Perché Andrea Agnelli non si è ancora dimesso?

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Perché Andrea Agnelli non si è ancora dimesso?

Andrea Agnelli è ancora al suo posto. Non mi aspettavo che si dimettesse; non solo è un miliardario ma è un figlio di papà, vissuto in una bolla di privilegio e credendosi un dio, viziato e presuntuoso ai limiti del solipsismo patologico; così pieno di sé, dunque, da poter far finta di niente (anche nel senso che non le ha smentite) davanti alle accuse, riprese dalla stampa internazionale, di essere un doppiogiochista, un traditore e un bugiardo seriale. Che prima di diventare il padrone della Juventus l'improvvido Andrea si occupasse di promozione e comunicazione in imprese come la Philip Morris spiega chiaramente cosa significhi meritocrazia nel liberismo: chi è ricco e famoso è automaticamente il migliore, anche se inetto.
 
Speravo però che lo costringessero a lasciare. È un tragico segno del baratro in cui il berlusconismo ha fatto precipitare l'Italia (temo irrimediabilmente, almeno nel medio termine) che dopo una così palese dimostrazione di inaffidabilità e incompetenza il rampollo degli americani Elkann resti ancorato alla sua poltrona. Del resto a questo serviva l'acquisto della “Repubblica” e di metà della stampa da parte degli Elkann: a comprarsi l'impunità, non legale (a quella ci pensano i loro avvocati milionari e i politici al loro servizio) bensì pubblica, mediatica. Nell'indifferenza generale: nessuno che sia sceso in piazza a protestare e tirare monetine, nessun intellettuale che si sia stracciato le vesti: non credo per paura di ritorsioni, molto peggio, per paura essere considerati fuori moda. La società dell’immagine e delle apparenze in effetti è solo, banalmente, una società del denaro. In Italia più che altrove.
 
In realtà temo che sia persino peggio e che anche senza le manipolazioni della stampa prezzolata, a buona parte degli juventini Agnelli piacesse e continui a piacere, proprio per quello che è, come ai milanisti piaceva Berlusconi; perché gli importa solo la vittoria, anche se ottenuta facendo regali agli arbitri o, più recentemente, comprandosi tutti i giocatori migliori, inclusi quelli inutili ma che andavano sottratti ai potenziali avversari.
 
Che occasione perduta. A far crollare il progetto della Superlega sono stati i tifosi inglesi e in parte quelli spagnoli; quelli del Manchester United sono riusciti a far cadere la testa di Ed Woodward, di fatto il padrone della società e colui, suppongo, che aveva assicurato al progetto il sostegno miliardario della JP Morgan, nella quale aveva lavorato (che queste relazioni incestuose siano tollerate spiega cosa sia il neocapitalismo). Mi deprime accorgermi che se fosse stato per i tifosi italiani la Superlega sarebbe stata approvata senza alcuna difficoltà e probabilmente con il loro sostegno: Franza o Spagna purché se magna, o magari anche se non si mangia, per mera inclinazione al servilismo.
 
Amo enormemente la mia cultura e il mio paese e mi è facile farne innamorare i miei studenti mostrando come la nostra tradizione costituisca un efficace modello alternativo rispetto a quello, finalmente in difficoltà, della crescita irresponsabile e insostenibile imposto dal liberismo anglosassone; ma in momenti come questo mi prende la paura di non essere che un venditore di fumo.

Francesco Erspamer

Francesco Erspamer

 

Professore di studi italiani e romanzi a Harvard; in precedenza ha insegnato alla II Università di Roma e alla New York University, e come visiting professor alla Arizona State University, alla University of Toronto, a UCLA, a Johns Hopkins e a McGill

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