Pepe Escobar - Due anni dopo, lo spirito di Soleimani acquista forza
Tradotto dall'inglese all'Italiano per LAntiDiplomatico da Nora Hoppe
Gli americani possono aver assassinato Soleimani, ma l'aggressione illegale non ha ostacolato neanche un po' i piani del generale della Forza Quds per l'Asia occidentale, e potrebbe addirittura averli accelerati.
Due anni fa, il 2020 è iniziato con un omicidio.
Aeroporto di Baghdad, 3 gennaio, 00:52. L'assassinio del generale Qassem Soleimani, comandante della Forza Quds del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche (IRGC), insieme ad Abu Mahdi al-Muhandes, vice comandante delle forze irachene Hashd al-Shaabi, da missili AGM-114 Hellfire a guida laser lanciati da due droni americani MQ-9 Reaper, fu un atto di guerra.
È stato questo atto di guerra a dare il tono al nuovo decennio e ha ispirato il mio libro Raging Twenties: Great Power Politics Meets Techno-Feudalism, pubblicato un anno dopo.
Gli attacchi dei droni all'aeroporto di Baghdad, approvati direttamente dall'allora presidente degli Stati Uniti Donald Trump, erano unilaterali, non provocati e illegali: un atto imperiale concepito come una forte provocazione capace di scatenare una reazione iraniana che sarebbe stata poi contrastata dall'"autodifesa" americana, confezionata come "deterrenza".
Chiamiamola una forma perversa di double down, false flag rovesciata.
Il barrage narrativo imperiale l'ha fatto passare come "uccisione mirata": un'operazione preventiva che ha schiacciato la presunta pianificazione di Soleimani di "attacchi imminenti" contro diplomatici e truppe statunitensi.
Non è stata fornita alcuna prova a sostegno dell'affermazione. E l'allora primo ministro iracheno Adel Abdul-Mahdi, di fronte al Parlamento, ha offerto il contesto definitivo: Soleimani, in missione diplomatica, si era imbarcato su un volo regolare Cham Wings Airbus A320 tra Damasco e Baghdad. Era coinvolto in complessi negoziati tra Teheran e Riyadh, con il primo ministro iracheno come mediatore, e tutto ciò su richiesta del presidente Trump.
Così la macchina imperiale - in seguito alla presa in giro del diritto internazionale - ha assassinato un inviato diplomatico de facto. In realtà due inviati, perché al-Muhandis aveva le stesse qualità di leadership di Soleimani - promuovendo attivamente la sinergia tra il campo di battaglia e la diplomazia - ed era assolutamente insostituibile come articolatore politico chiave in Iraq.
L'assassinio di Soleimani era stato "incoraggiato" fin dal 2007 dai neo-conservatori statunitensi - supremamente ignoranti della storia, della cultura e della politica dell'Asia occidentale - e dalle lobby israeliane e saudite. Sia l'amministrazione di Bush Jr. che quella di Obama hanno resistito, temendo un'inevitabile escalation. Trump non poteva assolutamente vedere il Quadro Generale e le sue terribili ramificazioni quando aveva solo zerbini di Israele della varietà Jared-of-Arabia Kushner che gli sussurravano all'orecchio, in tandem con il principino ereditario saudita Muhammad bin Salman (MbS).
La misurata risposta iraniana all'assassinio di Soleimani è stata attentamente calibrata per evitare una vendicativa e sfrenata tracotanza imperiale: attacchi missilistici di precisione sulla base aerea di Ain al-Assad in Iraq, controllata dagli americani. Il Pentagono ha ricevuto un preavviso.
Eppure, è stata proprio quella risposta misurata che si è rivelata essere il game-changer. Il messaggio di Teheran ha reso graficamente chiaro che i giorni di impunità imperiale erano finiti: possiamo colpire le vostre risorse ovunque nel Golfo Persico e oltre, al momento della nostra scelta.
Così questo è stato il primo "miracolo" che lo Spirito di Soleimani ha architettato: i colpi missilistici di precisione su Ain al-Assad hanno rappresentato una potenza di medio rango, indebolita dalle sanzioni, e di fronte a una massiccia crisi economica/finanziaria, rispondendo a un attacco unilaterale prendendo di mira i beni imperiali che fanno parte del tentacolare Impero delle Basi.
