NUOVI DIRITTI PER TUTELARE LA DEMOCRAZIA

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NUOVI DIRITTI PER TUTELARE LA DEMOCRAZIA

 

di Michele Blanco

In un mondo dove alla cerimonia di insediamento da presidente degli Stati Uniti d’America del miliardario Donald Trump ci saranno i tre uomini più ricchi del mondo, Elon Musk, Jeff Bezos, Mark Zuckerberg. Essi sono anche gli sponsor, i finanziatori di Trump. Musk anche qualcosa di più: farà personalmente parte del nuovo governo. Ci saranno anche i padroni di Google , quello di OpenAi e quello di Tiktok, insomma ci saranno i padroni della tecnologia e della comunicazione mondiale al completo. Vedremo una grande concentrazione del potere effettivo attuale, sia tecnologico, sia il potere economico, sia il potere mediatico e il potere politico che brindano. È facile capire chi sono gli esclusi, 8 miliardi di persone circa.

Nel 2024, il numero di miliardari nel mondo è salito a 2.769, con un aumento del valore complessivo delle loro ricchezze a 15.000 miliardi di dollari. Allo stesso tempo, oltre 3,5 miliardi di persone vivono sotto la soglia di povertà di 6,85 dollari al giorno, cifra invariata dal 1990. Sono i dati emersi dal rapporto Oxfam "Disuguaglianza: povertà ingiusta e ricchezza immeritata".

Danilo Zolo (1936-2018) è stato uno dei maggiori giuristi e filosofi del diritto del nostro Paese. Egli mise bene in evidenza il grande impatto nelle società attuali dei mezzi di comunicazione di massa sulla formazione dell’opinione pubblica, la conseguente grave e continua manipolazione delle identità personali e collettive, le formidabili grandi e incontrollate pressioni sull’autonomia effettiva dei cittadini, con gravi e letali conseguenze sull’esercizio effettivo delle libertà politiche democratiche da parte dei cittadini. La questione è di vitale importanza visto che riguarda il destino stesso della democrazia. Zolo denunciava, senza mezzi termini, i gravissimi pericoli portati dall’attuale  “società tecnotronica”. Egli scriveva di questi pericoli nel 2009, ma oggi, con la straripante avanzata dei “social network”, l’uso continuo e incontrollato di micidiali algoritmi per controllare e sfruttare gli esseri umani come miniere per estrarre dati di ogni tipo, l’avvento della “intelligenza” artificiale e la diffusione di dispositivi che consentono una capillare sorveglianza sociale; la situazione è ancora più grave e spaventosa.  Il giurista argentino Roberto Andorno, parla di nuovi diritti umani da riconoscere e difendere da parte degli Stati Costituzionali di diritto i “neurodiritti”: che consistono nella libertà cognitiva, alla riservatezza e all’integrità mentale, alla continuità psicologica.

Un nuovo diritto, tra i neurodiritti, che merita di essere discusso è quello che è stato chiamato dell’autonomia cognitiva. Zolo con questa espressione intendeva «la capacità del soggetto di controllare, filtrare e interpretare razionalmente le comunicazioni che riceve, in particolare le comunicazioni elettroniche». Nelle attuali società informatizzate la stessa garanzia giuridica dei diritti di libertà e dei diritti politici rischia di essere sostanzialmente un guscio vuoto se non include l’autonomia cognitiva: se questa manca, è impensabile che si possa formare un’opinione pubblica politica effettivamente indipendente rispetto ai processi di autolegittimazione promossi dalle forti élites politiche ed economiche al potere.

Questo perché è sempre più evidente che con la presenza di una crescente efficacia persuasiva dei mezzi di comunicazione di massa, il destino della democrazia in tutto l’Occidente «sembra dipendere dall’esito della battaglia a favore di questo nuovo, fondamentale diritto umano». Lo stesso Norberto Bobbio (1909-2004), grande giurista, filosofo e studioso della democrazia e dei diritti, ha affermato molto esplicitamente che nelle democrazie occidentali è in atto una totale inversione del rapporto fra «controllori e controllati, poiché attraverso l’uso spregiudicato dei mezzi di comunicazione di massa ormai gli eletti controllano gli elettori» (N. Bobbio, L’età dei diritti, 1990, p. XV).  Chiaramente Bobbio ci aveva messo in guardia dallo strapotere dei mezzi di comunicazione di massa e la loro gestione monopolistica, in mano a sempre meno persone, che stanno uccidendo la democrazia e la stanno trasformando in una tirannia videocratica.  Il pericolo effettivo riguarda il supremo valore della libertà che viene intaccato nella sua sfera più delicata, importante e irrinunciabile, quella della autonomia intellettuale dei cittadini.

