NEOLIBERISMO, GLOBALIZZAZIONE E LE LORO CONSEGUENZE SULL’AUMENTO DELLE DISEGUAGLIANZE
Negli anni ottanta del secolo scorso registriamo la nascita e l’affermarsi in tutto il mondo dell’ideologia neoliberista come pensiero dominante e unico. Infatti, con l’avvento nel Regno Unito della Thatcher [1], che come disse chiaramente, intendeva: «Cambiare il cuore e l’anima della gente con la politica economica» [2], e negli Stati Uniti d’America con Reagan che «insegnò come rivestire idee economiche elitiste con una retorica populista» [3], questa nuova ideologia economica e politica iniziò ad essere predominante. Con il sistema “economico” che, liberatosi dei contrappesi di controllo democratico tipici dello stato nazionale costituzionale, promuove la globalizzazione finanziaria con cui riduce il “politico” all’attuale condizione: poco più che servile.
Con l’effetto indotto dell’omologazione dell’intero ceto politico, nel mondo occidentale, ridotto a semplice caporalato dell’egemonia finanziaria (e con la sinistra [4] di governo, in molte parti del mondo, diventata politicamente una seconda-destra, che amministra, facendo ricorso al politicamente corretto [5]). Tanto che nella contemporaneità verifichiamo che «il problema fondamentale sollevato dai processi di cambiamento sta nel fatto che possono finire per frammentare la società invece di ricostruirla. Al posto di istituzioni trasformate, avremmo in tal caso comuni e comunità di ogni natura. Al posto di classi sociali, vedremmo nascere tribù» [6].
Nel lungo periodo della globalizzazione ultraliberista abbiamo avuto l’affermazione di una forte egemonia economica e politico-culturale centrata sull’assunto che la promozione della libertà fosse principalmente intesa come libertà economica, dell’impresa, e come totale disimpegno etico del singolo individuo rispetto alla società. Si ritenne che la persona non potesse realizzarsi in pieno senza annullare quelle istanze di uguaglianza materiale e sociale che invece, nei «trent’anni gloriosi»,avevano guidato la grande crescita economica e sociale dei paesi occidentali con la conseguente costruzione del welfare state, la promozione del capitalismo sociale e il faticoso, quanto instabile ma fruttuoso, compromesso tra capitale e lavoro.
Nel corso degli anni è stato ampiamente riconosciuto, e sempre più ammesso, che gli sviluppi guidati dal libero mercato senza freni, associati alla globalizzazione hanno inasprito le ineguaglianze globali esistenti, ma cosa ancor più grave, ne hanno generate di nuove. In questo contesto registriamo il passaggio da un potere più verticale ad uno più orizzontale, ma non per questo più democratico. In questi anni si è avuta l’internazionalizzazione dei poteri sia delle organizzazioni internazionali, sia intergovernative, ossia formate esclusivamente da Stati sulla base di accordi vincolanti, che ibride pubblico-private.
Entità sempre più presenti nelle dinamiche decisionali e nei vari dossier globali che agiscono perlopiù con gli strumenti del diritto internazionale e del soft law, caratterizzate più che da leggi da raccomandazioni, studi, pareri e assistenza. Questo nuovo piano giuridico emergente, parallelo e privato ha preso il nome di lex mercatoria, intesa come la diffusa codificazione dei rapporti commerciali tra le imprese in un mondo globalizzato, un passaggio fondamentale della contemporanea metamorfosi del potere, sempre in una direzione più orizzontale, a-territoriale e internazionale [7].
