"Piano per la vittoria"? Il tour europeo di Zelenskij è un (mezzo) fiasco

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"Piano per la vittoria"? Il tour europeo di Zelenskij è un (mezzo) fiasco

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E così si è conclusa anche la tournée europea dell'ex (il suo mandato è scaduto il 20 maggio scorso) presidente Vladimir Zelenskij, dopo che il summit del Gruppo di contatto per il sostegno militare a Kiev, previsto alla base yankee di Ramstein per il 12 ottobre, era stato annullato su decisione della Casa Bianca, impegnata in bel altri disbrighi, interni e esterni.

Ma non sembra essere andata meglio nemmeno la gita propagandistica ad personam del nazigolpista-capo, per elemosinare armi, a uno a uno, dai leader delle capitali europee - Londra, Parigi, Roma, Berlino – e illustrare loro il suo “piano della vittoria”. A parole, sostegno pieno e incondizionato; di fatto, si parla tutt'al più di promesse. Evocando lo stile soldatesco dei suoi avi in orbace, del tipo processo di Verona contro i traditori del duce e dell'alleato germanico, Giorgia Meloni ha assicurato al suo sodale di “idee” che «continueremo a fare tutto il possibile, dal sostegno energetico a quello militare, finché sarà necessario, per aiutare l'Ucraina a realizzare una pace giusta e non quelle strade, cariche di vigliaccherie, che alcuni suggeriscono».

Non è andata meglio, si diceva, perché lo stesso nuovo segretario NATO, Mark Rutte, con cui Zelenskij si è incontrato a Londra insieme al premier Keir Starmer, ha risposto nebulosamente alla richiesta di colpire il territorio russo in profondità con missili occidentali; e così hanno fatto lo stesso Starmer e Emmanuel Macron a Parigi.

Ma non è stato un viaggio del tutto a vuoto: oltre al sostegno – più “politico” che fattivo - ricevuto nel corso del vertice di Dubrovnik “Ukraina-Europa sudorientale”, presenti i premier croato, greco, bulgaro, albanese, nordmacedone, bosniaco e i presidenti di Slovenia, Montenegro, Kosovo, in Europa a Zelenskij è stato promesso non poco, nota Anna Ponomarëva: soldi, un nuovo contingente NATO sotto forma di “istruttori militari”, Mirage 2000-5F in grado di portare missili SCALP-EG francesi. E la Banca Mondiale gestirà un fondo di intermediazione (FIF: fondatori Canada, USA e Giappone, che contribuiranno con 10 miliardi di dollari) per elargire a Kiev fondi dagli utili dei beni russi congelati, in parallelo alla concessione di un credito di 35 miliardi di euro deciso dalla UE, anche questo a spese dei fondi russi.

Ma, in fondo, il viaggio di Zelenskij, scrivono le Izvestija, ha rappresentato un gesto di disperazione, alla ricerca di sostegno, quando manca meno di un mese alle elezioni USA, e lo spettro, per Kiev, della vittoria di Donald Trump e della chiusura dei rubinetti finanziari americani. Eventualità che sarebbe molto probabilmente seguita da un parallelo allentamento anche delle promesse di aiuto europeiste, già oggi in fase, qua e là, di ripensamento. In questo senso, osserva il politologo Igor Semënovskij, Zelenskij, presentando alle capitali europee il suo “piano della vittoria” e sperando di ottenerne quel benestare non ricevuto alla Casa Bianca, potrebbe tentare, in caso di quantomeno flebile sostegno UE, di utilizzare tale conforto al momento di discutere il “piano” stesso con il prossimo presidente yankee.

Si è trattato dunque più che altro di una tournée mediatica, tesa a ricordare ai cittadini europei l'esistenza dell'Ucraina, soprattutto in quei Paesi che sono più preoccupati per i problemi interni che non del sostegno a Kiev, come dimostrano anche i più recenti sondaggi relativi all'Italia. Al contrario, punti “sensibili” per la junta di Kiev, quali il via libera a colpire il territorio russo, la fornitura di missili tedeschi a lungo raggio Taurus e la protezione dello spazio aereo ucraino da parte dei Paesi vicini, sono stati praticamente ignorati dalle cancellerie europee visitate da Zelenskij.

L'opinione degli esperti è dunque quella che sul vecchio continente, insieme a una manifesta stanchezza data dalla continuazione del conflitto e una certa sensazione di non riconoscenza ucraina per l'enorme aiuto fin qui già prestato, prima di adottare una qualsiasi decisione più o meno “risoluta”, si attendano i risultati del voto americano, per adeguarvisi.

In fondo, osserva l'analista Vitalij Volchkov, anche se la Casa Bianca dovesse accordare il benestare al “piano della vittoria” nazigolpista, altri paesi ritengono che sarebbe impossibile accogliere uno dei punti considerati da molti inaccettabili: cioè l'adesione ucraina alla NATO. Tale eventualità, che contraddice lo statuto stesso dell'alleanza di guerra – per quanto i suoi boss ci abbiano da decenni abituato a veder capovolgere, all'occorrenza, qualsiasi parola scritta o detta – è vista con preoccupazione dalla maggior parte dei membri NATO, consapevoli (quasi sempre) dei rischi per la sicurezza dei propri stessi territori: l'adesione di un Paese in stato di conflitto armato, ricorda Volchkov, estenderebbe la guerra all'intero blocco.

Tutto ciò, senza contare che proprio il rifiuto di tale adesione è una delle principali condizioni poste da Mosca a qualsiasi accordo o anche solamente all'avvio di trattative.

A conti fatti, scrivono le Izvestija, l'assenza di decisioni sui risultati della tournée nazigolpista, è dovuta anche alla posizione contraddittoria dello stesso Zelenskij, che mentre sostiene l'impossibilità di negoziare con la Russia (tanto da vietare per decreto ogni opzione in tal senso) al tempo stesso ciancia di un vertice di pace con la partecipazione di Mosca, oltre a promuovere, contemporaneamente, una “formula di pace” e un “piano della vittoria”.

Il solito metodo delle “ideologie” guerrafondaie nazifasciste.

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Fabrizio Poggi

Fabrizio Poggi

Ha collaborato con “Novoe Vremja” (“Tempi nuovi”), Radio Mosca, “il manifesto”, “Avvenimenti”, “Liberazione”. Oggi scrive per L’Antidiplomatico, Contropiano e la rivista Nuova Unità.  Autore di "Falsi storici" (L.A.D Gruppo editoriale)

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