Con la seconda rivoluzione informatica che porterà nelle case di tutti efficientissime Stazioni multimediali domestiche (SMD) e avvolgerà l’intero pianeta in una rete di interconnessioni globale e molto capillarmente diffusa. Una delle conseguenze positive, ci dicono, sarà per le persone l’accrescimento della cultura e della competenza politica e, soprattutto, l’affermarsi di nuove forme di partecipazione. Grazie all’uso delle attuali e sofisticate apparecchiature elettroniche, teleconferencing, opinion-polling systems, automated feedback programmes, two-way cable television ed altro ancora, i cittadini saranno finalmente in grado di impegnarsi in un quotidiano bricolage politico. L’agorà elettronica uscirà dal mito e si incarnerà nelle forme di una instant referendum democracy.

Negli Stati Uniti la Stanford University ha sviluppato un interessante e veramente innovativo progetto che applica l’IA alla democrazia deliberativa al fine di favorire una partecipazione più ampia, attiva e, soprattutto, si spera, molto più informata di come avviene oggi, dei cittadini delle democrazie rappresentative, nel processo decisionale.

Ma naturalmente, anche per quanto riguarda il bilancio degli effetti positivi e di quelli negativi della globalizzazione informatica – televisiva e telematica –, ci sono opinioni molto differenziate fra gli esperti di mass media e fra i sociologi della globalizzazione. Alcuni sostengono che per quanto riguarda il mezzo televisivo l’opinione prevalente è che la sua diffusione planetaria promuove un notevole incremento della competenza linguistica, dell’informazione e della cultura generale. E questo andrebbe a vantaggio soprattutto delle minoranze culturali in varie forme emarginate e dei popoli geograficamente periferici.  In questo modo la cultura globale, che viene considerata una cultura cosmopolita, ricca e complessa, prevarrebbe sui localismi e tribalismi tradizionali e sarebbe perciò la premessa per il formarsi di una global civil society.

Secondo questa corrente di pensiero tutto questo sarebbe a sua volta la premessa per una unificazione anche politica del pianeta nella direzione della tolleranza, del pluralismo, della democrazia e della pace. Le televisioni porterebbero alla trasformazione che del ‘villaggio globale’ profetizzato da Marshall McLuhan, nel quale è ormai stabilmente presente una ‘opinione pubblica mondiale’. Secondo il filosofo e sociologo tedesco Jürgen Habermas sarà possibile nel futuro con la diffusione globale dei mass media elettronici una società dove si possono sviluppare rapporti di intimità e solidarietà civile fra tutti gli uomini, realizzando una sfera pubblica partecipativa planetaria e aprendo la strada alla società mondiale (Weltgesellschaft) e alla cittadinanza universale. In Habermas, cade definitivamente la distinzione fra “cittadino dello Stato” (Staatsbürger) e “cittadino della società” (Gesellschafts-bürger). Egli ritiene ora che siano cittadini anche tutte le persone che partecipano attivamente alla vita della società, contribuendo per esempio alla produzione di beni e servizi, ma, come nel caso dei migranti, oggi ancora resta privo di rappresentanza politica. Si applica il principio che tutte le persone abbiano effettivamente gli stessi diritti al di là della cittadinanza nazionale, in senso cosmopolitico.

Egli ritiene fondamentale il concetto di inclusione che non deve mai prevedere processi di assimilazione, ma portare a un’apertura della società, in senso interculturale, aperta alla diversità legittimandola, tanto che il filosofo e sociologo tedesco ripone grandi speranze nel potenziale d’opposizione, innovazione e di resistenza affidato a queste esistenze ingiustamente marginalizzate e nell’associazionismo del terzo settore che lavora per l’inclusione di tutti gli esclusi e dei non cittadini. Egli mette bene in evidenza che uno Stato democratico per essere tale si deve basare sempre su «principi universalistici dello stato di diritto democratico».