Infine, sottolinea Maria Rosaria Ferrarese, un ulteriore elemento, motore di tale metamorfosi, è stata l’innovazione tecnologica. Sovente promossa e finanziata dallo Stato nazionale stesso [8]. Tutto questo ha poi permesso a realtà economiche e multinazionali private di accumulare un potere quasi monopolistico, costituito da forti rendite di posizione, accumulo di dati e capacità di sfuggire all’azione delle leggi antitrust. La Ferrarese menziona, come esempi eclatanti, Google, Amazon, Facebook, Apple, Microsoft. Società con fatturati superiori ai PIL di diversi paesi e in grado di muoversi oltre i confini territoriali beneficiando anche dell’arbitraggio fiscale. La tecnologia permette a soggetti privati di avere un’influenza decisiva sulla società e anche sui governi nazionali.
Tra i nuovi poteri, vi sono e saranno sicuramente i possessori di determinate tecnologie, dall’intelligenza artificiale alle tecniche hacker per fare breccia, senza eserciti o armi, nei sistemi interconnessi delle infrastrutture statali. In questo contesto un ruolo fondamentale va individuato nella stagione delle privatizzazioni che si è svolto sotto l’egida del cosiddetto Washington Consensus, che hanno reso sempre più settori dell’economia contendibili e, di conseguenza, hanno condotto ad una enorme ritrazione del potere statale, che di fatto ha dato spazio ad altri poteri economici e finanziari privati. Si ritiene che «La svolta verso la governance si inserisce in un trend di profonda innovazione delle tecniche di governo: un progetto precocemente identificato da Michel Foucault come una “autolimitazione della ragione di governo”, che riduce la presa del potere pubblico nei confronti delle società e tende non solo ad assecondare criteri di laissez-faire, ma, più in generale, a premiare una certa spontaneità e presunta naturalità delle forme di vita, dando spazio agli interessi e alla possibilità che essi si autorappresentino» [9]. Nel contesto attuale le disuguaglianze sociali nella distribuzione delle risorse economiche, produttive e del reddito sono generalmente considerate in aumento.
Molti studi su queste tendenze hanno un approccio critico verso il capitalismo neoliberista. Ma bisogna considerare che un certo numero di sostenitori e apologeti della globalizzazione è giunto alla stessa evidente conclusione. L’U.N.D.P. [10], per esempio, nel suo rapporto “Human Development “del 1992, stabiliva, con dati certi e verificati, che tra il 1960 e il 1989 i paesi con il 20% della popolazione più ricca del mondo avevano visto una crescita della loro quota percentuale di produzione globale (reddito) dal 70,2 all’82,7%, mentre la quota dei paesi con il 20% della popolazione più povera del mondo scendeva dal 2,3% all’1,4%.
L’Organizzazione per lo Sviluppo dei Paesi Industriali delle Nazioni Unite (U.N.I.D.O. 1997) ha sostenuto la stessa conclusione sulla base di dati più recenti. Anche la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale hanno riconosciuto che le condizioni dello sviluppo sono regredite in un gran numero di paesi, e in molti casi ai livelli raggiunti nel 1980 o addirittura nel 1970.
Chiaramente questi paesi non sono riusciti a raccogliere i frutti della globalizzazione che ha portato sviluppo in altri contesti, né a partecipare a ciò che la Banca Mondiale ha visto come una «tendenza verso la prosperità». Ma nell’Africa subsahariana, la Banca Mondiale ha stimato che dal 1987 i redditi “pro capite” sono scesi del 25%. Comunque sia riscontriamo l’ampio accordo tra sostenitori e oppositori della globalizzazione sul fatto che le ineguaglianze globali nelle risorse economiche e nel reddito debbano essere considerate e mostrate in aumento a partire dalla metà degli anni Ottanta. Uno dei risultati più eclatanti del neoliberismo riguarda la enorme crescita delle disuguaglianze di reddito anche nelle economie avanzate [11] che sono aumentate negli ultimi anni anche a fronte della crescita economica come altri autori come Angus Deaton [12] e Joseph Stiglitz [13] hanno dimostrato a sufficienza. Il dato ormai chiaramente diventato inconfutabile è che l’incalzante crescita delle disuguaglianze economiche e sociali sono cresciute moltissimo anche nelle democrazie costituzionali avanzate, anche a fronte dello sviluppo economico, industriale e tecnologico di cui esse continuano complessivamente a godere.
