PUBBLICATO IL RAPPORTO EURES: “GIOVANI 2024: IL BILANCIO DI UNA GENERAZIONE”
di Michele Blanco*
L’Italia ha perso negli ultimi venti anni oltre un quinto dei giovani, diventando ultima in Europa, in percentuale, per la presenza di persone sotto i 35 anni under. Al Sud la disoccupazione giovanile è pari a tre volte quella del Nord. Il lavoro dei giovani è sempre più, precario, instabile e discontinuo, anche nel settore pubblico, con bassissime retribuzioni per i giovani del settore privato con gli ultimi 5 anni dove continuano a calare i salari reali. Si verifica, parallelamente una crisi di
rappresentatività e un crollo della rappresentanza: soltanto un elettore su 5 ha meno di 35 anni, e i giovani eletti alla Camera crollano sotto il 7%. Le istituzioni sono troppo distanti dalle esigenze dei giovani. Sette giovani su 10 sono preoccupati dall’ingresso nel mondo del lavoro: molestie, ricatti e vessazioni, i timori maggiormente diffusi tra le giovani. Sono salute e famiglia i fattori centrali per la qualità della vita di qualsiasi persona e anche per i piu giovani. Il contrasto alla violenza di genere e la lotta alla mafia, sono considerati interventi prioritari. Molti ragazzi si sentono, infine, poco compresi dagli adulti nelle loro fragilità. Queste alcune delle principali evidenze emerse dal nuovo rapporto sulla condizione giovanile in Italia: “Giovani 2024: Bilancio di una Generazione” presentato dal Consiglio Nazionale dei Giovani e dall’Agenzia Italiana per la Gioventù e realizzato con il supporto scientifico dell’istituto EU.R.E.S. Ricerche Economiche e Sociali.
Si tratta di un lavoro per tracciare un quadro dettagliato delle principali sfide e delle opportunità o meno che i giovani italiani affrontano oggi, cercando, al contempo, di dare spunti concreti per politiche future. Il documento rivela dati assolutamente preoccupanti riguardanti la demografia, l’istruzione e l’occupazione, evidenziando in modo particolare la riduzione demografica delle persone più giovani, il fenomeno della fuga di cervelli, che impoverisce l’intero paese anche per il futuro, la grande diffusissima precarietà lavorativa e la disuguaglianza territoriale e di genere. Il rapporto cerca di proporre anche possibili vie d’uscita basate sulle necessarie innovazione, la necessità d’inclusione delle persone appartenenti alle classi sociali svantaggiati, che appartengono a tutte le fasce d’età, non solo giovani, e la necessità della sostenibilità. L’Italia si confronta con una sfida demografica di vasta portata, evidenziata da un grave e continuo calo molto significativo nella sua popolazione giovane. Negli ultimi due decenni, abbiamo assistito a una riduzione di quasi 3,5 milioni di giovani under 35, con un tasso di decremento di circa il 21%. Un confronto che a livello europeo pone l’Italia in una posizione a dir poco allarmante: siamo gli ultimi per incidenza di giovani, ben sotto la media dell’Unione Europea. La costante fuga di cervelli si manifesta in modo preoccupante, con quasi 18 mila giovani laureati che hanno optato per l’espatrio nel 2021, un aumento del 281% rispetto al 2011. Questo scenario si accompagna a una crescente instabilità nel mercato del lavoro, dove il precariato coinvolge il 41% degli under 35, evidenziando una condizione di incertezza continua e discontinuità lavorativa che affligge in modo particolare i più giovani, ma anche ormai l’intera società italiana.
Le note e costanti disparità territoriali aggiungono un ulteriore livello di complessità, con il Sud Italia che registra tassi di disoccupazione giovanile notevolmente superiori rispetto al Nord, e dove il salario medio annuo dei giovani lavoratori è significativamente più basso. Queste condizioni sfavorevoli si riflettono anche sulla capacità dei giovani di accedere a opportunità di lavoro stabili e retribuzioni adeguate, influenzando negativamente la qualità della vita e le aspettative future.