Chiaramente sia la televisione che gli altri strumenti di comunicazione elettronica l’orizzonte culturale e il ventaglio delle possibili esperienze umane sono certamente aumentate. Ma allo stesso tempo l’eccessiva pressione alla quale sono sottoposte le persone, i cittadini degli Stati democratici, rende molto difficile e complicato selezionare in modo razionale tutti gli innumerevoli contenuti della comunicazione. Neanche lo specialista più esperto, può facilmente controllare i significati e, soprattutto, l’attendibilità dei messaggi che riceve in continuazione, né tantomeno stabilire una relazione interattiva con la fonte emittente.

E si prevede, con chiarezza purtroppo, che la comunicazione politica, viene dominata dal codice televisivo del successo, della spettacolarità e della personalizzazione, tenderà a svuotarsi ancora di più dei suoi contenuti alti culturali, argomentativi e razionali e ad alimentare nuove forme di delega plebiscitaria. Secondo alcuni analisti, questa potrebbe essere una delle probabili ragioni del declino della partecipazione politica e del senso di appartenenza che oggi caratterizza società intensamente informatizzate come quella nordamericana ed europee.

Inoltre la capacità di attenzione dei soggetti, anziché accrescersi, per tenere il passo con l’aumento della complessità sociale, tenda inesorabilmente a ridursi sempre di più. Si riduce proprio perché cresce la quantità, non la qualità, o la varietà e l’intensità degli stimoli che riescono a catturare, anche solo per un attimo, l’attenzione degli ascoltatori. Sicuramente per queste inoppugnabili ragioni, come aveva previsto Joseph Schumpeter (1853-1950) ormai tanti anni fa, le strategie della comunicazione multimediale puntano sempre più consapevolmente su forme di persuasione subliminale, nascosta, a cominciare dalla pubblicità commerciale, dai sondaggi di opinione e dalla propaganda politica. Invece di cercare di fare appello all’attenzione consapevole del pubblico, queste pervasive e totalitarie tecniche comunicative tendono ad aggirarla, puntando su stimolazioni cognitive ed emotive segretamente associate ai contenuti o ai modi della comunicazione. Ne derivano delicati problemi di autonomia dei cittadini, di formazione dell’opinione pubblica e, cosa gravissima di conseguenza, di funzionamento dei meccanismi decisionali di uno Stato democratico. Infatti cambiano completamente il senso e i contenuti della libertà politica e cambia, inesorabilmente, il rapporto fra l’opinione pubblica, la cultura politica diffusa e i vertici del sistema politico.

Tutta la comunicazione televisiva, in particolare, prende ispirazione dalla comunicazione pubblicitaria, la quale diffonde messaggi simbolici fortemente suggestivi che esaltano il consumo, lo spettacolo, la competizione, il successo, la seduzione femminile e stimolano le pulsioni acquisitive. Questi valori, sono nettamente caratterizzati solo in senso individualistico, egoistico e contraddicono l’idea stessa di una sfera pubblica democratica che è fondata sul senso comunitario di appartenenza, condivisione e solidarietà. La comunicazione televisiva non solo non produce l’intimità, vicinanza civile e la fiducia politica che è alla base dei rapporti organici tra le persone, ma è all’origine dell’estrema atomizzazione sociale imperante nelle società contemporanee, dove le persone vivono l’una accanto all’altra senza alcuna sensibilità empatica: è lo spazio di debole o inesistente solidarietà della attuale “società tecnotronica”.

La democrazia è un regime politico nel quale la maggioranza dei cittadini deve essere in grado di conoscere, capire e di controllare i meccanismi della decisione politica e di esercitare di conseguenza direttamente o indirettamente una qualche influenza sui processi decisionali. Oggi ci sono molti dubbi che le tecnologie telematiche possano contribuire a una diffusione dei valori, come quello della solidarietà, della condivisione della partecipazione attiva tipiche delle istituzioni democratiche. Evidente che la possibilità di prendere decisioni politiche pertinenti dipende dalla capacità degli attori sociali di controllare, partecipare e selezionare criticamente le proprie fonti cognitive, in un contesto di grande trasparenza dei processi decisionali.

Un decisione politica consapevole e effettivamente democratica richiede, come prima cosa, un’efficace tutela e trasparenza del pluralismo delle emittenze, della libertà degli informatori e della autonomia degli informati.

