"Patriarcato” e liberismo

"Patriarcato” e liberismo

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di Leonardo Sinigaglia


Chi è più veloce a politicizzare i casi di cronaca nera: la destra quando l’omicida è un africano o la “sinistra” quando l’omicida è un maschio? Una sfida serrata alla strumentalizzazione delle tragedie aggravata dal fatto di non essere nemmeno finalizzata alla lotta politica, ma alla costruzione di un ipocrita chiacchiericcio avente il solo scopo di ammorbare le coscienze e impedire qualunque discussione ragionata. Non fa eccezione l’ultimo omicidio che ha sconvolto il paese, quello della ventiduenne Giulia Cecchettin, brutalmente assassinata pochi giorni fa dal fidanzato.

Alla notizia della morte della giovane subito sono iniziati i rituali anatemi “femministi” contro il “patriarcato”, contro la “violenza di genere” e la “cultura dello stupro” che permeerebbe le menti di ogni singolo uomo. L’omicidio della Cecchettin sarebbe persino “omicidio di Stato”, in quanto reso possibile dall’oppressione sistemica e istituzionalizzata che le donne vivrebbero costantemente. Tra i principali propugnatori di queste tesi vi è proprio la sorella della vittima, che sui propri profili social, tra una croce rovesciata e una statua di Lucifero, addita i “bravi ragazzi che non farebbero male a una mosca” come principale rischio per le donne, invitando retoricamente a “distruggere tutto” in risposta ai femminicidi. Farneticazioni pienamente scusabili vista la terribile perdita e il profondo dolore, e che per questo non devono essere giudicate, ma che sono utili per analizzare questa prospettiva che sta venendo promossa a reti unificate e sta venendo artificialmente posta ancora una volta al centro del dibattito politico.

 

“Emergenza femminicidi”

 

Gli omicidi rappresentano per le famiglie delle persone coinvolte e per tutta la comunità un fatto traumatico di dimensioni difficilmente raggiungibili, eventi che nessuno, tranne casi limite legati all’autodifesa o a situazioni di soprusi, penserebbe mai di giustificare. E’ infatti impossibile trovare tra i cinquantanove milioni di abitanti del nostro paese anche solamente una persona disposta a legittimare o anche solo a ridimensionare la malvagità di un assassinio, che questo sia commesso ai danni di un uomo o di una donna. Eppure, stando a giornalisti, “intellettuali” e politici in Italia avremmo una “emergenza femminicidi” causata da un ricorso parrebbe sistematico alla violenza letale nei confronti delle donne nell’ambito dei loro rapporti affettivi e familiari. Anche se di ciò, culturalmente, non c’è traccia, è necessario un confronto rigoroso coi dati, in quanto nemmeno un omicida sarebbe disposto a giustificare in sé il crimine commesso. Analizzando i dati sulle donne vittime di “femminicidio” negli ultimi dieci forniti dall’ISTAT anni scopriamo…un costante calo nel numero delle vittime. Dopo il picco del 2013, con 179 vittime, si passa alle 152 del 2014, alle 141 del 2015, alle 145 del 2016, alle 123 del 2017, con un nuovo incremento nel 2018, in cui si torna ai 142 “femminicidi”, che scendono poi a 93 nel 2019. In corrispondenza della pandemia e del forte stress psicologico e sociale che questa ha portato si assiste a una momentanea risalita, con 116 vittime nel 2020 e 119 nel 2021, tornate a 100 nel 2022[1]. Non si tratta ovviamente di semplici “numeri”, ma di vite spezzate, spesso in contesti di fiducia e legame che aumentano la tragicità dei fatti, ma senza nessuna particolare rilevanza rispetto al numero di omicidi totali che si verificano ogni anno nel nostro paese, rispettivamente per lo stesso periodo 502, 475, 469, 400, 357, 345, 315, 303, 314[2]. Non esistono evidenze empiriche per parlare di “emergenza femminicidi”, ciò che esiste è la manifestazione di disagi sociali, deviazioni comportamentali, disturbi psichici ed emotivi, meschini egoismi e tendenze narcisistiche che è errato circoscrivere alla violenza ai danni delle donne o al solo omicidio.