Le basse retribuzioni dei giovani nel settore privato rappresentano una problematica significativa. Nel corso del 2022, la retribuzione lorda media annua dei giovani dipendenti del settore privato si è fermata a 15.616 euro, rispetto ai 22.839 euro complessivamente rilevati nel settore. Questa disparità retributiva si manifesta anche nei diversi tipi di contratto: i giovani con contratti stabili percepiscono in media 20.431 euro, mentre coloro con contratti a termine e stagionali guadagnano rispettivamente 9.038 euro e 6.433 euro. Nel settore pubblico, invece, i giovani lavoratori (15-34 anni) hanno raggiunto una retribuzione lorda media annua di 23.253 euro nel 2022, che rappresenta una volta e mezza quella del settore privato. Tuttavia, nonostante un incremento nominale delle retribuzioni dal 2018, considerando l’inflazione, si registra una diminuzione del potere d’acquisto, con una variazione negativa delle retribuzioni reali pari al – 1,7% nel settore privato e al -7,5% nel settore pubblico.
Dal punto di vista politico e sociale, la diminuzione della popolazione giovanile ha avuto ripercussioni evidenti sull’elettorato giovane, che in 20 anni si è drasticamente ridotto passando dal 30,4% del 2002 al minimo storico del 21,9% nel 2022. Più rilevante il dato sulla rappresentanza politica, il taglio dei Parlamentari ha colpito quasi esclusivamente gli under 35, con un drastico calo dei giovani eletti, che tra il 2018 e il 2022 hanno subito un decremento dell’80%, passando da 133 a 27, determinando un’influenza sempre minore dei più giovani. L’indagine realizzata tra i giovani italiani mostra un forte senso di alienazione dalle istituzioni, percepite come inefficaci nel rispondere alle loro esigenze: solo il 12% esprime un giudizio positivo sulla sensibilità delle istituzioni verso le problematiche giovanili e per l’85% del campione il livello di attenzione politica nei confronti dei giovani è assolutamente superficiale e inadeguato.
Il percorso formativo viene valutato positivamente dalla maggior parte delle ragazze e dei ragazzi, con un apprezzamento particolare per le opportunità offerte da programmi europei come l’Erasmus+. Tuttavia, la realizzazione personale e professionale rimane ostacolata da barriere significative, tra cui l’instabilità occupazionale e l’accesso limitato, in particolare per gli alti costi degli affitti nelle città che attraggono i giovani per le maggiori opportunità che i centri maggiori offrono. Tutto questo impedisce una piena transizione verso la piena indipendenza economica e quindi la vita adulta.
Ma la gravità della situazione è data dalle preoccupazioni legate all’ingresso nel mondo del lavoro dominano il panorama giovanile, con la paura di precarietà e sotto-retribuzione che si sommano ai timori di ricatti, molestie o vessazioni sul posto di lavoro, indicati esplicitamente dal 17,5% dei giovani.
Sappiamo bene cosa serve agli under 35 per diventare adulti, per affrancarsi dai genitori, la condizione primaria è quella di ottenere un lavoro stabile. Allo stesso modo, per crearsi una famiglia, quasi il 70% dei giovani indica il bisogno di una situazione economica adeguata. A proposito di genitorialità, più del 60% degli intervistati esprime il desiderio futuro di avere figli. Il 72% del campione, inoltre, attribuisce un ruolo centrale al fenomeno della denatalità, ma sappiamo bene che senza possibilità economiche nessuno può pianificare la nascità di un figlio, almeno se si è persone razionali.
Questi dati – rileva il rapporto – sottolineano l’urgenza di interventi politici e sociali mirati a migliorare le condizioni di vita e le prospettive dei giovani in Italia, attraverso la promozione di un mercato del lavoro più stabile e maggiormente inclusivo e una maggiore valorizzazione delle competenze reali perché troppo spesso le persone più capaci vengono penalizzate da un sistema ingiusto, dove contano fin troppo solo le conoscenze personali o familiari, oltre che la famiglia di provenienza.
In particolare negli ultimi 5 anni sono calati i salari reali, in particolare le retribuzioni per i giovani del settore privato sono scese a medie sempre più basse, toccando i 9.546 euro annui per gli under 24. La centralità di un lavoro stabile per costruire una vita autonoma, risulta ancora oggi la maggiore richiesta giovanile (65,7%), con una percentuale sempre più alta tra le ragazze. La sfida che ci attende è impegnativa. È necessario un impegno collettivo per promuovere l’istruzione di qualità, aperta realmente a tutti, l’inserimento lavorativo adeguato alle capacità, l’effettiva equità sociale e di genere. Sono azioni che devono andare di pari passo con l’intensificazione degli sforzi per contrastare ogni forma di discriminazione e di esclusione economica e sociale, per garantire a tutti l’accesso alle opportunità, alla salute e al benessere, preservandone i diritti e ascoltandone le voci. Allo stesso modo, occorre rafforzare la comprensione delle loro difficoltà soprattutto alla luce che per tre giovani su quattro gli adulti comprendano ‘poco’ o ‘per niente’ le loro paure e loro fragilità. È per questo che ci impegniamo a garantire che le esigenze di questa generazione e le loro istanze siano ascoltate in tutte le sedi in cui si discute e si decide del loro futuro, per far si che le loro difficoltà diventino importanti priorità per il nostro Paese.
