Perù: il "golpe" dimenticato
di Vincenzo Brandi
Mentre tutti i riflettori erano puntati sui disordini organizzati a Brasilia dai militanti brasiliani di estrema destra fedeli dell’ex presidente Bolsonaro (disordini comunque finiti nel nulla e nel ridicolo per non essere riusciti a coinvolgere né le forze armate né la popolazione), i nostri media hanno invece quasi taciuto, o dato solo poche notizie false e fuorvianti su un “golpe” di fatto avvenuto in Perù all’inizio di dicembre ai danni del presidente di sinistra Castillo con il suo sanguinoso strascico di proteste e repressione che dura tuttora.
Pedro Castillo, ex maestro e sindacalista ed ex dirigente di una formazione socialista ed antimperialista, Perù Libero, era stato eletto presidente il 28 luglio 2021 battendo per pochi voti la candidata dell’estrema destra Keito Fujimori, figlia d’arte dell’ex presidente ed ex dittatore ultraconservatore di destra, Fujimori. Il programma su cui era stato eletto era fortemente orientato a sinistra prevedendo una riforma agraria, un programma di sostegno economico ai contadini poveri che formano gran parte della popolazione, ed il salario minimo (provvedimento importante in un paese di enormi differenze sociali), infine la convocazione di un’Assemblea Costituente che avrebbe dovuto approvare le riforme necessarie ad affrontare i drammatici problemi del paese.
Ricordiamo che il Perù è un paese in cui le grandi differenze sociali riguardano non solo le differenze tra le masse lavoratrici più povere ed una borghesia imprenditoriale bianca conservatrice erede dei Conquistadores spagnoli, alleata con le grandi compagnie multinazionali (a direzione statunitense) che sfruttano le ingenti risorse minerali del paese, ma riguardano anche la frattura etnica tra la borghesia bianca immigrata e la massa dei contadini e lavoratori autoctoni indios Quechua, che avevano dato luogo all’impero degli Incas distrutto dal Conquistador Pizzarro, Questi popoli tuttora occupano gli altipiani delle Ande e sono afflitti da discriminazioni e povertà. In questa situazione di forti discriminazioni anche l’esercito (tranne qualche apprezzabile eccezione) si è sempre schierato con la destra a garanzia del “mantenimento dell’ordine”.
Fin dall’inizio l’Assemblea Nazionale peruviana, a larga maggioranza conservatrice e reazionaria, ha reso la vita impossibile a Castillo impedendogli di attuare il suo programma. Mentre venivano continuamente sollevate contro di lui le solite mai provate accuse di corruzione (la stessa tattica usata contro Lula in Brasile), la destra parlamentare ha avanzato varie richieste di “impeachment” per “incapacità morale”. Castillo ha cercato di mediare all’inizio licenziando il suo primo ministro Guido Bellido, noto per le sue idee marxiste e di estrema sinistra; ma poi, di fronte agli attacchi sempre più forsennati, il 7 dicembre scorso si è deciso a chiedere lo scioglimento dell’Assemblea legislativa per indire nuove elezioni. Ciò è bastato ai suoi nemici per accusarlo di tentato “golpe” e per farlo arrestare, sostituendolo con la vice-presidente Dina Boluarte (giù espulsa da Perù Libero come traditrice). In realtà era successo esattamente il contrario. I sostenitori di Castillo, ben consci che il vero “golpe” era quello fatto contro il loro Presidente, manifestano ancora per le strade con le “forze dell’ordine” che continuano a mietere vittime sparando ad altezza d’uomo.
Ricordiamo che la tragica storia dell’America Latina è stata caratterizzata da decine di colpi di stato nati per bloccare le istanze progressiste, rivoluzionarie ed antirazziste: in Argentina, in Uruguay, in Cile nel 1973 quando fu ucciso il Presidente Allende. Non sempre però i golpisti (spalleggiati in genere dagli USA che volevano mantenere il loro predominio in America Latina) hanno prevalso. Nel 2002 il golpe contro il Presidente rivoluzionario Chavez in Venezuela è fallito grazie alle sollevazioni popolari, così come quelli tentati nel 2019 contro il suo successore Maduro e contro il Presidente della Bolivia Evo Morales, rappresentante della maggioranza india autoctona della Bolivia e di tutte le classi popolari del paese. Ci auguriamo che le proteste a favore di Castillo vadano avanti ed abbiano buon esito, e che la Boluarte faccia la fine della presidentessa golpista in Bolivia, Jeanine Anez, condannata a 10 anni dopo il ritorno di Morales. Intanto il Presidente imprigionato ha raccolto già la solidarietà di Cuba, Venezuela, Argentina, Colombia, Messico, Honduras ed altri stati latino-americani con governi (anche recenti) di area rivoluzionaria e progressista (nel silenzio generale dei nostri media), mentre la golpista Boluarte ha ottenuto (ovviamente) la solidarietà degli Stati Uniti.