“POVERO” TRUMP
«Il progresso dell’industria, del quale
la borghesia è l’agente involontario e passivo,
sostituisce all’isolamento degli operai, risultante dalla concorrenza,
la loro unione rivoluzionaria mediante l’associazione.
Lo sviluppo della grande industria toglie dunque
di sotto ai piedi della borghesia il terreno stesso
sul quale essa produce e si appropria i prodotti.
Essa produce innanzi tutto i suoi propri seppellitori.
Marx, Il Capitale, I, VII, 24.
Il capitalista non è capitalista perché
dirigente industriale ma diventa
comandante industriale perché è capitalista.
Il comando supremo nell’industria diventa
attributo del capitale, come nell’età feudale
il comando supremo in guerra e in tribunale
era attributo della proprietà fondiaria.
Marx, Il Capitale, I, 2,11
di Carla Filosa
Roma 29.01.2025
Solerte nel suo nuovo incarico, Donald non ha perso tempo per il bene degli americani – da sempre gli statunitensi sono stati chiamati così: il “tutto per la parte”! al contrario - proprio come ormai il “loro” golfo, non più del Messico, finora così insignificante con quel nome! Ha graziato i suoi pretoriani di Capitol Hill, ha promesso di scaraventare fuori dalla fortezza a stelle e strisce gli ultimi immigrati, dato che non si sa chi si salverebbe se si chiedesse agli statunitensi di buttarsi a mare qualora avessero avuto origini migratorie. Il termine “deportation” non lascia dubbi, anche se molti traducono con “rimpatrio” o “espulsione”, al punto che anche la vescova evangelica ha chiesto “misericordia” a Trump nei confronti di chi, emigrato in ritardo con la storia, teme per la propria vita.
Dimissioni dall’OMS, e dimissioni per la seconda volta dagli accordi di Parigi sulla transizione energetica, per “Make America affordable and energy dominant again”, cioè rendere l’America accessibile e di nuovo dominante in ambito energetico! Ripresa devastatrice delle trivellazioni per ottenere petrolio e gas (stimato lo scorso novembre in 4 miliardi di tonnellate in più alle emissioni entro il 2030. D’altronde le industrie dei combustibili fossili hanno sborsato 75 milioni $ per la campagna di Trump!). Minaccia di dazi e rapporti bilaterali per ramazzare denaro (plusvalore) dal mondo intero, ipotesi di annessione territoriale dei vicini Canada, Messico, Panama, e già che c’è prova anche la Groenlandia (con il no risposto dalla Danimarca), ripristino del law and order anche per i due generi riproduttivi della specie, e altri ordinamenti similari fino all’occupazione di Marte e dello spazio in un solo giorno inaugurale.
A spargere preoccupazione, paura e sgomento non ci ha messo molto. Il cattivo è lui, non c’è dubbio, si vede dalla foto dallo sguardo truce, scelta per far capire che ora non si scherza più con una America great again da rimettere in sesto da un debito estero stratosferico, da un declino culturale e d’immagine, da un dollaro in caduta libera, da una conflittualità sociale inestinguibile, da un Occidente inaffidabile, da un sogno democratico impraticabile, da un abisso di perdita di potere alle porte. La maschera che il neo eletto alla Casa Bianca è stato costretto a indossare – povero lui! - è un originale mix di narcisismo, egocentrismo, opportunismo, delirio di onnipotenza, criminalità q.b., ecc., come richiede ogni forma di cesarismo veicolato da un accumulo di ricchezza come spoliazione sociale reiterata e inestinguibile. A fargli da specchio, un vero capitalista finanziario da più di 400 miliardi di dollari, a riflettere un’immagine ambigua di sé stesso, in cui non è chiaro chi sia il vincitore, chi il padrone e chi il dipendente, chi comanda ormai apertamente e chi esegue consegnato all’apparenza.