 

Il mito del “patriarcato”

 

Il patriarcato, ossia il dominio autoritario e assoluto in seno al gruppo familiare del marito sulla moglie e del padre sui figli, è esistito e ha caratterizzato rilevanti intervalli temporali della nostra Storia, ricevendo sanzioni legali e culturali per secoli e portando a forme di oppressione sistematica del genere femminile, in maniera trasversale, per quanto differenziata, rispetto alle barriere di classe.

Questa realtà, che caratterizzò la società pre-moderna e l’evoluzione del capitalismo sino almeno alla prima metà del XX Secolo, non è riscontrabile in Italia dove si assiste ad un numero sempre più alto di divorzi, alla promozione di stili di vita fluidi e “queer”, a tassi di natalità sempre più bassi e a una sostanziale parità economica tra mogli e mariti, né in generale nella stragrande maggioranza del mondo, lasciando di sé traccia consuetudinaria in certi settori di alcune nazioni o regioni piagate dal sottosviluppo. E’ invece riscontrabile come siano sempre più marcate e rilevanti le differenze di classi e nazionali: la donna alto-borghese e/o abitante del centro imperialista USA vive condizioni socio-politiche nettamente diverse, opposte, rispetto alla donna lavoratrice e/o abitante del Sud del mondo, si pensi alle donne di Gaza. Ciò non significa ovviamente che non esistano episodi di discriminazione nei confronti del genere femminile, o forme particolari di oppressione che la rapacità liberale applica nei loro confronti, si pensi alla lotta serrata nei confronti del diritto alla maternità, ma si tratta appunto o di singoli episodi senza connotati sistemici o di applicazioni particolari di direttrici d’azione all’origine indifferenti al genere, interessate unicamente alla massimizzazione dello sfruttamento e al contenimento di qualunque spesa “superflua”.

Il “patriarcato”, al pari degli “opposti imperialismi”, non è altro che l’ennesima errata trasposizione nel tempo presente di una realtà socio-politica solo in passato esistente.  Quest’operazione non riesce ovviamente a dare i giusti strumenti d’analisi per comprendere la realtà attuale, né, conseguentemente, a fornire soluzioni. Non è un caso che al netto di numeri di “femminicidi”, fortunatamente, in discesa netta si strilli in maniera sempre più forte ed emotivamente patetica alla pretesa “emergenza”, quasi che il numero delle vittime fosse non in diminuzione, ma in crescita esponenziale!

Volendo realmente comprendere la situazione attuale prima di tutto è necessario evitare di decontestualizzare la “violenza di genere”, separandola, per dire, dai suicidi[3], dalla povertà, dai casi di depressione, dagli abusi di sostanze, dalla continua messa in discussione, materiale e culturale, della famiglia, dalla precarietà lavorativa o ancora dalla promozione istituzionalizzata a livello sociale di condotte egoiste, individualiste ed edoniste. Quella che la stampa e i politici liberali, di destra o “sinistra”, categorizzano come “violenza di genere” non è altro che un insieme di manifestazioni della violenza intrinseca ad una società, quella liberale occidentale, individualista, atomizzata, fondata sulla sopraffazione del prossimo, visto unicamente come un mezzo per raggiungere i propri fini di auto-esaltazione, uno strumento da usato o abusare alla bisogna, una società costruita a immagine e somiglianza della borghesia imperialista giunta al suo zenit di decadenza, parassitismo e depravazione. E’ giusto affermare che i parametri culturali dominanti portino a vedere le donne come un oggetto: come potrebbero non farlo, visto che tale sorte è riservata per qualsiasi altro essere vivente, dagli uomini agli animali, dai parenti agli amici.

E’ assolutamente errato quindi parlare di “cultura dello stupro” per identificare quelle idee e comportamenti più o meno inopportunii e violenti che porterebbero ipoteticamente al “femminicidio”, formando la base culturale di questa “pratica”. Molestie fisiche e verbali, la diffusione su internet di foto di genitali, insulti “sessisti” e violenze sessuali di vario grado nascono non da una cultura “misogina” e discriminatoria nei confronti delle donne, ma da una cultura edonista, narcisista e libertina di cui le donne fanno pienamente parte, e che vede, spesso e volentieri, proprio le compagini liberali “femministe” come principali apologeti. L’esaltazione della promiscuità sessuale, la lotta sfrenata a qualsiasi rapporto stabile e alla stessa idea di famiglia, bollata, tranne nelle sue varianti “arcobaleno”, come retrograda, e la mistificazione della mercificazione, propria o in senso lato, della propria sessualità come pratica auto-affermativa ed emancipatrice sono le vere cause di quei comportamenti che vengono, erroneamente, definiti come parte della “cultura dello stupro”.