Sono cresciute tanto che, Carlo Trigilia, studioso e ex ministro del governo italiano, ritiene che «Le conseguenze della pandemia e l’invasione dell’Ucraina contribuiscono ad aggravare il quadro. La sinistra europea e quella italiana si trovano così ad affrontare una nuova sfida, decisiva non solo per il loro futuro, ma anche per quello del capitalismo democratico. L’elettorato popolare, che ne costituiva il fulcro, alimenta infatti l’esodo verso l’astensionismo e verso la nuova destra radicale, attratto dalla protesta e dal populismo.
A fronte del peggioramento delle condizioni di lavoro e di vita, vecchi e nuovi gruppi più a disagio non si sentono oggi rappresentati» [14]. Stiglitz sostiene con fermezza che la disuguaglianza uccide la crescita infatti se la ricchezza si concentra in poche mani la crisi diventa inevitabile, come avvenne negli anni Trenta del secolo scorso. Il teorema del premio Nobel dimostra come disuguaglianza e polarizzazione dei redditi ostacolino la crescita e frenino il Pil [15]. E’ la diseguaglianza il vero problema della mancata crescita economica [16].
In tutti i paesi dove i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sono sempre più poveri [17] la crescita economica, inevitabilmente, segna il passo e, spesso precipita. Nei paesi dove esiste ancora una grande middle class permane una relativa prosperità economica. Gli studi di Stiglitz degli ultimi decenni sempre influenzati dalle teorie keynesiane sono un attacco frontale alle teorie liberiste. Le sue idee si fondano sul meccanismo della “propensione al consumo”: i ricchi, essendo pochi ce l’hanno più bassa del molto più numeroso ceto medio, dunque se la distribuzione del reddito li favorisce la spesa in beni e servizi si deprime. E’ invece il ceto medio a consumare quasi tutto quello che ha in tasca e a spingere Pil ed economia, quando la distribuzione del reddito lo favorisce. Stiglitz ci fornisce la prova: quando i ricchi (ovvero a malapena l’1 per cento più ricco della popolazione) si è appropriano del 25 per cento del reddito scoppia la «bomba atomica economica». I fatti lo hanno dimostrato con la Grande Crisi degli Anni Trenta e con la Grande Recessione di questo secolo. Le idee di Stiglitz [18] sono chiare, facili da dimostrare infatti se l’indice di Gini [19] aumenta, dunque aumenta la diseguaglianza, il “moltiplicatore” degli investimenti diminuisce e dunque il Pil frena inesorabilmente. Basti pensare che anche il dogma dell’austerità ha dimostrato la sua non fondatezza economica: l’Fmi ha infatti calcolato che il taglio del deficit dell’uno per cento può ridurre il Pil fino al 2 per cento.
Anche la teoria del debito di Rogoff e Reinhard [20] secondo la quale oltre il 90 per cento nel rapporto con il Pil porta inevitabilmente alla recessione. Ma come specifica Stiglitz la diseguaglianza fiacca fino ad uccidere il Pil e ogni possibilità di crescita economica, non solo per via della inevitabile caduta dei consumi ma anche perché il sistema è largamente “inefficiente” se prevalgono rendite e monopoli. Infatti la continua ricerca della rendita finanziaria comporta un vero spreco di risorse che riduce la produttività e il benessere del paese [21]. Secondo quanto riportato da Piketty, in Europa il 10% più ricco della popolazione ha tra il 50% ed il 60% del patrimonio totale (con un aumento del 10% dal 1980) mentre la parte più povera ha un patrimonio tra il 5 ed il 10% del totale. In Italia in particolare dal 1987 al 2020, il 10% più ricco degli italiani è passato dal percepire il 24,3% del reddito nazionale complessivo al 31,4% (un aumento del 30%) e lo ha fatto a scapito di tutte le altre fasce di reddito [22]. Ma tutti sappiamo che le disuguaglianze esistono soprattutto perché il sistema economico iniquo, che genera ricchezza, ma non riesce a distribuirla nemmeno lontanamente in modo uniforme. Conosciamo quali gravi conseguenze provocano le grandi disuguaglianze «l’aumento dei problemi sanitari e sociali, rafforzano razzismo e violenza, ostacolano la mobilità sociale, sono responsabili dell’abbassamento del livello di istruzione e del benessere generale.
