Pino Arlacchi - L'ora più buia dell'Europa
di Pino Arlacchi*
Ci dibattiamo nella melma di un’Europa ricaduta nell’inciviltà e nella barbarie, dove sulla bocca delle sue élite, dopo 80 anni di pace, ricompaiono parole di guerra e di aggressione. Bruxelles, Parigi, Londra e Berlino sembrano immemori della lezione di due guerre mondiali che hanno portato il continente sull’orlo dell’autodistruzione. La leadership europea appare rinchiusa dentro un delirio antirusso del tutto gratuito, non condiviso dagli Stati Uniti e osservato con sconcerto dal resto del pianeta, e che non cesserà prima di aver fatto ingenti danni.
In questa ora buia è importante riflettere sugli strumenti di contrasto, sulle forze della pace che sono comunque in campo. A cominciare dal diritto internazionale che Von der Leyen e soci stanno calpestando impunemente. Il piano europeo di riarmo, accompagnato da una retorica apocalittica che dipinge la Russia nei termini di una minaccia esistenziale, rappresenta una palese violazione dei principi fondamentali che governano la comunità internazionale. L’articolo 2(4) della Carta delle Nazioni Unite non lascia spazio a interpretazioni ambigue: “I membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato”. Questa norma imperativa del diritto globale viene oggi oltraggiata dalle istituzioni europee con una disinvoltura che dovrebbe allarmare ogni cittadino consapevole. La Russia post-comunista è rientrata da 36 anni nel palcoscenico della politica estera con un programma di tranquilla cooperazione multilaterale. Ha dimostrato ampiamente il suo desiderio di amicizia e di collaborazione con l’Europa occidentale e ha normalizzato i suoi rapporti con gli Stati Uniti fino in pratica a pochi anni fa. Ha aderito agli Accordi di Helsinki, ha rispettato il Trattato di non proliferazione nucleare, ha concluso numerosi patti sulla limitazione degli armamenti. Non si è trattato di gesti simbolici. La Russia di Eltsin e Putin ha smantellato l’Armata rossa, riducendo e non aumentando le spese militari fino allo scoppio della guerra in Ucraina. Qual è stata la risposta occidentale a questi sforzi? Un progressivo accerchiamento strategico, l’espansione della Nato – un relitto della guerra fredda, un morto che ha camminato fino ai confini russi – e ora, come culmine di questa strategia, un programma di riarmo giustificato dalla narrazione paranoide di una Russia determinata a invadere l’Europa occidentale.
Un elemento rivelatore della natura aggressiva di questo piano è la sua stessa esistenza in parallelo con la Nato. Se la minaccia russa fosse reale e l’intento del piano puramente difensivo, perché non utilizzare i meccanismi già esistenti dell’Alleanza atlantica? La maggior parte degli Stati membri dell’Ue appartiene già alla Nato, la cui ragion d’essere è precisamente la difesa collettiva, sancita dall’articolo 5 del suo Trattato istitutivo. Questa ridondanza degli strumenti militari tradisce l’intenzione non di proteggere ma di proiettare potenza, non di difendersi da minacce tangibili ma di aggredire. Un arsenale difensivo non necessita di una stampella aggiuntiva quando esso esiste proprio per questo scopo. La verità è che questo piano è una svolta militarista mascherata da prudenza strategica. Questa spinta guerrafondaia non è solo platealmente infondata, ma costituisce essa stessa una minaccia all’uso della forza. Presentare un Paese come aggressore incombente, in assenza di prove, serve solo a provocare, ad alimentare una spirale di tensione che potrebbe sfuggire al controllo delle parti. E trasformarsi in una profezia che si auto-adempie, dove il nemico immaginario è costretto a trasformarsi in nemico reale. Che in questo caso coincide, guarda un po’, con la maggiore potenza atomica del pianeta.
Il concetto di “difesa preventiva” che serpeggia nei documenti strategici europei è particolarmente insidioso. Il diritto internazionale riconosce la legittima difesa solo di fronte a minacce concrete e imminenti, non sulla base di ipotetici scenari futuri o peggio, di pregiudizi fasulli. Quando un’entità politica come l’Unione europea inizia a giustificare il proprio riarmo con la necessità di prevenire attacchi di cui non esiste alcuna evidenza, non sta facendo altro che minacciare l’uso della forza, violando flagrantemente l’articolo 2(4) della Carta Onu.
Ci sono diverse strade che possono essere seguite per punire questa illegalità. C’è la possibilità di un ricorso alla Corte europea di giustizia da parte di una persona fisica o giuridica o di un tribunale nazionale Ue che denunci la violazione dell’articolo 21 del trattato dell’Unione europea, che stabilisce che l’azione internazionale dell’Unione deve rispettare la Carta delle Nazioni Unite. C’è la possibilità che la Russia denunci i singoli Stati dell’Ue (che, come tale, non è nell’Onu) alla massima istituzione del diritto mondiale che è la Corte internazionale di giustizia, organo Onu custode dei trattati interstatali e della stessa Carta. Ma c’è anche la possibilità che il Consiglio di sicurezza o, meglio, l’Assemblea generale dell’Onu richieda alla Corte internazionale di giustizia un parere sul tema. Il parere non sarebbe vincolante, ma il suo contenuto – se conforme allo spirito e alla lettera della Carta – avrebbe un forte impatto sulla pretesa dell’Ue di detenere la leadership del rispetto del diritto internazionale. Sarebbe un monito verso l’abbandono della retorica bellicista e verso il ritorno ai principi di fondo, pacifici e progressivi, dell’integrazione europea.
*Il Fatto Quotidiano | 27 aprile 2025