A costringerlo è stato un intero sistema che per sopravvivere deve perseguire il mantenimento di uno status quo. Deve invocare a forza una crescita economica in nome di un nazionalismo again, in cui spera che: a) la crisi ambientale potrà diventare un’occasione di ulteriori business, b) un ripristino del law and order costituirà un invisibile privilegio riservato alla fila dei dominanti Big Tech, proprio quelli della foto ufficiale da cui spiccava E. Musk, poi M. Zuckerberg, J.Bezos, S. Altman, S. Pichai, T. Cook, Shou Zi Chew, al seguito, ora pure superati dalla cinese DeepSeek-R1! c) una rapina incondizionata del plusvalore altrui sarà “legalizzata” dall’imposizione arbitraria e unilaterale di dazi – o se si vuole da un solito protezionismo liberista - come pure dal ripristino e mantenimento di sanzioni e blocchi economici a nazioni più dipendenti e confinate nell’illegalità del sopravvivere. In una parola, chi non si sottomette alle leggi di questo capitale - al momento la speranza di esserne gli agenti egemoni si àncora sugli Usa - viene estromesso dalla storia.
Detto ciò, viene in mente R. Hilferding[1] quando scrisse che “il capitale finanziario non vuole libertà, ma dominio: non tiene in nessun conto l’autonomia del singolo capitalista, anzi ne pretende l’assoggettamento; … per poter conservare ed aumentare il proprio prepotere, esso ha però bisogno dello Stato il quale, con la sua politica doganale, deve garantirgli il mercato interno e facilitargli la conquista di quelli esterni. “Il capitale finanziario – si riporta Hilferding - ha bisogno di uno Stato politicamente forte che, nei suoi atti di politica commerciale, non sia costretto a usare alcun riguardo agli opposti interessi di altri Stati. Uno Stato che possa spingersi in ogni parte del globo per fare del mondo intero zona di investimento del proprio capitale finanziario; … sufficientemente forte per condurre una politica espansionistica… Questa espansione incessante è ora una inderogabile necessità economica, perché rimanere indietro significa caduta del profitto del capitale finanziario… e subordinazione del territorio economico rimasto più piccolo a quello più esteso. Questa aspirazione espansionistica, causata da esigenze economiche, viene giustificata ideologicamente mediante uno strabiliante capovolgimento dell’idealità nazionale, la quale ora non riconosce più ad ogni nazione il diritto all’autodeterminazione e all’indipendenza politica e non esprime più il dogma democratico dell’eguaglianza sul piano internazionale di tutto ciò che è umano. Al contrario, le aspirazioni economiche del monopolio si rispecchiano nella posizione di privilegio che esso pretende per la propria nazione…. Al posto della lotta delle classi, pericolosa e senza via d’uscita per i padroni, subentra l’azione comune della nazione tutta, tesa alla conquista della grandezza nazionale. Tale ideale, che sembra costituire un nuovo legame capace di tener insieme la dilacerata società borghese, è destinato a riscuotere consensi entusiastici, perché nel frattempo il processo di disgregazione della società borghese è andato ulteriormente aggravandosi”.
Mentre Hilferding aveva compreso anche la crisi del 2008, ben cent’anni prima, il film Wall Street, della seconda metà degli anni ottanta, ha solo saputo presentare, del tutto strumentalmente, lo stereotipo del singolo malvagio. E qui veniamo al nostro “povero Trump”, incompreso da tutta la stampa che oltre lo stereotipo non sa andare. Per essere credibile, o forse anche immedesimato nel ruolo di egemone (ma questo non riveste alcun interesse), è stata necessaria una messa in scena di certezza dei privilegi, durezza nel volerli difendere, sfarzo di ricchezza e potere esclusivo, indifferenza rispetto a chiunque, ridotto in miseria, possa minacciare l’impedimento di obiettivi a lungo perseguiti. Questo povero miliardario è infatti solo l’ultimo epigono di una serie di brutali individui dominanti riuniti in una classe ristretta, che hanno costruito un impero sulla sconfitta e logoramento di tutti gli Stati su cui il loro interesse si era tragicamente posato. Emersi dalla II Guerra mondiale in posizione dominante, hanno avuto anche la capacità di imbastire un’immagine benevola del loro potere, che forse ancor oggi stride con i gesti e le espressioni ruvide e crudeli che i più ingenui, non accortisi della sfiducia o dell’odio da loro sparso nel resto del mondo, ancora si stupiscono di vedere.
