Piano contro mercato - Per un salario sociale di classe

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Piano contro mercato - Per un salario sociale di classe



di Alberto Gabriele*

 
Il libro di Pasquale Cicalese “Piano contro mercato - Per un salario sociale di classe” (Gruppo LAD, 2020)[1] presenta una selezione di articoli pubblicati nell’ultimo decennio. Quest’opera (arricchita dall’introduzione di Guido Salerno Aletta e dalla postfazione di Vladimiro Giacché) costituisce un importante contributo alla lunga e dura guerra di posizione condotta in Italia e nel resto del mondo da una frazione ancora minoritaria ma combattiva di intellettuali di ispirazione marxista contro la narrazione neoliberale e la decadente deriva disfattista della “sinistra” anticomunista. 



 
Il fulcro dell’analisi di Cicalese si sviluppa attraverso l’analisi dialettica della clamorosa divergenza tra la storia di due città (per dirla in modo dickensiano): la città cinese e la città italiana.
 
Pasquale Cicalese coglie la portata epocale e gli elementi fondanti dello straordinario rafforzamento delle forze produttive, della quasi eliminazione della povertà assoluta e del miglioramento complessivo del tenore di vita grazie alla espansione sia dei salari e redditi monetari sia dei servizi pubblici nella Repubblica Popolare Cinese (RPC). Questi risultati straordinari sono dovuti al successo della strategia di sviluppo portata avanti dal Partito Comunista Cinese (PCC), fondata su una forma moderna e pragmatica di socialismo di mercato. Alla base di questa strategia vi sono alcuni fattori chiave:
 

  1.  l’indiscussa egemonia di classe esercitata dal PCC;
 
  1.  l’ampiezza del controllo diretto e indiretto mantenuto sul processo di accumulazione e sui principali mezzi di produzione (mediante la leva della proprietà pubblica e molti altri strumenti flessibile ma efficaci di regolazione);
 
 
  1. la coerenza di fondo mantenuta durante tutta la storia della RPC (prima e dopo l’inizio del processo di riforme, pur tra errori e contraddizioni che hanno portato a passi indietro a volte tragici ma temporanei), con il principio forse più ontologicamente importante del socialismo: quello del piano, giustamente descritto da Giacche’ nella postfazione come ” …  l’idea di programmazione economica, di strategia di sviluppo economico. Questo ci indica una grande direzione di ricerca e di azione politica, che in fondo altro non è che una declinazione del più generale tema - che ha costituito una dei motivi di fondo del movimento socialista sin dai suoi albori e che ha dato linfa a gran parte della storia del Ventesimo secolo - del controllo del proprio futuro da parte degli esseri umani, e in particolare quelli tra essi che avevano sempre e solo subìto gli eventi storici.”(p.166).
 
A questo proposito, tuttavia, il titolo del libro Piano contro mercato potrebbe apparire parzialmente fuorviante se preso alla lettera, ed è quindi a mio parere opportuno proporre un suggerimento interpretativo. Rispetto alla precedente esperienza del modello sovietico di pianificazione centralizzata, il PCC ha avuto il grande merito di comprendere e internalizzare assai più efficacemente nella strategia di sviluppo di lungo periodo un vincolo ineliminabile che limita i gradi di libertà dei pianificatori in qualsiasi economia contemporanea: la non eliminabilità della legge del valore, e quindi la necessità di convivere con il mercato. Naturalmente, i comunisti, pur riconoscendo scientificamente questa realtà oggettiva, non devono essere schiavi del mercato, ma esercitare su di esso una combinazione adeguata di egemonia e di comando, cercando di trasformarlo in un utile servitore del piano.
 
Piano contro mercato non va inteso quindi come una contrapposizione dicotomica, in cui il piano deve combattere e distruggere il mercato, ma come una contraddizione dialettica in cui il piano acquisisce un grado crescente di egemonia sul mercato.