I dati emersi nel rapporto di ricerca fanno emergere una realtà difficile, in cui i problemi che i giovani italiani vivono ormai da più di un decennio risultano certamente aggravati dalla pandemia, dalla guerra e dalle recenti crisi economiche. Tuttavia, possiamo cogliere dei segnali positivi: l’attenzione per il tema della natalità e della famiglia, non scontati in una Nazione che sta vivendo quello che gli esperti chiamano “inverno demografico”; il ruolo determinante dei genitori – che restano il primo e più importante esempio nel percorso di crescita dei giovani italiani; il ruolo importante dei Programmi europei nella formazione e nella propensione alla partecipazione attiva. Pur continuando a registrare numeri assoluti preoccupanti, va detto anche che nel 2023 abbiamo visto un aumento del tasso di occupazione dei giovani e delle donne e la diminuzione della percentuale dei NEET.
In particolare emerge un dato, nelle considerazioni dei giovani intervistati, particolarmente grave: Quando le raccomandazioni contano più delle competenze.
Nell’indicare i fattori che “regolano” l’ingresso di un giovane nel mondo del lavoro, il campione delinea un dualismo tra le capacità/competenze personali (37,8%) e le raccomandazioni (37,7%), ovvero l’appartenenza ad un sistema di relazioni forte in grado di alterare i meccanismi di “libero” accesso alle opportunità. Un giovane su 4 (il 25,1%) indica inoltre la volontà e determinazione, mentre uno su 5 (il 19,4%) attribuisce un peso significativo alla posizione sociale della famiglia di origine, riferendosi ancora una volta al “capitale relazionale” di cui si dispone; secondo il 19,3% del campione occorre inoltre essere dotati di adattabilità e flessibilità, per il 16,1% di serietà e affidabilità, mentre il 15,4% cita l’immagine e la capacità di presentarsi. In coda i giovani collocano la propensione alla subalternità/sottomissione e alla spregiudicatezza/carrierismo (con il 6,7% e il 6,5% delle citazioni), ovvero due tratti “estremi” di funzionalità e/o di adesione ad una sottocultura di impresa che privilegia il controllo individuale alla qualità complessiva delle relazioni tra le risorse umane.
L’equilibrio tra competenze e raccomandazioni lascia il campo a posizioni più nette nelle diverse componenti del campione, prevalendo il “disincanto” tra il giovani-adulti (25-35 anni) e nella componente femminile, che collocano le raccomandazioni, addirittura, al primo posto tra i fattori che agevolano l’accesso al mercato del lavoro (rispettivamente con il 39% e il 41,2% delle citazioni); diversamente nel campione più giovane (15-24 anni) e in quello maschile prevalgono le citazioni relativa alle competenze/capacità individuali (rispettivamente con il 39,7% e il 36,7% delle citazioni).
Il lavoro nella Pubblica Amministrazione torna un’opzione vincente. E il terzo settore seduce più delle PMI e delle imprese artigiane – La percezione diffusa di instabilità e di sotto-retribuzione quali componenti ormai strutturali del mercato del lavoro sembra spiegare l’affermazione della Pubblica Amministrazione quale settore e contesto lavorativo di riferimento per gli intervistati, che la collocano al primo posto tra le proprie aspirazioni occupazionali (con il 24,3% delle citazioni, che salgono al 26,5% tra le donne e al 30,7% al Sud). Tale opzione elettiva precede quella dell’ingresso in una multinazionale (20,7%) e del lavoro autonomo (20%), mentre ancora più distante risulta la “capacità attrattiva” del lavoro in una grande impresa italiana (13,7%). Non marginali, infine, le indicazioni relative al lavoro nel Terzo Settore (12,8%), quanto meno per la sua capacità prefigurata di gratificazione sul piano valoriale, mentre in ultima posizione si collocano le piccole imprese (con appena l’8,5% delle indicazioni), che pure costituiscono la quota più consistente della domanda di lavoro.
Già pubblicato su "l'uguaglianza.it"