Oppenheimer di Nolan, l’uomo onda-particella: solo un film di “propaganda”?

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Oppenheimer di Nolan, l’uomo onda-particella: solo un film di “propaganda”?

 

 

“In un senso crudo che non potrebbe essere cancellato da nessuna accezione volgare o umoristica, i fisici hanno conosciuto il peccato”[1]



di Giulia Bertotto per l'AntiDiplomatico

L’ultimo colossal di Christopher Nolan, ispirato al libro American Prometheus di Kai Bird e Martin J. Sherwin, è uscito nelle sale italiane il 23 agosto, mentre il Giappone sversava acqua radioattiva nel Pacifico e il capo della Wagner, Prigohzin, moriva in un incidente aereo. Un’inquietante combinazione di realtà e cinema, mentre la Terza guerra mondiale avanza.

Il fisico Robert Oppenheimer, a capo del Progetto Manhattan, che inventò la bomba atomica, viene accostato alla figura di Prometeo, il titano che rubò il fuoco agli dei per darlo agli uomini; l’archetipo del ribelle a Dio, della tracotanza della creatura contro il Creatore, che nella mitologica greca porta lo stesso messaggio di rottura e insieme emancipazione della prima coppia edenica nella tradizione ebraica. In un simbolico morso/furto l’uomo acquistò la libertà attraverso la coscienza e assunse la colpa, divenne capace di arte e incline al sadismo. L’uomo viene reso capace di libero arbitrio, ossia della possibilià di scegliere tra il bene e il male, l’unico animale contro-natura, perché paradossale, cosciente. Ecco l’uomo, già corpuscolare e ondulatorio insieme.

Oppenheimer è il Prometeo del Novecento, che dona agli uomini la combustione primordiale[2]. Ad essere precisi la elargisce agli Stati Uniti, e bisogna fare presto, prima che la bomba a fissione nucleare sia realizzata dai nazisti.


OPPENHAIMER, L’UOMO ONDA-PARTICELLA

Nolan ci restuisce un Oppenheimer uomo della dualità; per gli Usa rapppresentava infatti un valore inestimabile e un soggetto pericoloso al contempo. Era l’unico che potesse generare l’atomica, tuttavia rappresentava una minaccia per il governo americano, per la sicurezza nazionale e per le sorti stesse del mondo: non aveva nascosto le sue simpatie comuniste, pur senza essersi mai iscritto al partito. Erano anni di sconvolgimenti in diversi campi del sapere e della ricerca: in una scena il fisico americano dice ad un collega “Credi nella rivoluzione della fisica con la quantistica, della psicologia con Freud e non della società con Marx?”. Robert il fisico teorico, Robert il socialista pragmatico.

I sospetti su di lui erano alimentati soprattutto dalla sua relazione clandestina con Jean Tatlock, psichiatra e membro del partito comunista, donna anticonformista e irrequieta, che conosceva la letteratura occidentale e orientale e aveva studiato Jung. Si deve a Tatlock anche la passione di Oppenheimer per il poeta John Donne, che ispirò il nome “Trinity” per il primo test nucleare[3]. Anche sua moglie, Katherine Puening, biologa, era una ex comunista. E l’America era in piena paranoia maccartista. Per questo “I controlli si estendono a tutti i suoi contatti. Oppenheimer stesso viene interrogato dagli uomini del G-2. Nel rapporto finale viene scritto: ha consentito a una stretta cerchia di amici, noti comunisti o simpatizzanti, di prosperare intorno a lui nel progetto, fino a divnetare una parte consistente delle persone nelle cui mani sono affidati il successo e la sicurezza del progetto. E’opinione di quest’ufficio che Oppenheimer sia o incredibilmente ingenuo e quasi infantile circa il suo senso di realtà, o estremamente furbo e sleale. E’ sotto accusa, insomma. E’ il cuore dell’organismo, però è un corpo estraneo. E’ il più prezioso alleato, però è un nemico”[4]. Robert il devoto, Robert il traditore.

Nonostante la posizione ambigua del direttore del progetto, non c’era altra scelta, lo avrebbe guidato lui: vennero reclutati i più abili scienziati e fisici, i confini spinati e armati di Los Alamos delimitarono la fabbrica della catastrofe. Nel sito segreto di Los Alamos, una piccola città costruita per distruggerne altre, si svolse uno sforzo tecnico e bellico mai visto; è un campo militare, un laboratorio di ricerca scientifica, una fucina di particelle ed elementi chimici, un fortino in cui alambicchi termici lavorano alla fine del mondo. La testata doveva essere poderosa ma leggera per essere sganciata, aerodinamica ma stabile nel nucleo. Un problema chimico-matematico di proporzioni e combinazioni precisissime.

