NYT rompe l'ultimo tabù: Armi atomiche all'Ucraina come ultimo atto dell'amministrazione Biden?
Joe Biden potrebbe ridare a Kiev "le testate atomiche toltele nel 1991", scrive The New York Times. Come reagirebbe Mosca?
di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico
Pare ci sia un po' di apprensione, a Kiev, da quando, ieri, Donald Trump ha annunciato di aver nominato Keith Kellogg inviato speciale per l'Ucraina e la Russia, sapendo che l'ex generale, già in estate, aveva proposto un piano che prevede il congelamento del conflitto in Ucraina sulla linea del fronte, la revoca di alcune sanzioni alla Russia, ma, soprattutto, il blocco di qualsiasi tranche all'Ucraina finché Zelenskij non accetta di negoziare.
Ma, come si dice, “It's a Long, Long Way to” 20 gennaio, con l'entrata in carica a pieno titolo di Trump; e forse anche per questo Biden cerca di mandare, ora, quanto più possibile ai nazisti ucraini, sia in soldi che in armi.
E allora, ecco che tra Washington e Bruxelles c'è chi parla di fornire armi nucleari alla junta (forse “Tomahawk”) in risposta, dicono quei signori, al lancio del “Orešnik” su Dnepropetrovsk ed è insomma non solo dubbia e prematura la speranza in una deescalation del confronto politico-militare; no: c'è proprio qualche criminale che è al lavoro perché la situazione si faccia davvero drammatica. Joe Biden potrebbe ridare a Kiev le testate atomiche toltele nel 1991, scriveva il 21 novembre citando funzionari il The New York Times. Siamo insomma, come qualcuno ha già ricordato, alla terza “crisi dei missili”, dopo quella di inizi anni '60, quella dei Pershing e Cruise una ventina d'anni dopo e ora questa, in condizioni già di per sé incandescenti. Tanto che il portavoce presidenziale russo, Dmitrij Peskov, non ha perso tempo e ha immediatamente dichiarato che Mosca giudica chi propone di dare armi nucleari a Kiev come «l'ala estrema della linea più provocatoria» occidentale. Cui, ovviamente, Mosca risponderà in forme e tempi adeguati.
E il vicepresidente del Consiglio di sicurezza, Dmitrij Medvedev, ha definito la faccenda una vera e propria preparazione a un conflitto nucleare con la Russia. A sua volta, il direttore del FSB, Alexandr Bortnikov, parla di incitamento anglosassone a Kiev a «compiere atti di terrorismo nucleare», oggi che l'Ucraina majdanista è già da tempo centro d'attrazione per mercenari e terroristi da tutto il mondo, oltre che mercato nero di armi da destinare überall per il globo terraqueo, con grossi profitti per le industrie belliche euro-atlantiche e ricche bustarelle per ministri nazigolpisti. Senza dimenticare né le minacciose bravate di Vladimir Zelenskij, che appena qualche settimana fa pretendeva «o la NATO o l'atomica», né la possibilità che gli stessi fisici ucraini realizzino una bomba atomica al plutonio, che necessita di una quantità di plutonio cinque volte inferiore all'uranio.
E ora, con questa nuova tornata nucleare, non è proprio il caso di prenderla sottogamba: ogni volta che ne parlano, non è che poi lascino perdere e dicano “lo abbiamo detto così, tanto per dire”; no: nemmeno un paio d'anni prima cianciavano sulla impossibilità di fornire all'Ucraina materiali bellici letali («solo elmetti, kit di pronto soccorso e giubbotti antiproiettile», dicevano) e poi sono passati ai carri Leopard, ai caccia F-16 e poi ai missili. E ora parlano dell'atomica, in parallelo ai piani di una “coalizione di Paesi europei” disposti a inviare truppe in Ucraina e composta da Gran Bretagna, Francia e Polonia. Truppe che, a parere di Rostislav Ishchenko, che ne scrive su Ukraina.ru, potrebbero arrivare alle 4-500.000 unità, in grado, se non altro, di “impensierire” i comandi russi. Ma, ammesso anche che i tre paesi non siano poi in grado di mettere insieme tali numeri – per un intervento rapido, non potrebbero contare che su 20-25.000 uomini “pronti a muovere” – le forze eventualmente inviate andrebbero quindi, in definitiva, a servire la dislocazione di quei mezzi nucleari di cui ora si parla.