Questa è stata una prima mondiale - inaudita dalla fine della seconda guerra mondiale.
E questo è stato chiaramente interpretato in tutta l'Asia occidentale e in vaste fasce del Sud globale come un colpo fatale alla decennale armatura egemonica del prestigio americano".
Calcolare il Quadro Generale
Tutti, non solo lungo l'Asse della Resistenza - Teheran, Baghdad, Damasco, Hezbollah - ma in tutto il Sud globale, sono stati consapevoli di come Soleimani ha guidato la lotta contro l'ISIS in Iraq dal 2014 al 2015, e come è stato determinante nella riconquista di Tikrit nel 2015.
Il segretario generale di Hezbollah Hassan Nasrallah, in una straordinaria intervista, ha sottolineato la "grande umiltà" di Soleimani, anche "con la gente comune, la gente semplice". Nasrallah ha raccontato una storia essenziale per collocare il modus operandi di Soleimani nella vera - non fittizia - guerra al terrore che merita ancora di essere citata per intero due anni dopo il suo assassinio:
"In quel periodo, Hajj Qassem ha viaggiato dall'aeroporto di Baghdad all'aeroporto di Damasco, da dove è venuto (direttamente) a Beirut, nella periferia sud. È arrivato da me a mezzanotte. Ricordo molto bene quello che mi ha detto: 'All'alba devi avermi fornito 120 comandanti di operazioni (Hezbollah)'. Ho risposto: 'Ma Hajj, è mezzanotte, come posso fornirti 120 comandanti?' Mi ha detto che non c'era altra soluzione se volevamo combattere (efficacemente) contro l'ISIS, per difendere il popolo iracheno, i nostri luoghi santi [5 dei 12 Imam dello sciismo Twelver hanno i loro mausolei in Iraq], le nostre Hawzas [istituzioni educative islamiche], e tutto ciò che esisteva in Iraq. Non c'era scelta. 'Non ho bisogno di combattenti. Ho bisogno di comandanti operativi [per supervisionare le Unità di Mobilitazione Popolare irachene, PMU].' Ecco perché nel mio discorso [sull'assassinio di Soleimani], ho detto che durante i circa 22 anni del nostro rapporto con Hajj Qassem Soleimani, non ci ha mai chiesto nulla. Non ci ha mai chiesto nulla, nemmeno per l'Iran. Sì, ce l'ha chiesto solo una volta, ed è stato per l'Iraq, quando ci ha chiesto questi (120) comandanti delle operazioni. Così è rimasto con me, e abbiamo iniziato a contattare i nostri fratelli (Hezbollah) uno per uno. Siamo stati in grado di portare quasi 60 comandanti operativi, tra cui alcuni fratelli che erano in prima linea in Siria, e che abbiamo mandato all'aeroporto di Damasco [per aspettare Soleimani], e altri che erano in Libano, e che abbiamo svegliato dal loro sonno e portato dentro [immediatamente] dalla loro casa perché l'Hajj ha detto che voleva portarli con lui sull'aereo che lo avrebbe riportato a Damasco dopo la preghiera dell'alba. E infatti, dopo aver recitato insieme la preghiera dell'alba, volarono a Damasco con lui, e Hajj Qassem viaggiò da Damasco a Baghdad con 50-60 comandanti Hezbollah libanesi, con i quali andò in prima linea in Iraq. Ha detto che non aveva bisogno di combattenti, perché grazie a Dio c'erano molti volontari in Iraq. Ma aveva bisogno di comandanti [esperti in battaglia] per guidare questi combattenti, addestrarli, trasmettere loro esperienza e competenza, ecc. E non se n'è andato finché non ha preso la mia promessa che entro due o tre giorni gli avrei mandato i restanti 60 comandanti".
Un ex comandante sotto Soleimani che ho incontrato in Iran nel 2018 aveva promesso a me e al mio collega Sebastiano Caputo che avrebbe cercato di organizzare un'intervista con il maggior generale - che non ha mai parlato ai media stranieri. Non avevamo motivo di dubitare del nostro interlocutore - così fino all'ultimo minuto di Baghdad abbiamo fatto parte di questa selettiva lista d'attesa.
