No, la fine dell'unipolarismo Usa (Nato) non sarà un pranzo di gala
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Pubblichiamo su gentile indicazione e concessione del direttore Fosco Giannini, questo nuovo editoriale di Cumpani a firma di Alessandro Belfiore
La guerra in Ucraina è la tappa, forse la più importante, del piano Usa e dell’Occidente Euro-Atlantico, per imporre il loro dominio unipolare e imperialista nel mondo; i principali ostacoli e nemici di questo piano sono la Cina e la Russia, che rappresentano la possibile e più equa ed attraente alternativa di un mondo multipolare basato sugli scambi reciprocamente vantaggiosi per i popoli dei vari Paesi, ma soprattutto per quelli più poveri o in via di sviluppo.
Non bisogna però farsi troppe illusioni che il possibile o più prudentemente auspicabile “il comune futuro condiviso della nuova era” di Xi Jinping, sia un “pranzo di gala” in cui festeggiare tutti assieme. No, purtroppo non sarà così, quello che sta avvenendo in Ucraina e in Europa ce ne dà un drammatico quadro.
Gli Stati Uniti, nei loro più recenti rapporti geostrategici, hanno catalogato la Cina come il loro principale antagonista, ovvero nemico, per tutta una serie di fattori, ma principalmente per la sua accresciuta forza economica, principale potenza industriale e ora anche ai vertici in campo scientifico, nonché militare.
La Russia, nonostante la sua debole economia, controbilanciata però dalla sua importantissima disponibilità di risorse energetiche e di materie prime, nonché di ampi territori che garantiscono importanti produzioni agricole destinate all’esportazione, rimane la potenza militare, sia convenzionale che nucleare (anzi in quest’ultimo campo pure più avanti) di pari grado rispetto agli Usa. La differenza sostanziale è che la Russia è geo-politicamente e militarmente circondata da Paesi con Basi Usa e Nato. La Nato è passata negli ultimi 30 anni da 15 a 30 Paesi, questi ultimi, quasi tutti, ai confini della Russia.
Se volessimo fare un paragone dovremmo tornare alla crisi dei missili a Cuba del 1962, un anno dopo (1961) il tentativo di invasione organizzato dagli Usa con lo sbarco nella Baia dei Porci e dell’ installazione in Turchia e in Italia (Puglia), di rampe missilistiche nucleari, tanto bastò all’Unione Sovietica per installare a sua volta missili a Cuba. Il braccio di ferro durò due settimane, si raggiunse un compromesso, gli Usa smantellarono le due basi missilistiche in Europa, l’URSS ritirò i suoi missili da Cuba e ricevette un impegno formale, mai sostanzialmente mantenuto, di non violare l’integrità territoriale e la sovranità di Cuba.
La situazione attuale è molto più grave oggi se ci mettiamo dalla parte della Russia, perché lo schieramento attuale della Nato (che comprende sistemi missilistici a medio raggio che possono essere armati sia con missili antimissile, sia con missili di attacco, di primo colpo), installati in Polonia e in Romania, con il riarmo dell’Ucraina dopo il golpe nero del Maidan di Kiev del 2014 e il suo previsto ingresso nella Nato o comunque con una Ucraina dotata di armi moderne e missili e sistemi d’arma potenzialmente anche nucleari (anche autoprodotti con l’assistenza degli Usa), o come per esempio le bombe nuc. Usa B61-12 con cui armare i caccia di ultima generazione che arriveranno tra pochi mesi in Europa, compresa l’Italia in sostituzione delle vecchie B61, cambiano radicalmente il quadro della “sicurezza” in Europa, che si trasformerebbe per la Russia in uno scacco matto strategico, ovvero come avere una pistola puntata sulla tempia.
Come ben si sa, di tutto questo i Tg e tutto l’apparato mediatico sintonizzato in modalità Guerra, non fa il minimo accenno.
Se volessimo applicare la linea di condotta USA/Nato, del circondare e puntare la pistola nucleare il più vicino possibile al nemico, facciamo il giro del mondo e immaginiamo che un bel giorno gli USA dotassero Taiwan di missili e armamenti nucleari puntati ovviamente contro la Cina. Cosa farebbe la Cina? Chi scrive non ha dubbi su cosa farebbe la Cina, che con tutta la sua benevola pazienza, calma, visione sul lungo periodo di un mondo multipolare dal comune futuro condiviso, impedirebbe con la forza, cioè con la guerra, che ciò non accadesse e lo farebbe nel pieno della legittimità.
