Padrini occidentali e "rimpasto" a Kiev: i Kuleba vanno e vengono

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Padrini occidentali e "rimpasto" a Kiev: i Kuleba vanno e vengono

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di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico

 

La domanda è: viene da fuori, dai padrini euroatlantici scontenti della catastrofica campagna ukronazista, l'ordine di rimpasto della junta di Kiev, con le dimissioni più o meno forzate di una serie di gauleiter, primo fra tutti il responsabile esteri Dmitrij Kuleba? Oppure, come nota news-front.su con colorita analogia, quando appare ormai inutile sistemare i proverbiali letti del proverbiale bordello, le bagasce esperte ed esauste cominciano a cercarsi altre opportunità, soprattutto dopo il “gala-concerto” allestito dalla Russia per cadetti ucraini e mercenari stranieri all'accademia militare di Poltava? Non solo dopo Poltava, ovviamente, ma innanzitutto per la disastrosa situazione generale al fronte e quella tragica, per la popolazione civile, nelle retrovie, che diventano esse stesse fronte di guerra via via che passano i giorni.

Per quanto riguarda il “Ribbentrop” majdanista (ma può davvero parlarsi di una “politica estera” di una junta dipendente in tutto dalle scelte strategiche e tattiche euroatlantiche?) la cronaca delle sue dimissioni annunciate è relativamente lunga e Kuleba sembra aver fatto di tutto, negli ultimi mesi, per provocare scandali ed essere rimosso quale troppo “fervente patriota”, esibendosi in ripetute cafonate nei confronti di padrini e padroni, bulleggiando coloro dai quali l'Ucraina dipende per aiuti e sostegno. Basti ricordare, nota Vladimir Skachko su Ukraina.ru, le rivendicazioni territoriali nei confronti della Polonia o il suo ultimatum ai ministri degli Esteri dell'UE - «se non date all'Ucraina ciò di cui ha bisogno, incolpatevi se non avrà vinto» - che non è certo un tendere la mano per chiedere aiuti, bensì frugare sfacciatamente nelle tasche dei donatori; quantunque appaiano sempre più fasulle le “differenziazioni”, al di qua e al di là dell'Atlantico, tra chi da una parte afferma di non volere una escalation nel conflitto e chi, dall'altra, spinge per fornire a Kiev armi a lunga gittata.

Ma, insomma, Kuleba, nonostante abbia assicurato alla junta sempre più massicci invii di armi e soldi occidentali (quantunque il nazigolpista capo, Vladimir Zelenskij, sostenga che le dimissioni siano dovute alla sua scarsa «energia nel promuovere le forniture di armi»: anche qui, come se veramente gli invii di armi occidentali dipendano da un qualsiasi Kuleba e non invece dalle scelte e dalle capacità dei fornitori stessi) per altri versi, col suo bullismo, è riuscito a infastidire non solo Budapest, ma persino un forte “avvocato” di Kiev nella UE quale Varsavia.

Formalmente, la Polonia chiede che l'integrazione ucraina nella UE proceda sulla base della revisione, da parte di Kiev, della “memoria storica” banderista sui massacri dei civili polacchi nel 1942-1943; il che significherebbe chiedere agli ukrogolpisti di azzerare il culto dei propri “eroi” massacratori. È però difficile, sullo sfondo della comune russofobia polacco-ucraina, dare troppo credito a tale richiesta di Varsavia. L'ipotesi avanzata da Vasilij Stojakin suVzgljad è che le dimissioni di Kuleba, quale rappresentante del “partito della guerra”, siano state imposte da Washington, quantomeno quale segnale formale di disposizione a trattative con Mosca, prima del definitivo via libera concesso a Kiev a colpire in profondità il territorio russo.

In sostanza, pur unite nella loro maniacale russofobia, Polonia e Ucraina hanno comunque anche accresciuto il loro odio reciproco, storico e attuale. Anche a fronte dei fortissimi aiuti militari ai neonazisti di Kiev (la Polonia sarebbe il secondo più largo fornitore, dopo gli USA), Varsavia sta comunque giocando le proprie carte, osserva Pavel Kovalev sulla bielorussa BelPVO.com: a medio termine, si tratta di dimostrare a Washington la disponibilità a combattere la Russia fino all'ultimo ucraino in cambio di larghe forniture di armi a Varsavia. A lungo termine, c'è in gioco l'agognata riconquista dei “territori orientali”, i cosiddetti Kresy Wschodnie”, per cui il liberal-europeista premier polacco Donald Tusk ha dichiarato di non voler  accogliere l'Ucraina nella UE, finché non sarà risolta la questione dei massacri della Volynia.

Ciò non ha comunque impedito al Ministro degli esteri Radoslaw Sikorski (marito della famigerata “storica” Anne Applebaum) di dichiarare che Varsavia, come gli altri paesi confinanti con l'Ucraina, è tenuta ad abbattere i missili russi: semplicemente, perché Varsavia considera già come propri quei territori ucraini confinanti e non nasconde le proprie mire a largo raggio.