Per quanto riguarda Abu Mahdi al-Muhandes, ucciso fianco a fianco con Soleimani negli attacchi dei droni di Baghdad, ero con la giornalista Sharmine Narwani e un piccolo gruppo che ha passato un pomeriggio con lui in una casa sicura dentro - non fuori - la Zona Verde di Baghdad nel novembre 2017. Il mio rapporto completo è qui.
Soleimani può essere stato una superstar rivoluzionaria - molti nel Sud globale lo vedono come il Che Guevara dell'Asia occidentale - ma dietro diversi strati di mito era soprattutto un ingranaggio abbastanza articolato di una macchina molto articolata.
Anni prima dell'assassinio, Soleimani aveva già previsto un'inevitabile "normalizzazione" tra Israele e le monarchie del Golfo Persico.
Allo stesso tempo, era anche molto consapevole della posizione della Lega Araba del 2002 - condivisa, tra gli altri, da Iraq, Siria e Libano - che questa 'normalizzazione' non può nemmeno iniziare ad essere discussa senza uno stato palestinese indipendente e vitale sotto i confini del 1967 con Gerusalemme Est come capitale.
Soleimani ha visto il Grande Quadro in tutta l'Asia occidentale, dal Cairo a Teheran, dal Bosforo al Bab-al-Mandeb. Aveva certamente calcolato l'inevitabile 'normalizzazione' della Siria nel mondo arabo, così come la linea temporale seguita dall'Impero del Caos per abbandonare l'Afghanistan - anche se probabilmente non la portata della ritirata umiliante - e come questo avrebbe riconfigurato tutte le scommesse dall'Asia occidentale all'Asia centrale.
Non è difficile vedere Soleimani che già prevede quello che è successo il mese scorso. Il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu è andato a Dubai e ha firmato alcuni accordi commerciali con un profondo significato politico, seppellendo una viscerale rivalità intra-sunnita.
Mohammad bin Zayed (MbZ) di Abu Dhabi sembra scommettere contemporaneamente su un accordo di libero scambio Israele-Emirati e una distensione con l'Iran. Il suo consigliere per la sicurezza Sheikh Tahnoon ha incontrato il presidente iraniano Raisi a Teheran a metà dicembre e hanno discusso perfino lo Yemen.
Ma la questione chiave in tutte queste trattative è un corridoio di transito terrestre innovativo che potrebbe correre tra gli Emirati Arabi Uniti, l'Iran e la Turchia.
Nel frattempo, il Qatar - interlocutore privilegiato sia della Turchia che dell'Iran - è impegnato a finanziare i costi dell'amministrazione di Gaza, in un delicato equilibrio con Israele che ripropone in qualche modo un ruolo simile di Doha nei negoziati tra gli USA e i talebani.
Ciò che Soleimani non ha potuto realizzare, fianco a fianco con al-Muhandes, è stato quello di impostare un percorso iracheno praticabile dopo l'inevitabile ritiro imperiale - anche se il loro assassinio può aver accelerato la spinta popolare per la definitiva cacciata degli americani. L'Iraq rimane profondamente diviso e ostaggio di una politica meschina e provinciale.
Eppure, lo spirito Soleimani persiste quando si tratta dell'Asse della Resistenza - Teheran-Baghdad-Damasco-Beirut - di fronte alla massiccia sovversione imperiale, sopravvivendo ancora a ogni possibile sfida.
L'Iran è sempre più solidificato come il nodo chiave delle Nuove Vie della Seta nell'Asia sud-occidentale: la partnership strategica Iran-Cina, potenziata dall'adesione di Teheran alla SCO, sarà tanto forte geoeconomicamente quanto geopoliticamente.
In parallelo, Iran, Russia e Cina saranno tutti coinvolti nella ricostruzione della Siria - con progetti BRI che vanno dalla ferrovia Iran-Iraq-Siria-Mediterraneo orientale a, nel prossimo futuro, il gasdotto Iran-Iraq-Siria, probabilmente il fattore chiave che ha provocato la guerra per procura americana contro Damasco.
I Hellfire [fuochi d'inferno] non sono benvenuti.