L’incremento delle disparità si traduce in minore felicità collettiva, minore fiducia e coesione sociale, quindi in un indebolimento complessivo della comunità e della democrazia. Perché, di fronte ai danni che provocano ai singoli individui e alla società nel suo insieme, le disuguaglianze persistono e diventano, nell’attuale momento storico, sempre più estreme» [23]. Un’altra colpa da ascrivere al moderno capitalismo neoliberista riguarda il comportamento impunito di diverse multinazionali che sottraggono alle nazioni più povere importanti quantitativi di risorse attraverso continue manipolazioni sui prezzi del commercio internazionale. In questo modo riescono a riscuotere imponenti e ingiustificate somme legate ad investimenti speculativi effettuati in specifiche nazioni in difficoltà economica, politica e sociale. Ad esempio come accaduto con l’Ucraina in questi mesi, fortemente indifesa dagli assalti delle multinazionali verso i terreni fertili del “granaio d’Europa” e sulle sue immense riserve minerarie e di terre rare [24].
1 Margaret Hilda Thatcher divenne Primo ministro del Regno Unito dal 4 maggio 1979. Ronald Wilson Reagan fu presidente degli Stati Uniti d’America dal 1981 al 1989.
2 Cambiare il cuore e l’anima della gente con la politica economica. Questo voleva Margaret Thatcher, e così lei e tanti altri come lei ce li hanno cambiati davvero, il cuore e l’anima, si pensi al famoso discorso della Thatcher del 1981: «Quello che mi ha irritato dell’intera direzione della politica negli ultimi 30 anni è che è sempre stata orientata alla società collettivista. La gente ha dimenticato la società delle persone. E dicono: conto, sono importante? A questo la risposta decisa è sì. E quindi, non è che mi impegno per la politica economica; è che mi impegno davvero a cambiare l’atteggiamento, e cambiare l’economia è il mezzo per cambiare quell’atteggiamento. Se cambi atteggiamento, arrivi davvero al cuore e all’anima della nazione. L’economia è il metodo; l’obiettivo è cambiare il cuore e l’anima», Margaret Thatcher intervistata dal “Sunday Times”. il venerdì 1° maggio 1981.
3 P. Krugman, La coscienza di un liberal, Roma-Bari, Laterza, 2008, p. 165.
4 Infatti la sinistra politica ha dimostrato una «generale subalternità nei confronti delle idee dominanti», invece dovrebbe iniziare a combattere «la scoraggiante condizione di debolezza politica in cui oggi versano i salariati e i ceti popolari, una sinistra di classe avrebbe il non trascurabile vantaggio di non doversi inventare nulla: si tratterebbe di riprendere le fila di quanto di meglio la civiltà europea sia riuscita a realizzare nel secondo dopoguerra» in A. Barba, M. Pivetti, La scomparsa della sinistra in Europa, Milano,Meltemi,20212, p. IV di copertina.
5 Si vedano,in particolare: S. Wagenknecht, Contro la sinistra neoliberale, Roma, Fazi, 2022 e T. Piketty, Capitale e ideologia, Milano, La nave di Teseo, 2020.
