Pino Arlacchi - Siria, il rischio di un "catastrofico successo"
di Pino Arlacchi* - Fatto Quotidiano 12 dicembre 2024
La fulminea caduta del regime di Assad ha consegnato alla Turchia e agli USA una vittoria tattica che potrebbe trasformarsi in un complesso rompicapo strategico. Gli Stati Uniti sono esposti al rischio di un “catastrofico successo”, come quello profilatosi dieci anni fa e non ottenuto durante la guerra civile per via dell’intervento di Russia ed Iran a sostegno di Assad. Mentre Erdogan si trova nella delicata posizione di dover gestire il successo in modo da non compromettere i faticosi equilibri regionali costruiti negli ultimi anni, in particolare il recente asse Ankara-Mosca-Teheran.
Questo triangolo strategico, emerso negli ultimi anni come contrappeso all'influenza occidentale in Medio Oriente, si è consolidato attorno a interessi convergenti: la comune opposizione all'egemonia americana nella regione, la gestione coordinata delle risorse energetiche, e la condivisa preoccupazione per i movimenti separatisti. La partnership, pur non priva di tensioni, ha permesso ai tre attori di coordinare le proprie politiche su questioni chiave, dalla gestione dei flussi commerciali alle risposte alle sanzioni occidentali.
La questione curda emerge come il solito nodo spinoso. Il crollo del regime di Damasco ha creato un vuoto di potere nelle regioni settentrionali della Siria, dove le forze curde tenteranno di consolidare la propria autonomia. Una prospettiva inaccettabile per Ankara. Ma un intervento militare turco troppo aggressivo in queste aree rischierebbe di compromettere il delicato rapporto con Russia e Iran.
L’ accettazione obtorto collo del nuovo assetto a Damasco da parte di Mosca e Teheran non deve trarre in inganno: entrambi mantengono interessi vitali in Siria. La Russia considera cruciale il mantenimento della sua presenza navale a Tartus, mentre l'Iran vede nella Siria un elemento chiave del proprio "arco sciita". Entrambi non accetteranno passivamente un'eccessiva influenza turca nell'area.
La questione della ricostruzione aggiunge ulteriore complessità al quadro. La Siria necessita di investimenti colossali per risollevarsi da oltre un decennio di devastazione. I gruppi sunniti vittoriosi con il sostegno occidentale non dispongono di alcuna risorsa propria da mettere in campo. La Turchia potrebbe giocare un ruolo chiave in questo processo, ma dovrà coordinare i propri sforzi con Russia e Iran, che vedono nella ricostruzione un'opportunità per mantenere la propria influenza sul paese.
Ma la maggiore preoccupazione per tutti è la natura dei gruppi vincenti. Ribattezzati come "insorti moderati”, essi non sono emersi dalle ceneri di formazioni jihadiste. Sono vecchie conoscenze della CIA, del Qatar e della Turchia rimaste tali e quali. La forza più in vista, Hayat Tahir al-Sham, HTS, non è altro che un Al-Nusra col nome cambiato. Sulla testa del suo capo pende una taglia americana di 10 milioni di dollari. Nonostante dichiarazioni di tolleranza, moderazione e disponibilità allo scioglimento, queste formazioni mantengono un'ideologia radicale. La loro fedeltà agli sponsor occidentali è altrettanto opportunistica di quella dei loro predecessori storici in Afghanistan e altrove. Esse vogliono costruire uno stato islamico al confine con Israele. Per gestire queste forze senza alienarsi Stati Uniti, Russia e Iran, Erdogan dovrà usare dosi concentrate del suo doppiogiochismo.
Lo scenario più favorevole per la Turchia, per l’Occidente e per la Russia sarebbe l'effettiva implementazione della risoluzione del Consiglio di sicurezza ONU votata all’unanimità, che prevede la formazione di un governo inclusivo che porti alle elezioni e garantisca sia il contenimento delle ambizioni curde che il mantenimento degli equilibri regionali. La strada verso questo obiettivo, però, è irta di ostacoli difficilmente sormontabili. Curdi e sunniti vittoriosi non saranno inclini a compromessi significativi, mentre le minoranze religiose siriane - alawiti, cristiani, drusi - guardano già con apprensione al nuovo corso.
Lo scenario alternativo di una prolungata turbolenza è al momento quello più probabile. Un mosaico di milizie in competizione tra loro potrebbe trasformare la Siria in un Afghanistan anni ’90, con ripercussioni negative sulla sicurezza regionale. Per la Turchia, che condivide un lungo confine con la Siria, questa prospettiva è particolarmente allarmante e potrebbe minare la sua stessa stabilità interna.
Erdogan si trova quindi di fronte a scelte strategiche cruciali. Dovrà calibrare con estrema attenzione l'uso della propria influenza sugli ex-terroristi vincitori per non incorrere nel “catastrofico successo” vagheggiato dieci anni fa dagli analisti. Il successo o il fallimento di questo equilibrismo turco potrebbe determinare non solo il futuro della Siria, ma anche i nuovi assetti dell'intero Medio Oriente.
In questo puzzle, il disimpegno americano dichiarato da Trump potrebbe rappresentare un elemento di stabilizzazione. La riduzione degli attori esterni coinvolti nel teatro siriano potrebbe semplificare il quadro strategico, facilitando il raggiungimento di nuovi equilibri regionali. Significativamente, nessuno degli attori principali - dalla Turchia all'Iran, dalla Russia ai gruppi ex-ribelli - sembra particolarmente interessato a mantenere una presenza americana nell'area. La convergenza su questo punto potrebbe favorire dinamiche regionali più gestibili, basate su interessi concreti piuttosto che su agende geopolitiche globali.
* Pubblichiamo su gentile concessione dell'Autore