ruolo credibile sulla scena internazionale. Meloni, invece, sembra più interessata a perpetuare logiche di interventismo e ipocrisia, in un copione che garantisce perfetta continuità con i governi precedenti. Anzi, con Meloni la politica estera italiana sul Venezuela compie un passo indietro: infatti ai tempi della farsa Guaidò, il governo Conte rifiutò di riconoscere come presidente del Venezuela l’autoproclamato burattino di Washington.
Insomma, la ‘sovranista’ Meloni ha sempre più le sembianze di Mario Draghi.
Un’agenda dettata da Washington
Non è una coincidenza che queste dichiarazioni seguano l’intervento del Segretario di Stato USA Antony Blinken, che ha riconosciuto González come presidente eletto. La posizione italiana appare dunque come un riflesso dell’allineamento di Roma e dell’Europa con Washington, una subordinazione che svilisce l’autonomia decisionale e strategica dell’Italia. Blinken, infatti, ha avanzato accuse di irregolarità senza prove solide, in un chiaro tentativo di replicare la fallimentare operazione Guaidó, volta a destabilizzare il governo venezuelano con un’opposizione fabbricata su misura per servire interessi stranieri.
Questa politica estera selettiva solleva interrogativi sulla coerenza di un governo che si propone di difendere i valori democratici. Se la trasparenza elettorale è il metro di giudizio, perché allora non viene mossa alcuna critica a Volodymyr Zelensky, il cui mandato presidenziale è scaduto a maggio e che si rifiuta di convocare nuove elezioni in Ucraina?
L'ipocrisia della difesa della democrazia
Le accuse di deficit democratico rivolte al Venezuela risultano ancora più paradossali se confrontate con la situazione in Argentina, dove il presidente Javier Milei – alleato di Meloni che condivide ideologia neoliberista e atlantista – sta cercando di escludere l’ex presidente Cristina Kirchner dalla competizione politica tramite processi giudiziari. In questo scenario, Meloni non solo evita di criticare, ma anzi rafforza l’intesa con Milei, dimostrando che il principio democratico è usato non come valore universale, ma come strumento politico per delegittimare governi non allineati.
La difesa della democrazia sembra dunque applicata a senso unico, riservata ai paesi che si discostano dagli interessi del blocco occidentale. Venezuela, Nicaragua, Cuba e altri Stati non allineati sono regolarmente oggetto di attacchi che celano intenti di controllo geopolitico sotto la maschera della tutela dei diritti e delle libertà.
Le elezioni venezuelane: fatti contro narrazioni
I risultati elettorali in Venezuela, certificati dagli organi competenti del paese, confermano la vittoria di Maduro con oltre 6 milioni di voti. Le accuse di brogli, avanzate dall’opposizione, si sono dimostrate infondate, come spesso accaduto in passato. González, descritto da Meloni e Blinken come presidente eletto, non ha fornito alcuna prova credibile di presunte irregolarità commesse per falsificare esito della contesa elettorale. Tuttavia, ciò non ha impedito a Stati Uniti e Italia di adottare una narrativa che delegittima l’esito elettorale, creando le condizioni per nuove tensioni interne e giustificando ulteriori ingerenze esterne.
Un tradimento delle relazioni storiche
Le dichiarazioni di Meloni, definite “vergognose” dal ministro degli Esteri venezuelano Yván Gil, danneggiano una relazione storica tra Italia e Venezuela. Durante il Novecento, la nazione sudamericana accolse centinaia di migliaia di migranti italiani, offrendo loro una nuova vita. È quindi particolarmente cinico che un governo italiano, guidato da una leader che si dichiara patriottica e attenta alla memoria storica, scelga di minare questo legame per compiacere Washington e Bruxelles.
La democrazia come arma politica
La vicenda evidenzia un quadro più ampio: la democrazia viene utilizzata non come ideale da perseguire, ma come arma politica per colpire governi considerati ostili al decadente ordine occidentale. Questo doppio standard mina la credibilità di Italia, Stati Uniti ed Europa, che appaiono incapaci di applicare principi universali in modo imparziale.
Se l’obiettivo è davvero la difesa della democrazia, allora l’Italia dovrebbe condannare con la stessa fermezza le derive autoritarie di governi alleati e sostenere processi elettorali trasparenti in tutto il mondo, senza pregiudizi ideologici o imposizioni esterne.
Italia subordinata e senza sovranità
Il caso del Venezuela – ovemai ve ne fosse bisogno - rappresenta un’ulteriore dimostrazione della debolezza di una politica estera italiana subordinata agli interessi altrui. La democrazia non può essere difesa a giorni alterni né ridotta a un mero strumento di pressione geopolitica. Solo adottando una posizione indipendente e rispettosa della sovranità degli Stati, l’Italia potrà aspirare a un ruolo credibile sulla scena internazionale. Meloni, invece, sembra più interessata a perpetuare logiche di interventismo e ipocrisia, in un copione che garantisce perfetta continuità con i governi precedenti. Anzi, con Meloni la politica estera italiana sul Venezuela compie un passo indietro: infatti ai tempi della farsa Guaidò, il governo Conte rifiutò di riconoscere come presidente del Venezuela l’autoproclamato burattino di Washington.
Insomma, la ‘sovranista’ Meloni ha sempre più le sembianze di Mario Draghi.