Cicalese capisce molto bene questo punto, e infatti sottolinea correttamente un aspetto decisivo della strategia di sviluppo cinese: la capacità di ri-creare (inizialmente) alcuni mercati interni necessari prima nelle campagne e poi nelle città, di svilupparli ulteriormente nella sfera dell’economia nazionale e poi di proiettarli internazionalmente a livello regionale, continentale e globale. L’esempio più eclatante di questa consapevole e pianificata opera di costruzione di nuovi mercati e’, naturalmente, quella della nuova Via della Seta.
 
La triste storia della città italiana dimostra, specularmente, la stessa tesi di fondo. In sostanza, l’Italia ha fatto esattamente il contrario di quello che fatto la Cina. Non c’e’quindi da meravigliarsi che anche i risultati ottenuti siano stati esattamente opposti.

Se la Cina ha mantenuto e sviluppato in modo flessibile l’intervento dello stato nell’economia e corporativizzato le imprese industriali a controllo pubblico (rendendole formalmente molto simili alle antiche partecipazioni statali), l’Italia ha demonizzato e castrato il ruolo dello stato nell’economia e svenduto l’industria pubblica a poche famiglie di oligarchi.

Se la Cina ha sostenuto e potenziato l’accumulazione produttiva e sviluppato a ritmi eccezionali il sistema nazionale di ricerca e innovazione, l’Italia ha ceduto completamente il controllo del capitale a pochi ricchi che lo tesaurizzano invece di investirlo, e ha mandato in rovina quasi tutte le attività di ricerca e sviluppo (che un tempo, sia pure a macchia di leopardo, avevano raggiunto alcuni picchi di eccellenza di valore mondiale). 

La Cina ha perseguito con successo una strategia pacifica di sviluppo che ha grandemente aumentato la sua capacità di esercitare efficacemente la sovranità nazionale, diminuendo la dipendenza dalle potenze imperialistiche e esaltando il suo prestigio internazionale e la sua influenza mondiale.

L’Italia si è consegnata a capo chino e con mani e piedi legati nelle mani dei tedeschi e dei frugali, che giustamente continuano a trattarla come una colonia e una pezza da piedi. In Cina le condizioni di vita del popolo sono migliorate enormemente, in Italia i lavoratori hanno visto declinare sia i salari reali sia i servizi pubblici (le due componenti del salario di classe), a tutto vantaggio di una borghesia parassitaria dedica alla speculazione finanziaria e priva di dignità nazionale.
 
Culturalmente, infine, la Cina ha mantenuto materialisticamente un approccio scientifico nei confronti dei problemi dello sviluppo economico e sociale. L’Italia, invece, ha visto il prevalere e il dilagare del pensiero magico sotto forma di neoliberismo,  di sottomissione schiavile  alla dittatura del mercato (anzi, dei mercati!), e di   esaltazione dell’individualismo più folle - causa non ultima, ad esempio,  della attuale incapacità di tracciare i contagi del Covid per paura di infrangere la privacy dei morituri.
 
Ovviamente, mentre la Cina si e’ sviluppata a una velocità storicamente ineguagliata, l’Italia ha imboccato un sentiero ultra-quarantennale di declino e impoverimento. La vita e’ fatta a scale, c’e’ chi le scende e chi le sale. Se il libro di Cicalese avrà la diffusione e l’influenza che merita, forse potremo anche ricominciare a risalire, faticosamente.
 
[1] Pasquale Cicalese, Piano contro mercato - Per un salario sociale di classe, Prefazione di Guido Salerno Aletta, Postfazione di Vladimiro Giacchè. Gruppo Editoriale LAD, 2020.
 

*Alberto Gabriele è stato a lungo economista all'Unctad, organismo dell'Onu del commercio internazionale. E' esperto di mercati e politica internazionale, in particolare Cina e Vietnam.

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Il libro di Pasquale Cicalese è attualmente acquistabile nella sua versione cartacea e ebook dal sito di youcanprint. Dalla prossima settimana in tutte le librerie!

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