L’ironia nel continuare a chiamarlo “povero” diventa però maggiormente sarcasmo nei confronti di coloro che continuano a scambiare la maschera per il volto, ovvero “l’agente involontario e passivo” - di cui parlava Marx - con la realtà oggettiva dell’imperialismo transnazionale insediatosi ancora, e non più soltanto, negli Usa. È trascorso più di un secolo dai tempi dell’analisi di Hilferding, ma i mutamenti dell’imperialismo attuale non ne hanno cancellato la permanenza della sostanza predatoria. E tra questi dobbiamo notare che il Presidente degli Stati Uniti non è più il solo campione delle holding e della finanza, ma è accompagnato, si direbbe duplicato, da uno staff di padroni ancor più miliardari, che detengono i reali poteri economici, e questi sono tali da condizionare la politica del mondo intero, per costringerla a genuflettersi ai loro sordidi ordini.
La fase attuale dell’imperialismo capitalistico sembra aver dismesso l’occultamento dietro il fantoccio politico di turno, ma esce a volto scoperto attraverso quelli dei gestori del virtuale, nell’arena macro-regionale del mercato mondiale. Nel dispotismo del nuovo ordine mondiale annunciato, MAGA vuol dire anche che il “corpo collettivo” dell’“economia nazionale” consiste in una parvente immagine solidaristica di una forma sempre più inclemente di un moderno stato neocorporativo. Non a caso è stato promesso un innalzamento della pena di morte – con tanto di aumento della fornitura di farmaci per iniezioni letali – per qualunque immigrato illegale che ucciderà un agente federale. Non a caso, poi, la Colombia ha ultimamente capitolato dai suoi precedenti proclami di un inconsistente nazionalismo indipendente, e si riprende in obbedienza gli immigrati espulsi e ammanettati come criminali, dagli Usa.
Ripristinare i rapporti di forza in termini di classe, determinatisi al perdurare della crisi di capitale trasformatasi ormai in stati belligeranti senza più termine, è dunque attribuito alla presunta capacità decisionale di una maschera arrogante che invece ricalca con diligente conservatorismo analisi già in essere dell’altro secolo.
Il liberale Hobson[2] appena un secolo fa suggeriva al nostro neoeletto che:
Il sistema mondiale di oppressione finanziaria è esercitato da paesi “sviluppati” su molte altre nazioni;
I mercati si sviluppano per investimenti, non per commercio o “destino manifesto” (ricordato or ora da Trump, quasi un revival di una teologia politica!), missioni civilizzatrici o altro, in base a eccesso di capitali liquidi;
Uso di risorse nazionali per guadagni privati;
Trasferimento di costi sui contribuenti; (con Trump si chiamano dazi, su alleati e nemici purché vassalli!)
Controllo su stampa, scuole, chiese da parte dei “furbi affaristi politici”; (di qui, per inciso, le richieste di scuse per l’“inopportuno” intervento evangelico ricordato, un fuori tema!)
Spostamento di attenzione dalla crisi alla “circolazione monetaria”, non comprendendo le grandi tempeste del mercato mondiale in cui si generalizza ogni conflittualità.
Eccetera.
La pax americana, ultimamente sbandierata in campagna elettorale ma non in termini di potere economico mondiale, riguarda invece problemi di aggiustamento finanziario, liquidità, fiducia, speculazione, ristrutturazione tecnologica e organizzativa. Il processo di centralizzazione intorno al capitale Usa consolidatosi da Bretton Woods (1944) fino al 1958, con la convertibilità delle monete europee forti, dovrebbe ora essere ripristinato tra un passo traballante di danza (YMCA) accennata e una mano sul cuore del buffone “salvato da Dio”. Ma da quell’ultima data fino al 1967 la fiducia “coatta” nell’egemonia Usa si basava sulla stabilità dei prezzi internazionali, garantita dall’economia americana. La crisi di liquidità successiva incrinò la fede nel capitale Usa, con il bluff del $ cartaceo susseguente e a seguire inflazione, ristrutturazione, centralizzazione finanziaria speculazione monetaria, polarizzazione sociale di classe, accentramento politico istituzionale. La subalternità indotta degli altri stati nazionali è così datata dal 1975 come strategia pianificata di lungo periodo, il cui artefice porta il nome di H. Kissinger.
