Premio Nobel per l’economia 2024, l'esultanza della sinistra e l'esperimento di Pavlov

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Premio Nobel per l’economia 2024, l'esultanza della sinistra e l'esperimento di Pavlov

 

La sinistra esulta per il premio Nobel per l’economia assegnato a tre studiosi per aver dimostrato che le differenze di reddito fra i vari paesi dipendono dalle loro istituzioni sociali. Ormai le basta il suono della parola «sociale» per eccitarsi e cominciare a salivare, come al cane di Pavlov bastava il campanello. Così manco si è accorta che ciò che i vincitori del Nobel chiamano «istituzione sociale» ha ben poco di istituzionale e di sociale e piuttosto assomiglia a una sorta di mano invisibile che genererebbe crescita e consumi (le uniche cose che per loro contano) attraverso l'affermazione e la pratica della libertà individuale e dell’innovazione fine a sé stessa; rinverdendo il mito, che credevo estinto, della classe creativa e delle magnifiche sorti e progressive da essa garantite, diffuso a inizio millennio dal «guru» Richard Florida. Per questo, per i tre premi Nobel, gli «inclusivi» e creativi Stati Uniti sono più prosperi della Cina (di cui qualche anno fa previdero la rapida decadenza) e la Nogales americana è più prospera della Nogales messicana.

Neppure insospettisce la suddetta sinistra che tutti e tre i ricercatori lavorino in America, precisamente al MIT e all’Università di Chicago, insieme a Harvard i bastioni del neocapitalismo impenitente. Un inglese e due americani, come quasi sempre i premiati: Stati Uniti e Regno Unito hanno ottenuto la metà dei Nobel assegnati dal 1901, tanti quanti il resto del mondo (la Germania poco più del 10%, La Francia meno del 6%, la Russia/URSS il 2%, l’Italia l’1%, la Cina lo 0,7%). Puzza di colonialismo, non vi pare? Per cui i titoli di CNN e del New York Times e di conseguenza di La Repubblica rimarcano che uno dei due americani è nato in Turchia (e, ancor meglio, da genitori armeni), senza dare troppa evidenza al fatto che già da ragazzo studiasse in Inghilterra e che da più di trent’anni viva a Boston.

Ma la cosa più preoccupante è che anche a sinistra si dia importanza all’annuale fiera delle vanità di Stoccolma; senza notare che ad assegnare i lucrosi e pubblicizzatissimi premi, e dunque a sancire cosa sia rilevante nella scienza, in politica (il famigerato premio per la pace) e in letteratura, sia una ricca fondazione privata che si appoggia all’Accademia di una ricca nazione con una popolazione di poco superiore a quella della Lombardia e che non può più neppure far finta di essere super partes visto che proprio quest’anno, rinnegando un paio di secoli di neutralità, è entrata nella NATO. Che affidabilità possono avere? E chi ha stabilito che spetti alla Scandinavia (il Nobel per la pace lo assegna il parlamento della Norvegia, altro paese NATO nonché ricchissimo) giudicare il mondo?

Del resto la sedicente sinistra italiana saliva compulsivamente anche quando un italiano vince l’Oscar, ossia il premio assegnato da Hollywood ai film che spacciano gli interessi americani (per vincerlo Benigni mise una bandiera stelle e strisce sul carro armato che entrava ad Auschwitz), o quando un ventenne di madrelingua tedesca e che parla l’inglese meglio dell’italiano e vive a Montecarlo per non pagare le tasse da noi, vince gli US Open. Per non dire della passiva accettazione della presenza della sede di un’organizzazione teoricamente sovranazionale come le Nazioni Unite proprio nella capitale finanziaria della nazione più potente e aggressiva della Terra.

Una sudditanza psicologica e materiale imbarazzante, che peraltro è identica a quella della sedicente destra, meloniana, draghista o salviniana che sia. La volete finire di delegare i vostri gusti, le vostre priorità, i vostri valori, le vostre certezze, in una parola la vostra identità, a enti stranieri che nessuno di voi ha eletto e che neppure ci provano a essere imparziali, ammesso che si possa esserlo?

Francesco Erspamer

Francesco Erspamer

 

Professore di studi italiani e romanzi a Harvard; in precedenza ha insegnato alla II Università di Roma e alla New York University, e come visiting professor alla Arizona State University, alla University of Toronto, a UCLA, a Johns Hopkins e a McGill

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