Milano, la sinistra poco comune

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Milano, la sinistra poco comune


Il Guercino

Nel periodo febbrile che precede l’apertura ufficiale della campagna elettorale, c’è un episodio che forse, più di molti altri, merita di ricevere una particolare attenzione.

Ci sono una lista di candidati al Consiglio Comunale, Milano in Comune, ed un candidato sindaco, Basilio Rizzo. La prima è composta attraverso il contributo di una pluralità di soggetti politici (ACT, Altra Europa con Tsipras, Comunisti Italiani, Costituzione Beni Comuni, Nonunodimeno, Possibile, Rifondazione Comunista, Sinistra Lavoro) che, ognuna a proprio modo, sottolinea la contraddizione di fondo esistente nella società odierna tra capitale e lavoro. Il secondo, Basilio Rizzo, che dopo 33 anni di onorato servizio in Consiglio Comunale, dei quali gli ultimi cinque trascorsi come Presidente del Consiglio Comunale sotto la Giunta Pisapia, decide di candidarsi a sindaco con questa lista.

A prima vista, nulla di strano: a Milano c’è l’unità della sinistra, la sinistra che rivendica la titolarità di battaglie fondamentali all’interno della società, in primis quella che vede contrapposta la gente comune, quella che lavora duro e onestamente, contro la cultura neoliberista del profitto a tutti i costi che, specialmente negli ultimi anni, ha ridotto questo paese ad una immensa mangiatoia fatta di furti legalizzati, connivenze a vari livelli tra imprenditoria e politica e corruzione diffusa.

Qualcosa di strano però c’è. Ed è una questione tutta interna a Rifondazione Comunista. Il 13 Aprile 2016 compare in rete un appello pubblico a sostegno della candidatura di Massimiliano Murgo nella lista Milano in Comune. E la domanda sorge subito spontanea: per quale motivo, in una lista di questo tipo, c’è bisogno di ricorrere ad un appello pubblico per proporre la candidatura di un lavoratore di estrazione operaia come Murgo, tra l’altro iscritto al Partito dal 2012?

Massimiliano Murgo entra in Marcegaglia nel 2001 e ne esce nel 2015 a seguito della decisione della dirigenza di chiudere lo stabilimento e delocalizzare la produzione a Pozzolo Formigaro, in provincia di Alessandria. Per chi si occupi un minimo di politica e conflittualità sui posti di lavoro, almeno per quanto riguarda il Nord-Italia, il nome di Murgo non può passare inosservato. Ancora prima che si respirasse aria di delocalizzazione alla Marcegaglia Buildtech di Viale Sarca a Milano, Murgo aveva già costruito dal 2002 una rete di coordinamento dei lavoratori in qualità di RSU della Fiom e, a partire dal 2010, una rete di coordinamento di tutti i lavoratori delle realtà industriali in crisi dell’hinterland Milanese, di cui la Maflow è l’esempio più celebre. Il valore aggiunto di questa rete, la rete degli Auto-Convocati, è stato ed è quello di mettere in rilievo il carattere prevalentemente speculativo dell’ondata di dismissioni che ha colpito il comparto industriale nell’area metropolitana milanese. Il punto su cui Murgo e la rete degli Autoconvocati hanno sempre battuto è stato quello di sottolineare come il declino industriale dell’area milanese andasse di pari passo con l’aumento del valore dei terreni su cui sorgevano gli impianti produttivi. E’ stata la dinamica che ha caratterizzato l’acquisizione dei terreni su cui è sorto Expo, di proprietà del gruppo Cabassi, e la gran parte delle aree limitrofe. Non è un caso, ad esempio, che la Marcegaglia Buildtech in cui Murgo lavorava prima di essere messo in cassa integrazione come tanti altri suoi colleghi, sorga al centro del distretto Bicocca Village, nuovo polo residenziale e commerciale della zona Nord di Milano.

Questo è un piccolo riassunto dell’attività politica svolta da Murgo sul territorio che, solo per ragioni di spazio, non può essere approfondita.

Quello che qui ci si domanda è per quale motivo una figura come la sua, che sintetizza genuinamente non soltanto la condizione misera di chi lavora onestamente in questo paese, ma anche le enormi contraddizioni che caratterizzano una città come Milano, in cui i sindaci vengono eletti nei salotti prima che dai cittadini, non sia stata neanche presa in considerazione, al punto da costringere a stilare un appello pubblico, peraltro sottoscritto da fior fiore di rappresentanti di realtà lavorative di prim’ordine. Per citarne alcuni: i lavoratori Feltrinelli, che hanno fatto una cosa impensabile in quel gruppo, ovvero scioperare, i lavoratori di Almaviva, leader nel settore dei Call Center, e quelli della Alstom Power di Sesto San Giovanni, sui cui grava la scure di un piano industriale che minaccia di tagliare 6500 posti di lavoro.

Al di là della questione che sembra essere tutta interna a Rifondazione, e che a noi non interessa nel merito, la domanda che sorge spontanea è a quale fetta di elettorato intenda rivolgersi “Milano in Comune”. Non è l’esclusione della persona in sé, ma di quello che rappresenta che fa sorgere legittimi dubbi sulla efficacia della proposta politica in una città che ha un bisogno disperato di alternativa. Che modello di sinistra rappresenta una lista che non riesce ad esprimere una candidatura autenticamente di sinistra nella città del “business as usual”?

In occasione della presentazione della sua candidatura Basilio Rizzo aveva dichiarato che lui sarebbe stato “alternativo ai manager degli affari”. Sembra che abbia perso una buona occasione per dimostrarlo. Sembra quasi che non ci abbia neanche provato.

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