Il test Trinity venne eseguito con successo il 16 luglio 1945 nel deserto della Jornada del Muerto. Tamburi di piedi in festa e di particelle elementari in escandescenza, un trionfo mortifero di bandiere a stelle e strisce. La colonna sonora è uno scroscio di applausi e metalli pesanti.

La doppia natura del fotone, simultaneamente onda e particella, è analoga a quella del personaggio: prodigioso direttore del Progetto Manhattan e al contempo sorvegliato speciale dei servizi segreti americani, leader geniale -il suo superpotere bellico è saper prevedere le mosse dei protoni- e ostaggio a Los Alamos dell’esercito statunitense. Personaggio tragico, amletico, contraddittorio come la natura della materia. Non è mai netto nel protagonista, il confine interiore tra la hybris e il proposito genuino di inibire ogni futuro conflitto con lo spauracchio della bomba più distruttiva mai comparsa sulla terra; del resto, come detto, anche la luce è sia particella sia onda senza che questo comporti un’aporia del sistema. Dopo Hiroshima e Nagasaki Oppenheimer ottenne la fama illustre di padre della bomba atomica ma venne deriso dal presidente Truman per i suoi scrupoli morali sulla stessa. L’ennesima dicotomia in un solo uomo.


OPPENHEIMER, IL “DISTRUTTORE DI MONDI”

Eppure c’è stato un arco di tempo in cui la reazione a catena poteva essere evitata, un momento quasi magico in cui gli stregoni della meccanica quantistica che giocavano alla cessazione della stirpe umana, erano ancora in tempo per non far decadere l’uranio di Hiroshima e il plutonio di Nagasaki. Ma la fisica quantistica ci spiega anche questo: la direzione irreversibile del tempo è un’illusione prospettica delle creature[5].

Nel ‘45 Hitler si era sparato nel suo bunker e il Giappone era allo stremo, lanciare quella bomba non era più una priorità difensiva, anzi era la crudeltà più imprudente che si potesse commettere. Nolan ci mostra i vertici militari e governativi a questionare su quale obiettivo colpire: un sito abbastanza grande, di impatto mediatico, sufficientemente abitato da civili, ma non troppi, per carità. Gli Usa potevano scegliere se infierire sulla popolazione o tirare il freno a mano, se affermare la propria superiorità militare o scegliere la lungimiranza e la saggezza. Oppenheimer era al bivio della sua vita e della storia, una particella tra due fenditure: andare fino in fondo alla sopraffazione con l'ordigno più potente al mondo o calmare le acque e optare per la condivisione di quelle esiziali informazioni. Condivisione o sopraffazione? Un’altra polarizzazione.

Era una questione di potere. E il potere è contrario all’unione, potere è ciò che divide, come fa etimologicamente il diavolo, forza ontologico-centrifuga.

La decisione del nostro anti-eroe sta in una citazione della Bhagavadgita, Canto del Divino: “sono diventato Morte, il distruttore di mondi”. Oppenheimer credeva davvero a ciò che affermava, e cioè che un’arma così tremenda avrebbe avuto un effetto scoraggiante e quindi avrebbe vincolato l’umanità alla pace? Oppenheimer il distruttore di mondi era un costruttore di pace?

L’opera di Nolan inizia come un problema algebrico-chimico e diventa un problema di teodicea: come spiegare la presenza del male nel mondo e la spinta folle dell’uomo verso di esso, se c’è un Dio provvidenziale?

NON E’ UN FILM DI PROPAGANDA

Quello che accadde sulle due città è storia, e Nolan non ci mostra un solo fotogramma confuso e poche parole della devastazione nelle città giapponesi. Questo sgomenta, ma del resto è una narrazione della vita di un personaggio e non un documentario di storia.

La terza ora del film è invece spesa dal regista nel raccontare la vendetta personale di Strauss, presidente della Commissione per l’energia atomica degli Usa, nel tramare la rovina di Oppenheimer[6], titano caduto che si fa mangiare il fegato in udienza, per punirsi del rimorso. Il processo è truccato, ma il giudice della sua coscienza è ormai inappellabile. Il dilemmatico scienziato è precipitato in un buco nero dal quale non si vede nessun orizzonte catartico. L’espiazione personale del fisico, è darsi in pasto a un processo viziato. Il suo Tartaro era il senso di colpa anche se non appare mai palesemente pentito del suo frutto nefasto. Robert il ravveduto, Robert il colpevole ostinato.

