Quando i figli diventano baby influencer: il volto oscuro dello "sharenting"

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Quando i figli diventano baby influencer: il volto oscuro dello "sharenting"

 

di Angela Fais per l'AntiDiplomatico

 

E’ stato necessario l’intervento del Garante della privacy per contrastare il preoccupante fenomeno dello ‘sharenting’, ossia la diffusione delle immagini dei figli minorenni da parte dei genitori. Lo slogan della campagna recita: “La privacy di tuo figlio vale molto più di un like”. Si pensi infatti che già entro un’ora dal parto vengono diffuse sui social le immagini dei 2/3 dei neonati e 1500 foto e video nei soli primi 3 anni di età.

Per condividere una gioia o più probabilmente per ricercare approvazione dal momento che le immagini di minori suscitano un gradimento molto alto e che più i figli sono piccoli più le loro immagini vengono condivise. Non si perda mai di vista però che i genitori hanno il dovere di agire in funzione del miglior interesse del minore che deve essere sempre preminente. Anche la giurisprudenza in sede di tutela cautelare non ha mancato di ravvisare nel solo fatto dell’inserimento di foto di minorenni nei social il requisito del ‘periculum in mora’, ritenendolo un comportamento “potenzialmente pregiudizievole per essi in quanto ciò determina la diffusione delle immagini tra persone sconosciute e malintenzionate”. Come d’altronde è più volte emerso dai rapporti della Polizia Postale, una grossissima parte di queste immagini viene poi riscontrata in siti pedopornografici. I giuristi parlano di vera e propria incapacità genitoriale qualora il minore venga esposto ai rischi sopra detti. 

La situazione si connota di aspetti ancor più problematici, sia dal punto di vista giuridico che etico, quando dallo sfruttamento commerciale delle immagini dei minori si ricava lucro, essendo queste monetizzate dai like che sui social ricevono. I social testimoniano una vera e propria mercificazione dell’infanzia, essendo quello dello sfruttamento commerciale dell’immagine un punto focale importante. L’immagine infatti è elemento costitutivo della identità della persona. La regola che presidia la sua circolazione è il consenso, nel caso del minore i genitori prestano il consenso alla diffusione delle sue immagini in rete. Questo rende il minore un soggetto maggiormente vulnerabile rispetto a un atto dotato di notevoli potenzialità lesive. Da qui le numerose proposte di legge che, prendendo le mosse dal modello francese, prevedono la creazione di un conto corrente al minore dedicato al quale potrà accedere solo al conseguimento della maggiore età; mentre a oggi gli introiti restano nella disponibilità dei genitori.

Quando si rende necessario l’intervento del legislatore però bisogna prendere atto che la prima agenzia educativa, che è la famiglia, ha fallito. Dove non arrivano il buon senso e la morale, arriva la Legge. Ricordiamo infatti che il primo educatore in teoria è il genitore. Ma costui spesso proprio con l’attività di sharenting attesta di non avere contezza dei gravi rischi cui è esposto il figlio. Le interviste ai genitori dei baby influencer lasciano veramente atterriti. Le loro risposte sono disarmanti. Fanno sorgere più di un dubbio se siano in grado di discernere quale possa essere il miglior interesse per i figli. Mamme che dichiarano di non vedere dove stia il problema se le figlie, bambine di 10 ma anche di soli 4anni, si truccano, mettono unghie finte e ammiccano davanti alla camera come se di anni ne avessero 30. Che problema c’è se le loro immagini cadono in possesso dei pedofili? Un’altra mamma candidamente dice: “ha la passione e cosa c’è di male? non c’è sfruttamento”.

Andrebbe spiegato a questi genitori che le passioni si coltivano in un campo di interessi che il genitore prepara per il proprio figlio che poi va accompagnato e guidato. Interesse è proprio questo stare, questo essere tra, per, entro le cose. Questi bambini ci dicono molto dei loro genitori, in particolare delle loro madri. A proposito della loro presunta spontaneità va detto che entro i primi 5 anni di vita si verifica il fenomeno dell’ ‘over-imitation’, potente meccanismo di sviluppo sulla scorta del quale il bambino riproduce ogni singolo gesto dell’adulto, recependo le azioni osservate come se fossero “le regole di un gioco”.

Questo accade perché vi è un bisogno di conformità nei confronti del modello di riferimento che mostra ai bambini con la sua stessa condotta, a prescindere da ciò che dice, le regole di comportamento. Allevare un figlio, sin dalla più tenera età educarlo a recitare davanti alla telecamera come se fosse sempre visto, giudicato, sempre in attesa di approvazione, getta le basi per un adulto depresso e ansioso.

I microracconti (l’odioso storytelling) che si costruiscono, annodati l’uno all’altro vanno a comporre delle identità: rappresentazioni costruite di una realtà che non esiste se non nelle intenzioni e nelle speranze di chi recita; in questo caso dei genitori che giocano a fare i registi delle vite dei loro sventurati figli. Così li guidano alla costruzione di ‘un personaggio’, provano le scene tutto il giorno tutti i giorni “per non perdere il pubblico”, dice una madre, con buona pace del diritto al gioco.

Questi microracconti però non portano senso alla biografia del bambino. Semplicemente contribuiscono alla rappresentazione di una maschera che recita continuamente a favore di videocamera ed è costantemente orientata alla approvazione di un pubblico che emette giudizi di valore, a volte spietati. Si comprende quali danni enormi  arrechi a un bambino un’ infanzia vissuta non giocando ma all’inseguimento costante dei like nella speranza di essere confermati dagli altri. Un genitore che dichiara: “il salto di qualità non è solo il tenore di vita ma che ci riconoscono”, conferma che la massima aspirazione è essere confermati dagli altri. Emerge il quadro sconsolante di un ‘narcisismo genitoriale’ per cui l’adulto ha bisogno di conferme, necessarie a tenere insieme i pezzi di una genitorialità fragile. Palese immaturità che non consente di gestire in modo sano sé stessi né le relazioni.

Ecco perchè accanto all’intervento del sintagma di ‘responsabilità genitoriale’ da parte del legislatore andrebbe rilanciato quello di ‘autorità genitoriale’, inteso come modello di autorevolezza. Accanto all’approccio giurisdizionale è necessario uno sguardo pedagogico e di sostegno a genitori ‘adultescenti’ che sembrano non avere le risorse per valutare i danni di determinati stili educativi.

Genitori ubriacati dal mito del successo e del ‘consumismo mondano’ di cui parla il filosofo Michel Clouscard a proposito di “un consumismo ludico e libidinale che prevede che il bambino sia un essere adultizzato, l’adolescente infantile e l’adulto un eterno adolescente”. Secondo il processo di ‘infantilizzazione della società’ per cui bisogna fare dell’immaturo un adulto irresponsabile che produce bambini alla moda per realizzare quel sogno americano che a partire dal piano Marshall si è imposto all’immaginario di noi italiani. Bambini ridotti a mostri adultizzati, dove per monstrum si intendano creature prodigiose che vengono mercificate per monetizzare i like. “Ero un bambino - scrisse J.P. Sartre - quel mostro che gli adulti creano con i loro rimpianti”.  

 

Angela Fais

Angela Fais

Laureata in filosofia del linguaggio alla Sapienza di Roma e Dottoressa in psicologia scrive per varie riviste e collabora con l'Antidiplomatico

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