E, citiamo ancora Ishchenko, ammesso che i discorsi sull'atomica richiedano del tempo (e, soprattutto, decisioni complesse) potrebbero però preludere a una più forte pressione su Berlino, affinché si decida a mandare a Kiev i propri “Taurus”, forse in cambio dell'abbandono del progetto nucleare della “coalizione”. Oppure, se non proprio i “Taurus”, qualche centinaio di “Mini-Taurus”, il drone d'attacco AQ100 “Bayonet” (porta 4,5 kg di esplosivo, a una velocità massima di 144 km/h, per 150 km di volo) inferiore al “Taurus” e che, dicono i tedeschi un po' impensieriti, non rappresenta una minaccia di escalation: a Berlino si rendono conto di non essere lontani da Mosca quanto lo sia Washington e, dunque, meglio non esagerare con le armi a Kiev.
Detto questo, però, non è che ci sia da stare tanto tranquilli; tutti i recenti passi e ragionamenti che arrivano da Bruxelles, Washington o Londra e Parigi non sono esattamente acquasanta e i personaggi che li mettono in circolazione non sono quello che si dice “persone perbene” e nemmeno tanto raccomandabili; casomai, piuttosto pericolose.
Insomma, sul momento a Mosca, quantomeno a livello di media – come facciamo noi a sapere cosa stiano studiando al Cremlino; anche se potremmo supporre qualcosa – si discute di come potrebbe reagire la Russia nel caso i delinquenti di qualche cancelleria euro-atlantica passino davvero dai discorsi ai fatti. Alla Duma, per esempio, nessuno si sente di escludere che l'atomica arrivi veramente a Kiev. Tanto più che non è questa la prima volta che gli atlantisti parlano di fornire a Kiev armi nucleari e, per dire, di missili gliene sono già stati consegnati un po' (per ora non quelli alla massima gettata e, fatto di gran peso, con testate convenzionali) e con quelli i nazigolpisti hanno già colpito il territorio russo.
Su Radio Komsomol'skaja Pravda, il vicepresidente del Comitato difesa della Duma, Aleksej Žuravlëv dice che l'idea, espressa dal vice Ministro degli esteri Sergej Rjabkov, sulla possibilità di dislocare missili a corta e media gittata in aree dell'Asia prossime a quelle in cui vengano dislocate analoghe armi americane (la consegna di armi nucleari a Kiev, ha detto Rjabkov, costituirebbe «il più grande passo verso un'ulteriore e completamente incontrollabile espansione del conflitto») non è affatto campata in aria, vista l'aria che tira. «Nessuno vuole una guerra nucleare. È evidente» dice Žuravlëv; ma «guardate, il mondo è praticamente uscito dai binari e noi siamo costretti a reagire. Abbiamo dovuto cambiare dottrina nucleare e, in risposta all'escalation, dobbiamo colpire, per la prima volta nella storia dell'umanità, con missili balistici strategici».
E alla domanda se creda che davvero possano venir fornite a Kiev armi nucleari, Žuravlëv risponde che non si tratta di credere o no, ma del fatto che non si possa escludere tale eventualità, soprattutto ricordando gli eventi anche solo degli ultimi tre anni: armi letali all'Ucraina, sistemi missilistici in Polonia, invasione nella regione di Kursk, attacchi di missili americani e inglesi contro le regioni di Brjansk e Kursk. «Nemmeno due anni fa nessuno avrebbe potuto immaginarlo. Dunque, nemmeno il trasferimento di armi nucleari all'Ucraina ha più nulla di irrealistico».
E se Kiev riceve quelle testate nucleari e si prepara a usarle, «non possiamo rimanere a guardare mentre le nostre città bruciano tra le fiamme nucleari e soltanto dopo contrattaccare. Dovremo colpire per primi».
Ed è proprio delle ultime ore l'informazione diffusa da RIA Novosti secondo cui ““Orešnik” è in grado di portare in 17 minuti, da Kapustin Jar al QG della NATO a Bruxelles, cariche nucleari di potenza fino a 900 chilotoni - come 45 Hiroshima messe insieme – mentre ne bastano appena 15, di minuti, per arrivare alla base aerea di Ramstein e soltanto 11 per quella yankee di Redzikowo, dove lo scorso 13 novembre è stata inaugurata la base che ospita il sistema (anti)missilistico americano “Aegis Ashore”.
Per ora Mosca avverte, facendo di tutto affinché, come ha detto ancora Rjabkov, Washington sia «presa da tremore e stordimento» al solo pensiero di quali conseguenze sia foriero il loro coinvolgimento diretto nel conflitto. Per ora avverte. Poi passerà ai fatti.