Forse oggi non si collega più come quella gestione della crisi capitalistica da sovrapproduzione distrusse anche in una forma stagnante la riproduzione dell’esercito industriale di riserva, relegandolo nell’irregolarità costante di occupazione e salario. Gli stessi destinatari, ed ora i loro eredi, dell’abbassamento del proprio tenore di vita non si sono resi conto di dover lasciar passare un nuovo meccanismo di accumulazione, con investimenti verso più elevate ristrutturazioni, contemporaneamente a decentramento dell’attività produttiva della grande industria verso aree economiche esterne con filiere di subfornitori e investimenti diretti più profittevoli finché possibili. La conseguente ondata speculativa – fase necessaria della crisi data l’impraticabilità ulteriore degli ide – separata solo per distinzione e temporalità dalla fase produttiva, è stata letta nell’obliterazione del piano sociale, cioè la natura conflittuale di classe del rapporto tra capitale e lavoro.
La crisi non viene percepita per quello che è: una sorta di guerra che si trascina senza troppo rumore, di posizione e di attesa con i suoi gestori in veste di vincitori, e i vinti soggiogati a un’economia di guerra ideologicamente edulcorata da una fantasiosa e improvvisata fase di “emergenza”. Solo i più accorti sanno che è alle masse che viene accollato ogni deficit. La “socializzazione delle perdite” addossata alla collettività (invece che ad azionisti, depositanti, ecc.) ha pertanto bisogno di una nazione, e quindi di uno Stato, in grado di farla accettare come necessità di un ordine comune di cui si beneficia. Uscire dalla crisi sarebbe come uscire dalla condizione antitetica reale dell’unità sociale: da una parte il portone padronale, dall’altra l’uscio della servitù.
Infine, la verità del broncio minaccioso di Trump è il sorriso felice e il ghigno tracotante e aggressivo di Elon Musk. È lui la vera personificazione dell’imperialismo del capitale e non il presidente della stanza ovale, un figurante prestanome qualsiasi. E il suo imperialismo è a un livello mai raggiunto finora perché lo mette in grado di controllare il mondo intero dallo spazio mediante una settantina di satelliti, con un loro possibile utilizzo in funzione militare. Secondo un racconto di Blinken – riportato da Lucio Caracciolo, direttore di Limes – una potenziale catastrofe è stata già evitata da un intervento dei Xi Jin Ping nel fermare Putin che durante la guerra in Ucraina, ancora in corso, aveva minacciato di far esplodere un ordigno nucleare per distruggere tutti i satelliti di Musk. L’aumento del settore militare è favorito inoltre dal partenariato privilegiato degli US con UK e Australia con cospicui ide in tecnologie sensibili, che permette un incremento oltre che di denaro anche della deterrenza nei confronti della Cina, competitor e temibile nemico.
La nuova deregulation di Trump finalizzata alla sopravvivenza di questo imperialismo nel suo irreversibile declino, ripagherà i suoi elettori con un aumento di perdita di posti di lavoro con l’incedere della IA, con possibili crisi interne. Se la crisi di accumulazione di capitale nel 2025 non consentirà nessuna crescita o quasi, come risulta da analisti economici, non basteranno più le espulsioni dei poveri come distrazione e deterrente della realtà. L’innalzamento dei mari già crea nuove migrazioni di chi perde il proprio territorio, e il fenomeno va incontro a incremento disastroso in molti punti del pianeta.
I miliardi del “povero” Trump al di sopra di ogni legge possono ripararlo da condanne relative alla sua miserabilità umana, ma non dalla “foresta di Birnam che avanza contro di lui” come predetto dalle “streghe” nel Macbeth shakespeariano.
[1] Rudolf Hilferding, Vienna 1877- Parigi 1941. Il capitale finanziario, 1910. Cap. XI-XXII.
[2][2] John Atkinson Hobson, Derby 1858- Hampstead1940. Imperialismus, 1902.