L’(a)moralità individualista postmoderna e neoliberale: ecco la vera sovrastruttura che condiziona comportamenti giustamente bollati come vili e lesivi della dignità delle vittime. Ma questa non è promossa unicamente dall’uomo che si permette di molestare una donna, o di inondare l’etere con le immagini dei propri genitali, ma anche dalla stessa donna che, in maniera socialmente accettata, si “esprime” attraverso l’esposizione “soft porn” del proprio corpo, che mente su uno stupro subito o che pratica violenza emotiva e psicologica nei confronti dei propri compagni o pretendenti.

 

A chi giova la misandria

 

Volendo aver chiara la situazione, questa è una domanda da porsi. Quali sono gli obiettivi politici di questa campagna organizzata di diffusione della misandria, ossia l’odio verso il genere maschile, nel nostro paese? A chi giova promuovere l’idea, folle ed errata, che ogni uomo sarebbe “un potenziale stupratore”, da “castrare” preventivamente e da sorvegliare con un particolare interesse? A coloro i quali hanno tutto l’interesse a fomentare l’ennesimo conflitto orizzontale, l’ennesima “lotta tra poveri” che divide ulteriormente le classi subalterne e ne inquina il pensiero.

L’abbattimento delle barriere sociali ed economiche di genere fu una conseguenza di due grandi avvenimenti storici, intrinsecamente collegati: lo sviluppo delle forze produttive con l’industrializzazione di significative parti del mondo; la Rivoluzione d’Ottobre, frutto di un’azione comune di donne e uomini, di diverse nazionalità e delle classi subalterne, e il conseguente avanzamento pluri-decennali della democrazia popolare in ogni angolo del Pianeta. Fu proprio la costruzione dell’Unione Sovietica e il poderoso impeto dato da ciò al movimento comunista internazionale a portare, direttamente o per riflesso, a un miglioramento sensibile delle condizioni delle donne nella società, frutto non già di concessioni liberali, ma risultato di una lotta politica comune, verticale nella sua direzionalità. Al contrario, ad aver tenuto la donna fuori dalla vita politica e sociale per secoli è stato proprio il regime liberal-borghese, lo stesso che oggi, mutatis mutandis, promuove altre forme di conflittualità orizzontale date dalla sua evoluzione sovrastrutturale. Tra queste la diffusione del sentimento misandrico e la colpevolizzazione del maschio in quanto tale risponde alla duplice esigenza di assecondare le tendenze del capitalismo “woke” e di svirilizzare la società, equiparando alla violenza qualsiasi manifestazione dell’essere maschile sulla base di chiavi interpretative errate, di preconcetti e di veri e propri “blitz propagandistici” dalla chiara regia politica.

Non è un caso che in un momento di estrema debolezza del regime egemonico imperialista statunitense si assista all’esplosione di campagne come quella di questi ultimi giorni, mirate a strumentalizzare la morte di una giovane al fine di rafforzare il dominio ideologico degli imperialisti e la presa culturale sul paese dei loro paria locali. La retorica sul “patriarcato”, sui “femminicidi” e sulla “cultura dello stupro” va interamente respinta e denunciata per quello che è: un tentativo liberale e reazionario di confondere le masse, e di mobilitarle a sostegno dello status quo con il camuffamento di un estetica ribellistica e anarcoide.


[1] https://www.istat.it/it/archivio/femminicidio

[2] https://www.istat.it/it/archivio/omicidi

[3] Realtà tragicamente ben più consistente di quella dei “femminicidi”, e che affligge in proporzioni ben maggiori il genere maschile https://www.agi.it/cronaca/news/2023-09-09/numero-suicidi-in-aumento-uno-ogni-10-ore-22953050/#:~:text=Dal%20lavoro%20dei%20ricercatori%20emerge,uscite%20sui%20giornali%2C%20erano%20stati.

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