Il filosofo Jacques Derrida (1930-2004), ha giustamente sostenuto che senza una lotta contro la concentrazione e l’accumulazione comunicativa la democrazia è destinata a divenire una pura finzione procedurale all’interno degli stessi ambiti nazionali, prima ancora che essa possa essere esportata, come molti in Occidente molti pretendono, con la proiezione planetaria delle tecnologie elettroniche.

Nella realtà ci troviamo di fronte a un vero e proprio digital apartheid cioè a una insormontabile barriera elettronica che in ambito nazionale e internazionale separa le sempre più minoranze dotate di autonomia cognitiva ed economica dalla stragrande maggioranza di persone nel mondo che ne sono assolutamente prive.

In conclusione senza il diritto effettivo e realizzato a livello mondiale ad una informazione plurale e trasparente, senza le gravi disparità economiche attuali, non sarà più possibile un corretto processo democratico inclusivo. Lo stesso filosofo liberale Karl Popper nel suo libro Cattiva maestra televisione denuncia i problemi che la televisione e la sovraesposizione al consumo di programmi possono provocare. La televisione manda in onda soprattutto violenza, sesso e sensazionalismo, che bloccano così la libertà delle menti.

La televisione quindi crea danni perché abitua alla violenza. La provocazione lanciata nello scritto è giustificata dalla volontà di Popper di difendere la libertà dei singoli e delle loro menti. Popper, infatti, attribuiva alla televisione la capacità di agire in maniera inconscia, imponendo inesorabilmente a tutti gli spettatori modelli di riferimento e gusti individuali e spingendo ad adeguarsi in modo solo passivo a certi standard di opinione e di comportamento. Il filosofo era convinto che attraverso programmi diseducativi il sistema televisivo sia in grado di diffondere la violenza nella società, provocando “una perdita dei sentimenti normali del vivere in un mondo bene ordinato in cui il crimine sia una sensazione eccezionale”. Il meccanismo si aggrava nel caso dei giovani che, essendo più influenzabili, rischiano di confondere la finzione con la realtà, cedendo a una visione irreale della vita. La proposta di Popper di rilasciare un’autorizzazione specifica alla fine di un corso per responsabilizzare i produttori televisivi, e renderli consapevoli del loro ruolo, è dovuta alla consapevolezza che molto spesso, forse sempre, gli autori sacrificano la qualità dei loro prodotti per l’audience. Non vuole dunque limitare la libertà, ma preservarla dal totalitarismo televisivo, molto più complesso ed efficace di quelli conosciuti fino a ora nella storia. Popper sostenne che: “Bisogna privare il consumatore del suo piacere? Sì, se il suo piacere costituisce un pericolo per gli altri. … Certe persone, con il loro atteggiamento di rifiuto della violenza, non diventerebbero pericolose anche se vedessero le peggiori cose alla televisione, mentre altri possono esserne influenzati”. Parole che scritte da un filosofo liberale e libertario come Popper dovrebbero far riflettere. Egli è considerato un filosofo politico difensore della democrazia e dell'ideale di libertà e avversario di ogni forma di totalitarismo.

Egli è noto per il rifiuto e la critica dell'induzione. «Ogni qualvolta una teoria ti sembra essere l'unica possibile, prendilo come un segno che non hai capito né la teoria né il problema che si intendeva risolvere» (Karl Popper, Conoscenza oggettiva: un punto di vista evoluzionistico). Ma nel caso del controllo serio e totale dei programmi trasmessi dalle televisione non transige, bisogna farlo, anche se può sembrare un assunto totalitario, per difendere il bene assoluto che è la democrazia dove «La società aperta è aperta a più valori, a più visioni del mondo filosofiche e a più fedi religiose, ad una molteplicità di proposte per la soluzione di problemi concreti e alla maggior quantità di critica.

La società aperta è aperta al maggior numero possibile di idee e ideali differenti, e magari contrastanti. Ma, pena la sua autodissoluzione, non di tutti: la società aperta è chiusa solo agli intolleranti» (Karl R. Popper, La società aperta e i suoi nemici, vol. I, Platone totalitario, dalla IV di copertina), Infatti nello stesso libro scriveva: «La tolleranza illimitata porta alla scomparsa della tolleranza. Se estendiamo l'illimitata tolleranza anche a coloro che sono intolleranti, se non siamo disposti a difendere una società tollerante contro gli attacchi degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con essi … Dovremmo rivendicare, nel nome della tolleranza, il diritto a non tollerare gli intolleranti».

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