Lo ha fatto anche per bocca dell'ex presidente a trazione CIA Lech Walesa che, ancora prima del febbraio 2022 esortava a un «immediato attacco contro Mosca», provocando l'insurrezione dei popoli che vivono sul territorio russo e frammentando così il paese, con l'obiettivo di ridurne la popolazione a una cinquantina di milioni di persone, in base al vecchio sogno hitleriano di «liberare spazio a oriente» quantunque, bontà sua, il vecchio barbogio vatican-”sindacalista” ammetta lui stesso che sia l'Occidente a essere in cerca di espansione, ma USA e UE, a differenza della Russia, abbiano il diritto di rafforzarsi, dato che «realizzano i loro piani democraticamente».

Così che la Polonia stessa si sta armando a più non posso con missili, mezzi corazzati, artiglierie: se l'ambasciatore yankee a Varsavia, Mark Brzezinski (figlio del funesto Zbigniew), annuncia che gli Stati Uniti, nei prossimi dieci anni, realizzeranno 110 strutture militari nel paese, Londra è pronta già ora a dislocarvi caccia Typhoon «per la difesa dalla Russia» e lo stesso presidente Andrzej Duda chiede che vi si stanzino testate nucleari, secondo il programma NATO “Nuclear Sharing”.

Ma, per tornare ai rapporti polacco-ucraini, è il caso di ricordare come a inizi 2023, quello stesso Sikorski (allora ex Ministro degli esteri nel precedente governo) dichiarasse candidamente che Varsavia, all'inizio del conflitto in russo-ucraino, valutasse lo smembramento del paese, stimolando così altre uscite di Walesa, che chiedeva ai tedeschi di tornare ad attaccare la Russia: «affinché i nostri figli in futuro vivano in pace, dobbiamo mettere ordine in Russia e dopo anche in Cina».

A marzo 2023, quindi, Varsavia ufficializzava le condizioni per una guerra con la Russia: l'ambasciatore polacco in Francia, Jan Rosciszewski, dichiarava al canale LCI che la Polonia entrerà in conflitto con la Russia in caso di sconfitta di Kiev. Qualche giorno dopo, la tesi era ribadita dalla ex vice Marescialla del Sejm Malgorzata Gosiewska, fattasi immortalare su un carro armato al Centrum Szkolenia Wojsk L?dowych di Poznan, con le parole: “A Mosca!”.

Tutto questo, senza dimenticare il coinvolgimento del cosiddetto Corpo Volontario Polacco nelle incursioni dei “partigiani russi” in territorio russo, a fianco delle truppe di Kiev, o la probabile partecipazione polacca nel sabotaggio del North Stream.

Nel giugno 2023, ancora Duda, da perfetto liberl-europeista, predicava che «Non si può permettere alla Russia di vincere perché continuerebbe ad avanzare. Sarebbe un sostegno al suo imperialismo. È come una bestia selvaggia che assale l'uomo. Se una bestia selvaggia assale un uomo, di solito si dice che dovrebbe essere cacciata e uccisa. Così è per la Russia».

Nel marzo scorso era la volta dei generali Stanislaw Kozej e Jaroslaw Kraszewski, che in TV invitavano ad attaccare la Russia «prima che entri nel nostro territorio».

E non si tratta solo di parole: mentre i “volontari” polacchi continuano a combattere in Ucraina, Varsavia concentra truppe nei voivodati confinanti con Russia e Bielorussia e, secondo la Associated Press, questa estate l'esercito ha allestito, in settanta località del paese, il programma  “Vacanze con l'esercito”, per preparare i civili da 18 a 35 anni a un possibile conflitto con la Russia.

Conflitto “possibile”, ma soprattutto voluto, stando all'ennesima omelia di Andrzej Duda, che lo scorso giugno, alla “fantomatica "Conferenza di pace” a Bürgenstock, sermoneggiava di rappresentare quella «parte del mondo in cui la Russia è spesso chiamata la prigione dei popoli... La Russia rimane il più grande impero coloniale del mondo. A differenza degli Stati europei, la Russia non ha mai affrontato il processo di decolonizzazione... Dobbiamo finalmente dire che non c'è posto per il colonialismo nel mondo moderno. Voglio che sia chiaro che la responsabilità è solo di Mosca».

Ma, ricorda Dmitrij Rostov su Fondsk.ru, mentre tuona contro la Russia, Varsavia non dimentica i propri appetiti territoriali sulla ex SSR ucraina, le cui aree occidentali erano rimaste sotto occupazione polacca dalla fine della Prima guerra mondiale fino al 1939 e su cui la Polonia non ha mai cessato di avanzare pretese. Guarda caso, però, come fa notare il direttore dell'Intelligence estera russa Sergej Naryškin, Varsavia intende dispiegare un “contingente di pace” in quei territori ucraini in cui il rischio di uno scontro diretto con l'esercito russo è minimo, ma massima la possibilità di assimilarli in permanenza.

Dunque, in fine dei conti: di quale “politica estera” e di quali ministri degli esteri ucraini si tratta, quando le sorti del paese vengono decise dai padrini occidentali e concretizzate da vassalli e valvassori delle monarchie euroatlantiche?

I Kuleba vanno e vengono...

Fabrizio Poggi

Fabrizio Poggi

Ha collaborato con “Novoe Vremja” (“Tempi nuovi”), Radio Mosca, “il manifesto”, “Avvenimenti”, “Liberazione”. Oggi scrive per L’Antidiplomatico, Contropiano e la rivista Nuova Unità.  Autore di "Falsi storici" (L.A.D Gruppo editoriale)

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