Paolo Maddalena - Per costituzione le spiagge dell'Italia devono restare agli italiani
La Commissione Europea ha inviato una lettera di “costituzione in mora” all’Italia in merito alla mancata messa a “gara europea” delle concessioni balneari. Il suo obiettivo è fornire a tutti i “prestatori di servizi” europei, attuali e futuri, “la possibilità di competere per l’accesso” a questa nostra importante risorsa economica, costituita dalla “gestione” delle “spiagge”. Benché questo atteggiamento, di pura matrice neoliberista, che aiuta i ricchi a carico dei poveri, sia stata ribadita anche da una sentenza della Corte di giustizia europea (cause riunite C-458/14 e C-67/15), è agevole controbattere che essa è in palese contrasto con gli intoccabili “principi e diritti fondamentali” sanciti nella nostra Costituzione, i quali, come costantemente affermato dalla giurisprudenza costituzionale cosiddetta dei “contro limiti”, “prevalgono” sul diritto europeo.
Sorprendente è peraltro l’atteggiamento che su questo argomento sembra abbiano assunto la Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni e il Ministro delle infrastrutture Matteo Salvini, i quali, secondo notizie di stampa, vorrebbero risolvere il problema posto dalla Commissione Europea, lasciando in vita le “concessioni” già in atto e ponendo “a gara europea”, soltanto quelle poche “spiagge libere”, che sono rimaste a disposizione degli italiani. Una inaccettabile scelta che, mantenendo fede agli ignobili principi neoliberisti, che avvantaggiano i ricchi e danneggiano i poveri, toglierebbe ai cittadini meno abbienti, che non sono in grado di pagare gli esosi prezzi imposti dai “concessionari”, l’uso comune e diretto delle “spiagge libere”.
La verità è che, sia alla Commissione europea, sia ai nominati esponenti del nostro governo, è sfuggito un fatto estremamente importante: la circostanza che, con il passaggio, sancito in Costituzione, dallo Stato persona, soggetto singolo e astratto, allo Stato comunità, soggetto plurimo e concreto, anche il concetto di “appartenenza” ha cambiato il suo schema di riferimento, che non può essere più quello della “proprietà privata” (che può essere compressa, ad esempio, dalla costituzione di un usufrutto), ma la “proprietà pubblica”, da considerare, come subito notò il Giannini all’indomani dell’avvento della Costituzione, “una proprietà collettiva demaniale”, come tale non “svuotabile del suo contenuto” e cioè della “gestione” e dei conseguenti “profitti” che questa produce, poiché quello che è di tutti non può, evidentemente, essere dato a un singolo soggetto.
E non è chi non veda come, in questo nuovo assetto costituzionale, l’istituto della “concessione” dei beni demaniali, non ha più cittadinanza giuridica, poiché, come appena accennato, la sua attuazione comporterebbe una “compressione” della “proprietà pubblica demaniale” del Popolo, una compressione che è esplicitamente vietata dall’ articolo 42 della Costituzione, che, nel sancire che “la proprietà è pubblica o privata”, chiaramente si riferisce a una proprietà pubblica “piena”, nonché dal successivo articolo 43 Cost., secondo il quale “i servizi pubblici essenziali (tra i quali rientrano i servizi balneari), le fonti di energia e le situazioni di monopolio” devono essere in mano pubblica o di comunità di lavoratori o di utenti.
In altri termini, nell’attuale assetto costituzionale, i beni demaniali devono restare (con i loro cospicui guadagni) nell’ambito della “pubblica Amministrazione”, che è da ritenere l’”organo” del quale si serve lo Stato comunità, per il perseguimento dei suoi fini , tra i quali primeggia quello della “eguaglianza economica e sociale”, come solennemente prescrive il secondo comma dell’articolo 3 della Costituzione.
Dunque, si potrà parlare di contratti di appalto per la prestazione dei singoli servizi, come quelli di ristorazione, di uso di sedie a sdraio o di spogliatoi, per realizzare le cosiddette “spiagge attrezzate”, ma non si potrà di certo costituire un pressoché gratuito “diritto di impresa” ai “concessionari dei servizi balneari”.