Monoclonali o "booster"? L'importanza del caso Galli

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Monoclonali o "booster"? L'importanza del caso Galli

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Apprendiamo dall’Adnkronos riguardo la vicenda della positività del Dott. Galli:

“Ho fatto la cura con gli anticorpi monoclonali in ospedale perché mi è stato consigliato visti i miei fattori di rischio", è quanto precisa al 'Corriere della Sera' il professor Massimo Galli, 70 anni, ex primario di Malattie Infettive dell’Ospedale Sacco di Milano oggi in pensione, spiegando che ci tiene a dirlo "perché qualcuno ha avuto il cattivo gusto di tirare fuori la questione prima che la comunicassi io (come volevo fare) e inventando che sarebbero state le cure domiciliari e non le tre dosi a farmi stare meglio. Se non avessi avuto le tre dosi sarei stato un candidato perfetto per un’evoluzione negativa della malattia e per il ricovero".

La premessa è che noi, a differenza di molti altri a cui piace augurare la morte in tv e sui social, restiamo umani sempre e facciamo i migliori auguri al Dott. Galli di pronta guarigione e siamo lieti di sapere che ha già ritrovato le forze per tornare in Tv.

Ma alcune contraddizioni del suo intervento stridono con due anni di propaganda a reti unificate.

La prima più evidente è quando il dott. Galli dice che senza le tre dosi… sarei “stato un candidato perfetto per il ricovero”. Tecnicamente le cure monoclonali in ospedale sono qualcosa di molto simile ad un ricovero.

Stride con la propaganda soprattutto avuta prima e dopo la morte del dott. De Donno rispetto ad una cura che ha palesato potenziali effetti benefici e che, a partire dal dott. Galli che fortunatamente non ha potuto avere beneficio, è stata denigrata. Ad esempio in due puntate di In Onda a luglio ed agosto 2021.  “C’è qualche modesta evidenza che possano funzionare se utilizzate nelle persone che sono nei primi stadi dell’infezione. Chiaro però che non avrebbe senso se ci mettessimo a trattare con il plasma tutti i ragazzi che si infettano in questo momento, la grande maggioranza di loro è asintomatica o sviluppa una malattia modestissima”, ha detto letteralmente Massimo Galli.

Secondo il parere di Massimo Galli, la terapia con il plasma iperimmune del medico “trova applicazione esclusivamente in persone che hanno alta probabilità di sviluppare la malattia grave“.

L’infettivologo ha sottolineato che andrebbe usata in modo molto selettivo. “Sono molto più interessato in prospettiva alla possibilità dell’utilizzo del plasma per coloro che non rispondono al vaccino e che quindi è opportuno che abbiano un’immunizzazione passiva, a scopo profilattico più che curativo."

Quindi, altra contraddizione del pensiero del Dott. Galli, le tre dosi di vaccino, il distanziamento, le mascherine supermega potenziate e tutte le misure di cui è stato il più fondamentalista dei diffusori, non servono a contenere un virus endemico nella popolazione. E le tre dosi di vaccini non servono a impedire che arrivi anche la forma grave da cui si attivano le cure che funziono del dott. De Donno. Funzionano e ne siamo lieti per il Dott. Galli.

I vaccini che vaccini non sono – quelli mRNA in particolare si stanno rivelando inoltre totalmente inefficaci nel frenare i contagi di un virus ormai endemico - potevano essere applicati come una terapia ulteriore strumento per una fascia di popolazione più a rischio scelta appositamente e non un feticcio su cui basare un regime distopico di controllo assolutista della popolazione senza nessuna base scientifica e senza la possibilità di aiutare (anzi) a livello sanitario a sconfiggere un virus curabile ed endemico. Non come un feticcio di sottomissione a Big Pharma e ai contratti segreti firmati tra Commissione europea e multinazionali Usa del farmaco.

Sicuramente il dott. De Donno sarà contento che un nuovo paziente si sia salvato grazie alla sua cura che funziona, boicottata dai baroni del “tachipirina e vigile attesa… fino all’ospedale.” Il rischio è che, come sottolinea in modo straordinariamente efficace il Comitato Centrale, è che solo l’elites della popolazione continuerà a beneficiare della cura De Donno. Ai povery c’è la “cura Speranza”…

 

 

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Agata Iacono

Agata Iacono

Sociologa e antropologa

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