Inoltre, tornando all’Ucraina, sopra abbiamo trattato della questione della sicurezza che per funzionare deve essere della “reciproca sicurezza”, ma non è tutto: la guerra in Ucraina, come tutti sanno, è iniziata tra il 19 gennaio e il 23 febbraio del 2014, non è stata una “rivoluzione colorata”, è stata un colpo di Stato nero, concepito, organizzato, finanziato, attuato dalle “oligarchie” finanziarie e politico-militari statunitensi con la complicità e l’appoggio delle “oligarchie” europee, con tanto di cecchini e provocatori ben addestrati venuti pure dall’estero, per portare la morte ed incendiare l’Ucraina con una guerra civile, presto divenuta a tutti gli effetti militare, con le autoproclamate repubbliche del Donbass e con il breve e limitato intervento della Russia per mettere al sicuro la Crimea (senza sparare un colpo), storicamente russa e per garantirsi il controllo almeno di quella parte del Mar Nero.
L’esercito ucraino e soprattutto le milizie nazifasciste furono sconfitte nel 2014 in Donbass e da tale sconfitta scaturirono gli accordi di Minsk I (2014) e poi di Minsk II (2015) tra Ucraina e Russia e con il patrocinio di Germania e Francia che prevedevano il cessate il fuoco nelle due regioni di Donetsk e Lugansk, un autogoverno in regime di autonomia delle due Repubbliche, ma soprattutto la riforma Costituzionale che avrebbe dovuto riconoscere questo status speciale delle due regioni. Gli accordi di Minsk non sono mai stati rispettati dai governi ucraini e tanto meno dai loro padrini Usa e UE, di più, tali accordi sono poi stati esplicitamente ripudiati dal Governo Zelensky e dai suoi mèntori. Sono ora trascorsi 8 lunghi anni, la guerra non si è mai del tutto fermata, si è alternata a fasi di bassa intensità e di bombardamenti più intensi, attacchi e ritirate tattiche, con un elenco di oltre 14 mila morti, oggi sicuramente anche di più.
A dicembre dello scorso anno la Russia aveva inviato un corposo trattato di pace agli Usa e alla Nato, un patto di pace e di distensione, ma questa proposta è stata rispedita al mittente senza nemmeno essere presa in considerazione. Da metà gennaio i bombardamenti sul Donbass aumentano di intensità, aumentano i trasferimenti di armamenti (con le cosiddette armi letali) e di truppe ucraine sulla linea del fronte, sino a 150 mila unità, aumentano i morti, in particolare civili.
Il 15 di febbraio il Parlamento russo, su proposta del Partito Comunista, vota una risoluzione per chiedere al Presidente Putin il riconoscimento dell’ indipendenza delle Repubbliche di Donetsk e Lugansk, tutto questo dopo che per anni la Russia chiedeva l’effettiva applicazione degli accordi di Minsk senza avere risposta se non la conferma che Kiev li ripudiava. Il 22 febbraio Putin emanava l’atto formale di riconoscimento di tale indipendenza. A questo punto, tutti, dico tutti, Zelensky, Usa, Ue, Nato, mass media di mezzo mondo, tutti a denunciare che Mosca con il riconoscimento dell’indipendenza violava gli accordi di Minsk.
Tu caro amico che stai leggendo, cosa pensi di questo, non dire parolacce…, ma devi ricordare che così sono andate le cose, chi ha affossato e fatto fallire gli accordi di Minsk e che li ha apertamente ripudiati, ora si appellava a tali accordi rinfacciando a Mosca di averli violati votando l’indipendenza. Mentre le piazze di Donetsk e Lugansk si riempivano di folla esultante, la Russia faceva entrare truppe militari di rinforzo nei territori del Donbass accolti da folle festanti. I bombardamenti ucraini sono aumentati e con essi il numero di truppe e mezzi. Le opzioni per la Russia erano due, mantenere il sostegno militare entro i confini del Donbass, ovvero sulla linea di contatto e rispondere con più efficacia agli attacchi ucraini. Questo non avrebbe risolto il conflitto, ma lo avrebbe prolungato ancora per anni, senza vie di uscita. L’intervento massiccio su vasta scala con gli obiettivi di “demilitarizzare” cioè colpire le strutture e i mezzi militari ucraini, centri di comando, aeroporti, reti di collegamento e sistemi di comunicazione, depositi e fabbriche di armi, prendere il controllo delle centrali nucleari e dei laboratori bio-chimici (ne hanno scoperti 12) e “denazificare” che vuol dire in particolare colpire e distruggere i battaglioni paramilitari nazifascisti, dislocati principalmente a Mariupol e a Odessa.