L’ultima impresa titanica (!) di Nolan non è un film sulla Seconda guerra, e neppure propriamente sulla bomba, e non ci pare neppure un film di propaganda; è un film sulla condizione esistenziale lacerante dell’essere umano. Nolan non scagiona Oppenheimer e non ne fa un capro espiatorio delle azioni americane. Non si tratta di caricare il peso del mondo su un uomo solo, sarebbe riduttivo e falso.

Questa fatica di Nolan è un film biografico-storico che diventa un thriller di spionaggio, e durante la prima ora sembra talvolta di vedere la regia di Malick, per la meraviglia che rimbalza tra atomi incandescenti e stelle brillanti sulle rughe del tormentato protagonista. Sullo schermo vediamo un film apocalittico “retroattivo” che ci porta all’innesco delle reazioni atomiche che potrebbero trascinarci verso la fine della specie umana: l’innesco è nel film, lo svolgimento sta a noi.

Un’altra dualità: Oppenhaimer è un film biografico e una vicenda universale, che si sofferma sul senso di colpa (del protagonista e non solo): quello personale per il suicidio dell’amante Tatlock e quello per il destino dell’umanità, non certo libero dal fardello della guerra dopo la prima fabbricazione dell’arma di distruzione di massa più spaventosa mai vista.

La storia dell’uomo che consegnò alla propria specie la possibilità di farsi fuori dal pianeta, è una riflessione sull’unicità misteriosa e sulla solitudine dolorosa dell’essere umano, ed è anche una suggestione su questa realtà apparente che ci fa sembrare reali i nostri corpi, quando essi sono solo un'illusione temporanea di stringhe e saette di energia in agitazione. La fisica dei quanti ci illumina con una gnosi che la spiritualità conosce da sempre: le verità sono infinite e la verità è una sola, senza che questo rompa il principio di non contraddizione[7].

Il fisico sognava una bomba così mostruosa che avrebbe fatto da monito e deterrente contro ogni futura potenziale guerra. “Finché non ne inventeranno una più potente”, è la risposta del fisico ungherese Edward Teller. Proprio Marx ha avvertito “La strada per l'inferno è lastricata di buone intenzioni”.

Oppenheimer, “l'uomo più grande della storia”, così pare lo abbia definito Nolan, è quello che ha dato all'essere umano il potere di metterle fine.

Oppenheimer è il prototipo dell’essere umano: arrogante per presunzione e atterrito dalla paura, vittima innocente gettata nel mistero ed essere corrotto e depravato, divino e creaturale, corpo e anima, temporale ed eterno, particella e onda. Nell’infinito si annullano i contrari, ma in questa dimensione, nel conflitto degli opposti, non c’è Pace ma guerra.


NOTE

[1] Robert Oppenheimer, L’uomo che inventò la bomba atomica, Ray Monk Bompiani 2014.

[2] “Queste bombe sono attualmente in produzione nella loro presente forma. E forme ancora più potenti sono in fase di sviluppo. Si tratta di una bomba atomica. Si tratta dello sfruttamento del potere fondamentale dell’universo. La forza da cui il sole trae energia è stata lanciata contro coloro che hanno provocato la guerra in Estremo Oriente”, dal discorso di Truman dopo l’esplosione a Hiroshima il 6 agosto del 1945.

[3] La poesia inizia così: “Sfascia il mio cuore, Dio uno e trino”.

[4] Bomba atomica-La storia vera e incredibile dell’ordigno più potente del mondo, Roberto Mercadini, Rizzoli 2020.

[5] Per saperne di più: Buchi Bianchi, Carlo Rovelli, Adelphi 2023. Non a caso anche il fisico italiano riporta spesso citazioni dagli antichi testi spirituali indiani.

 

[7] Scrivono i fisici Hawking e Mlodinow, in Il grande disegno, Mondadori 2017, sul concetto orientale di L?l?: “La scienza classica è basata sul presupposto che esista un mondo esterno reale le cui proprietà sono definite e indipendsenti dall’osservatore che le percepisce”, mentre “secondo i principi della fisica quantistica, una particella non ha ne una posizione definita né una velocità definita a meno che e fintanto che queste grandezze non vengano misurate da un osservatore”. Non esiste una realtà perché la realtà non è fissa ma cangiante, non è immutabile ma relativa all’osservatore che la altera nell’atto stesso di osservarla, una realtà relazionale, come il suo artefice, Uno e Trino. La vecchia diatriba medievale tra realisti e nominalisti si riaffacciava nel bel mezzo della Seconda guerra mondiale.

 

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