6 Manuel Castells, Volgere di millennio, Milano, Università Bocconi Editore, 2003, p. 421.
7 Un altro elemento degno di nota in questo contesto è l’emergere delle relazioni transfrontaliere tra imprese, sempre più internazionalizzate e dedite a rapporti commerciali con controparti non localizzate nello stesso paese e, di conseguenza, non soggette alla stessa giurisdizione. Per regolare tali transazioni cross-border sono stati adottati diversi formulari, prassi e condizioni generali di contratto direttamente dagli organismi privati, allo scopo di creare, in via autonoma, una cornice legale adatta alle loro esigenze, con l’aiuto non irrilevante delle grandi law firm anglosassoni, come evidenziato con raffinatezza dalla giurista Katharina Pistor nel libro Il codice del capitale. Come il diritto crea ricchezza e disuguaglianza, Roma Luiss University Press, 2021, dove si evidenzia la forma più forte del nuovo diritto mercatorio scritto come un nuovo codice definito appunto “Codice del capitale”.
8 Come spesso accaduto anche in Italia dove i profitti sono privati e le perdite ricadono sulla fiscalità generale dello Stato.
9 M. R. Ferrarese, Poteri nuovi. Privati, penetranti, opachi, il Mulino, Bologna 2022, p. 44
10 Il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (in inglese United Nations Development Programme, ossia UNDP, in francese, Programme des Nations unies pour le développement) è un’organizzazione internazionale sorta il 1º gennaio 1966, in seguito alla risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite (ONU) del 22 novembre 1965, dalla fusione del Programma ampliato di assistenza tecnica e del fondo speciale delle Nazioni Unite.
11 In Italia la Fondazione Cariplo ha pubblicato il suo primo rapporto sulle disuguaglianze: «che esplora diversi aspetti dei divari all’interno della popolazione, da quelli di reddito e ricchezza a quelli nella scuola. I dati mostrano che la disuguaglianza economica è in crescita. In particolare, le persone in povertà sono quasi triplicate nel corso degli ultimi 15 anni. Erano circa 1,9 milioni nel 2005. Sono salite a quasi 5,6 nel 2021. La situazione è peggiorata soprattutto dopo la grande recessione del 2008», in M, Taddei Milano, Le disuguaglianze aumentano e noi non stiamo facendo nulla, in Su “Domani” del 30 marzo 2023, p. 11.
12 A. Deaton, La grande fuga. Salute, ricchezza e origini della disuguaglianza, Bologna, Il Mulino,20192; si veda anche, A. Case, a. Deaton, Morti per disperazione e il futuro del capitalismo, Bologna, Il Mulino, 2021, nel quale si descrive come: «L’aspettativa di vita negli Stati Uniti è diminuita per tre anni consecutivi, un capovolgimento che non si vedeva dal 1918 e in nessun’altra nazione ricca. Negli ultimi due decenni le morti per disperazione, dovute a suicidio, overdose di droga e alcolismo sono aumentate drammaticamente, mietono centinaia di migliaia di vite ogni anno e i dati sono in crescita. Siamo davanti a una degenerazione che deve mettere in guardia gli altri paesi dell’Occidente democratico dal compiere possibili, analoghi, errori … il sistema sanitario più costoso del mondo, che tuttavia non protegge i più deboli, lo strapotere delle grandi multinazionali, le preoccupanti disuguaglianze legate alla globalizzazione e all’automazione sono i fattori principali che gravano sulla difficile situazione della classe media. Un volume di straordinario impatto sulla degenerazione del capitalismo nel sistema politico ed economico americano, dove traspaiono la grande sensibilità storico-sociologica e il forte impegno etico degli autori», p. IV di copertina.
13 J. Stiglitz, La globalizzazione e i suoi oppositori: Antiglobalizzazione nell’era di Trump, Torino, Einaudi, 20232; si vedano anche Id., Popolo, potere e profitti. Un capitalismo progressista in un’epoca di malcontento, Torino, Einaudi, 2020 e Id., La grande frattura. La disuguaglianza e i modi per sconfiggerla, Torino, Einaudi, 2016.
