Pino Arlacchi - Il Fentanyl e "Big Pharma"
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di Pino Arlacchi - Fatto Quotidiano, 6 febbraio 2025
La storiella della Cina e del Messico sanzionati da Trump perché responsabili dell’avvelenamento di milioni di americani che consumano il Fentanyl è un classico del populismo a trazione plutocratica: si trova un nemico esterno da incolpare, meglio se già nel mirino per altre ragioni, allo scopo di nascondere l’imbarazzante, reale matrice del problema.
Cina e Messico sono come gli immigrati, i diversi, gli outcast. Un capro espiatorio su cui riversare l’angoscia collettiva. Nelle dichiarazioni di Trump non trovate neanche un accenno sulle vere origini dell’epidemia di oppiacei. Origini che nulla hanno a che fare con i paesi demonizzati, e che si collocano, piuttosto, nel campo delle magagne profonde del capitalismo americano.
L’epidemia da oppiacei lascia ogni anno sul terreno la stessa cifra, 100 mila morti, di due guerre del Vietnam. Una tragedia interamente creata dalle maggiori industrie farmaceutiche degli Stati Uniti nel momento in cui hanno scoperto, una quindicina di anni fa, di poter mercificare il dolore facendolo diventare un’opportunità di business miliardaria.
Alla luce del sole, in piena legalità, Big Pharma – cioè Purdue Pharma, Johnson & Johnson, Teva, Endo e altri – ha creato una serie di antidolorifici ultrapotenti, tra cui il Fentanyl, 50 volte più forte dell’eroina. Farmaci somministrati in Europa solo a malati terminali e in circostanze eccezionali. Con la complicità dei medici americani inondati da 9 miliardi di dollari di pagamenti di “consulenza”, e di una agenzia di regolazione federale, la FDA, compiacente e corrotta, una ghenga di aziende ha condotto la più grande operazione di diffusione di droghe pesanti della storia. Come? Attraverso tangenti a destra e a manca a regolatori e politici. Attraverso personale sanitario e farmacisti incentivati a dovere. Attraverso centri di spaccio mascherati da cliniche del dolore e tramite aggressive campagne di marketing non frenate da nessuno. L’unico precedente di distribuzione di massa delle droghe risale alla prima metà dell’Ottocento, quando il Regno Unito mosse per due volte guerra alla Cina che aveva proibito lo spaccio dell’oppio venduto dalla East India Company a decine di milioni di fumatori cinesi. Le guerre dell’oppio servirono a raddrizzare i conti del bilancio del narco-Stato inglese.
La catastrofe sanitaria dell’America odierna ha infilato nelle fauci di Big Parma almeno 200-250 miliardi di dollari tra il 1999 e il 2009. Ma alcune stime arrivano a mille miliardi.
Nel 2021, mentre in Italia un medico ci pensava tre volte prima di prescrivere un antidolorifico più forte del paracetamolo, i suoi colleghi a stelle e strisce distribuivano con leggerezza criminale 51,4 prescrizioni per ogni 100 persone (1,1 in Italia, 4,7 in Germania). Mal di schiena e unghie incarnite curati con 100 compresse di Oxicodone.
L’industria farmaceutica statunitense ha di fatto legalizzato le droghe pesanti provocando una esplosione della domanda che ha tolto ogni plausibilità alle politiche cosiddette “antiproibizioniste”. Chi paga i costi di questa sciagura? Il costo umano di una catastrofe sanitaria che figura al primo posto tra le cause di morte degli americani di età inferiore ai 50 anni viene sopportato in modo sproporzionato dal pianeta dell’“America abbandonata”: operai bianchi, lavoratori poveri, veterani di guerra, residenti nella Rust Belt, la fascia di territorio piena di industrie andate in rovina. Gente che ha perso ogni fiducia in un Sistema sanitario che invece di proteggerli li trasforma in consumatori di sostanze letali, accompagnandoli nella fossa.
Poveracci dei quali nessuno ama parlare, e che muoiono anche a causa di una assistenza sanitaria scadente e spesso irraggiungibile. Sono i candidati alle “morti per disperazione”, così chiamate perché all’overdose si sommano spesso i suicidi, l’alcolismo, l’obesità e i disturbi mentali. Stiamo parlando di una valle di lacrime popolata da 30-40 milioni di cittadini. Circa il 10% della popolazione degli Stati Uniti.
L’America abbandonata è sovrarappresentata nella conta delle vittime da overdose e da altri mali, ma il resto della popolazione paga comunque un prezzo esorbitante, visto che il 77% dei giovani americani non è abile al servizio militare a causa del deterioramento psicofisico generalizzato.
I media mainstream hanno fiutato la disperante gravità dell’argomento oppiacei e se ne sono occupati il meno possibile, seguiti a ruota dai politici. Ma a un certo punto, qualche anno fa, quando la cifra degli intossicati cronici ha superato il paio di milioni e la platea dei consumatori saltuari e potenziali ha oltrepassato i 10 milioni, è scattata una reazione.
Gli Stati più danneggiati, quelli con i bilanci stremati dall’aumento della spesa per assistenza ai tossicodipendenti e per il contrasto dei danni collaterali (violenze, vulnerabilità ad altre patologie, incidenti di varia natura) hanno intrapreso azioni legali contro le maggiori imprese farmaceutiche terminate in risarcimenti consistenti: McKesson 26 miliardi, Walgrees 10 miliardi, Purdue 6 miliardi, etc. Fino all’aprile 2024 il totale delle penali è stato di oltre 50 miliardi di dollari. In parallelo, la FDA ha cominciato a introdurre qualche freno alla fabbricazione di ricette, e gli ordini dei medici hanno avviato qualche controllo sui dottori di manica larga e sulle cliniche del dolore.
È solo a questo punto che sono entrati in scena i narcos, i laboratori messicani e i rifornimenti dei precursori dalla Cina. Il mercato illegale ha fatto ciò che i mercati fanno sempre, rispondendo a uno spazio di domanda insoddisfatta dal capitalismo sanitario americano.
Il mercato nero è solo l’ultimo atto di una sciagura iniziata nei consigli di amministrazione di Big Pharma e proseguita fino a oggi.
La maggior parte dei tossici americani non sono vittime del Messico e della Cina, ma di un Sistema sanitario americano che antepone il profitto alla salute, di una agenzia regolatoria e di una classe medica americane succubi della fame di profitti di imprese americane. Non c’è speranza, purtroppo, di veder cambiare questa situazione. Non si è mai visto un populista pentito.