Certo una operazione più rischiosa, più complessa, sia politicamente che militarmente, con la messa in conto anche di un più alto numero di perdite umane e di mezzi militari, ma se portata a termine in un tempo ragionevole, più risolutiva. La domanda che pongo ai critici, non a quelli che stanno dall’altra parte della barricata, ma a quelli che in tutti questi anni sono stati dalla parte del popolo del Donbass e che hanno difeso la Russia. Cosa avrebbe dovuto fare la Russia, Putin? Non solo, la Russia, mentre accadeva tutto questo, ha più volte ribadito quali sarebbero state le condizioni minime per la soluzione del conflitto e la cessazione immediata delle ostilità, queste condizioni sono state sempre, neutralità e quindi non ingresso dell’Ucraina nella Nato, una Ucraina senza armi nucleari, il riconoscimento della Crimea e la indipendenza o un’ampia autonomia (autogoverno) delle regioni del Donbass, messa fuorilegge e scioglimento di corpi militari e formazioni di chiara marca fascista e nazifascista. Hanno sempre risposto di No. Quindi l’operazione continua.
Inoltre, e chiudo: la Russia ha chiesto alla Cina sostegno di mezzi militari e aiuto per ridurre gli effetti delle pesantissime sanzioni, soprattutto per l’esclusione dai circuiti bancari ed altro. La Cina su questo sembra tentennare, a mio avviso ci sono punti di vista diversi all’interno del PCC, tra i problemi l’estensione di analoghe sanzioni alla Cina stessa e forse la messa in crisi della Via della Seta (già ampiamente boicottata dagli Usa e dai Paesi Nato), o forse di altre questioni, di cui chi scrive non ha contezza. All’inizio di questo articolo ho fatto un esempio a parti invertite, con tutte le differenze del caso, ma il confronto regge: cosa farebbe la Cina se gli USA, un domani prossimo, dotassero Taiwan di missili e armamenti nucleari puntati ovviamente contro la Cina?
Ovviamente chi scrive spera, sogna, prega pur essendo comunista, che non ci sia una escalation fuori controllo di questa guerra che ci porterebbe in “un’altra dimensione”. Ma se la Russia cederà, le ripercussioni saranno gravissime, pesanti per l’umanità tutta, la Cina senza la Russia così per come essa è ora, sarebbe relativamente più isolata e più debole, più ricattabile dal punto di vista economico ancora peggio per altri Paesi non allineati, penso all’Iran, alla Siria, a Cuba e a tutta l’America Latina, e a molti Paesi del Continente africano.
Vi confesso, sono un “campista”, sono per un campo di Paesi socialisti e Paesi indipendenti e sovrani, antimperialisti. Se non si ricostruisce una nuova Alleanza, un patto che faccia da contrappeso al campo euro-atlantico, esso dominerà il mondo, riducendolo a sua immagine e somiglianza a pensiero unico, a sistema unico. Un tale sistema bilanciato, riduce i rischi di un conflitto globale, riduce i conflitti tra singoli paesi e regionali. Lascia spazio alla competizione e alla coesistenza pacifica e se per una volta, nell’89/91, ha vinto il capitalismo, non è detto che il socialismo non possa risorgere più forte che mai
La valutazione sul conflitto in corso in Ucraina (equidistanza?), la lotta contro la Guerra strettamente legata al No alla NATO, il giudizio sulla Cina e sul ruolo di contrappeso antiegemonico della Russia, sono la linea di demarcazione per la costruzione dell’unità dei comunisti su basi ideologiche e politiche omogenee.
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