14 C. Trigilia, La sfida delle disuguaglianze. Contro il declino della sinistra, Bologna, Il Mulino, 2022, p. II di copertina.
15 Tesi sostenuta in J. Stiglitz Le nuove regole dell’economia. Sconfiggere la disuguaglianza per tornare a crescere, Milano, Il Saggiatore, 2016; Id., Il prezzo della disuguaglianza: Come la società divisa di oggi minaccia il nostro futuro,Torino, Einaudi, 2017.
16 Oggi l’iniquità distributiva del reddito è cresciuta al punto da essere facilmente rilevabile attraverso una serie di indicatori che mostrano un grave deterioramento della qualità della vita, tra cui quelli relativi alla criminalità, ai disagi psichici, alla speranza di vita, alla mobilità professionale, all’istruzione scolastica, alla diffusione di condizioni di obesità o gravidanze minorili.
17 Zygmunt Bauman, nel 2013, a questo proposito ha scritto un saggio dal titolo chiarissimo: La ricchezza di pochi avvantaggia tutti (falso!), Roma-Bari, Laterza 2013, dove sostiene che l’avere sostituito la competizione alla cooperazione amichevole, alla condivisione di fiducia, al rispetto, premiando l’avidità di pochi, non produce nessun vantaggio per la società. Infatti: «In quasi tutto il mondo la disuguaglianza sta aumentando, e ciò significa che i ricchi, e soprattutto i molto ricchi, diventano più ricchi, mentre i poveri, e soprattutto i molto poveri, diventano più poveri. Questa è la conseguenza ultima dell’aver sostituito la competizione e la rivalità alla cooperazione amichevole, alla condivisione, alla fiducia, al rispetto. Ma non c’è vantaggio nell’avidità. Nessun vantaggio per nessuno. Eppure abbiamo creduto che l’arricchimento di pochi fosse la via maestra per il benessere di tutti», p. IV di copertina.
18 J. E. Stiglitz, Invertire la rotta. Disuguaglianza e crescita economica, Roma-Bari, Laterza, 20182, dove l’autore continua a mettere in evidenza l’errata convinzione del neoliberismo che ritiene Per molti anni ci hanno fatto credere che la disuguaglianza è necessaria per la crescita economica. È vero il contrario: per crescere tutti e in modo sano è necessaria una maggiore uguaglianza nella distribuzione del reddito. Infatti «Non è difficile individuare le politiche economiche necessarie per invertire la rotta. Abbiamo bisogno di maggiori investimenti nei beni pubblici; di una migliore governance aziendale, leggi antitrust e antidiscriminazioni; di un sistema finanziario più regolamentato; di un rafforzamento dei diritti dei lavoratori; di sistemi di tassazione e trasferimenti più progressivi. ‘Riscrivendo le regole’ che disciplinano l’economia di mercato sulla base di queste esigenze potremo ottenere una maggiore uguaglianza nella distribuzione del reddito sia prima che dopo le tasse e i trasferimenti, e di conseguenza risultati economici migliori», a p. IV di copertina.
19 Ovvero l’indicatore di diseguaglianza inventato da un economista italiano, si veda C. Gini, Variabilità e mutabilità, 1912. Ristampato in E. Pizetti e T. Salvemini (a cura di), Memorie di metodologica statistica, Roma, Libreria Eredi Virgilio Veschi, 1955. Il coefficiente di Gini, introdotto dallo statistico italiano Corrado Gini, è una misura della diseguaglianza di una distribuzione. È spesso usato come indice di concentrazione per misurare la diseguaglianza nella distribuzione del reddito o anche della ricchezza. È un numero compreso tra 0 ed 1. Valori bassi del coefficiente indicano una distribuzione abbastanza omogenea, con il valore 0 che corrisponde alla pura equidistribuzione, ad esempio la situazione in cui tutti percepiscono esattamente lo stesso reddito; valori alti del coefficiente indicano una distribuzione più diseguale, con il valore 1 che corrisponde alla massima concentrazione, ovvero la situazione dove una persona percepisca tutto il reddito del paese mentre tutti gli altri hanno un reddito nullo.
