Quella volta che Facebook decise chi era il presidente del Venezuela

Quella volta che Facebook decise chi era il presidente del Venezuela

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di Antonio Di Siena
 

La vicenda di Casapound oscurata da Facebook va ben oltre il fatto di cronaca e dev’essere discussa in modo molto più ampio. Per evitare che si cada nell’errore di vedere solo il fatto in sé e non tutte le implicazioni.


In tutta questa storia il problema non è il razzismo, la violenza o il fascismo.


Il problema è che una cosa perfettamente legale nella realtà diventa illegale nel virtuale.


Il problema è che un privato può arbitrariamente decidere chi e cosa è legittimo e cosa no.


E questo non è un problema di destra e sinistra e soprattutto non riguarda solo casa nostra.


È un problema molto più complesso che ha a che fare con cosa nel virtuale debba essere percepito come reale e cosa no. In altre parole cosa dev’essere vero e cosa falso.


Ne abbiamo avuto prova con la crociata contro le fake news. Quando insieme a pagine evidentemente bufalare ne venivano chiuse altrettante che parlavano di Siria, Ucraina, Venezuela perché accusate di propagandare notizie false. Eppure non c’erano né bugie né violenza in quelle pagine, ma soltanto il racconto di un altro pezzo di realtà, quella sapientemente e dolosamente omessa (quando non sfacciatamente manipolata) dall’informazione dominante.


Ma sopratutto ne abbiamo avuto prova quando FB e Instagram tolsero la spunta blu, quella di certificazione di ufficialità, alle pagine del presidente del Venezuela Maduro insignendo delle stesse il suo oppositore Guaidó.


Il senso di quell’atto era evidente. Maduro è una fake news, quell’altro no.


E per quanto io non abbia mai avuto simpatia per Casapound, non posso nascondere che quanto sta accadendo mi angoscia non poco.


Perché in tutta questa storia la lotta al fascismo non c’entra nulla.


Social network e realtà si sono così intersecati dal finire per sovrapporsi al punto tale che essere oscurati su un social equivale ad essere delegittimati nella realtà.


E poco importa che nel mondo reale, quello fatto di leggi sottoposte a controllo democratico e di legalità, Casapound sia assolutamente lecita e legale.
Se non esiste sui social perché ne ha violato le regole allora è eversiva, perché non rispetta la ‘comunità’.
Anche se per le leggi italiane a tutt’oggi non è così.


La censura si è abbattuta su di loro, e a qualche antifascista con problemi di miopia può anche andar bene così. Ma domani può accadere a chiunque altro si troverà nella scomoda posizione di non rispettare le policy della piattaforma.
E potrebbe indifferentemente accadere a un comunista, un vegano o un terrapiattista.


Come potrebbe accadere che domani, di colpo, Casapound va bene e tutti gli altri no..


Perché se una semplice piattaforma social può arrivare a sostituirsi ad una istituzione pubblica (il cui perimetro d’azione è circoscritto dalle leggi democratiche) e decretare che tu sei fuorilegge o che il legittimo presidente del Venezuela non è quello eletto democraticamente ma quell’altro, il burattino autoproclamato con un tweet, allora è possibile qualunque cosa.


È un problema talmente gigantesco e paradossale che non può essere liquidato con la potestà del privato di fare come cazzo gli pare.


Perché i social hanno una innegabile dimensione collettiva (e quindi pubblica) nonché un’altra legata indissolubilmente all’informazione.


È quindi molto pericoloso accettare acriticamente che queste siano lasciate al libero arbitrio di un soggetto privato che non risponde ad alcuna legge se non a quelle che egli stesso decide di darsi.


Il nocciolo della questione è tutto qui. E ancora una volta il fascismo non c’entra nulla.
Ma è solo un paravento per nascondere ben altre mostruosità.

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