20 Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff hanno definito la crisi globale che abbiamo vissuto dal 2008 come la Seconda Grande Contrazione,seconda per dimensioni solo alla Grande Depressione del 1929. Diversamente da altre crisi del passato anche recente, che erano limitate ad un singolo Paese o ad una circoscritta area geografica, questa che stiamo vivendo evidenzia il comportamento analogo degli indicatori economici sia dei singoli paesi che degli aggregati mondiali. Dal loro studio si evince che, in generale, nel decennio che precede una crisi, i livelli di debito e la leva finanziaria aumentano in modo inconsulto spingendo al rialzo i prezzi degli asset per un lungo periodo. Sul tema si registra l’interessante articolo scientifico di A. Roncaglia, Le politiche di austerità sono sbagliate, in “Moneta e Credito”, vol. 66 n. 262 (2013), pp. 121-128. Si veda anche il recente studio di R. Dalio, I principi per capire le grandi crisi del debito, Milano, Hoepli, 2020.
21 Sul tema si espresso molto bene M. Gallegati, Il mercato rende liberi e altre bugie del neoliberismo, Roma, Luiss university Presse 2021, che sostiene che «la fede nel libero mercato ha trasformato una disciplina [L’economia] utile in una scienza inutile», p. 49, e anche «L’economia mainstream pone al centro della sua indagine un individuo astratto, un atomo isolato, che esiste a parte degli altri e agisce indipendentemente da questi … L’ipotesi del massimo-minimo (costo e utilità) deriva dalla fisica classica ed è funzionale solo a ridurre il comportamento degli agenti a quello – senza strategie o apprendimento – degli atomi. L’uso di un espediente analitico debole e fuorviante come l’’agente rappresentativo’ ha permesso di trasformare una scienza sociale come l’economia in una quantitativa»[1]. Considera inoltre che «la fisica classica crede nel principio olistico che il comportamento aggregato dei mercati può essere ricondotto a quello delle componenti elementari … nelle scienze sociali la questione è più complicata: il tipo di teoria economica che è noto al partecipante nell’economia ha un effetto sull’economia».
22 ISTAT, rapporto annuale 2021, La situazione del paese.
23 C. Volpato, Le radici psicologiche della disuguaglianza, Roma-Bari, Laterza, 2019, p. 7.
24 Terre rare, che cosa sono e perché sono al centro della transizione. Esse sono fondamentali per le economie del presente e, soprattutto, del futuro. Attorno a esse si muovono tensioni internazionali per l’accaparramento. Eppure le REE, acronimo di Rare Earth Metals, sono ancora poco conosciute. La priorità per gli Stati è di creare una catena del recupero e del riciclo. Dall’economia rinnovabile a quella militare e aerospaziale, passando per il commercio di auto elettriche, e poi, ancora, la fibra ottica e la produzione di smartphone: le terre rare sono fondamentali per l’economia del presente e del futuro, nel mondo. Più nello specifico e nel pratico, ecco alcuni esempi per i quali vengono utilizzate: nel settore dell’automotive – specie per quello elettrico ed ibrido, ormai in ascesa – per le batterie ricaricabili, come magneti permanenti per le turbine eoliche e per la costruzione di motori elettrici; possono diventare fosfori per TV e LCD e più in generale sono importanti per la creazione di tutti i dispositivi elettronici di ultima generazione; inoltre servono per sviluppare tecnologie avanzatissime nel campo dell’aerospazio, della difesa e delle energie rinnovabili, ma anche nel settore medico, e perfino in quello petrolchimico, nel processo di raffinazione del petrolio greggio.
*Questo articolo è stato pubblicato su https://www.eguaglianza.it/