Repubblica inventa la nuova inutile polemica sul "razzismo"
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“Un popolo che difende la propria identità non è razzista". È questa l’ennesima frase incriminata a finire sul banco degli imputati per insindacabile giudizio dei sempre solerti paladini del politicamente corretto e della società moderna. Uno slogan definito“dall'inconfondibile sapore sovranista”.
Bene, lasciate che vi spieghi una cosa.
Difendere la propria identità è esattamente il primo principio dell’inclusione. Perché con quella si fa riferimento a una serie di conquiste, politiche e sociali, non negoziabili perché democratiche.
L’identità italiana, infatti, non è (e non potrà mai essere) razziale. Al contrario è culturale e giuridica. Equivale cioè al riconoscersi nella Costituzione repubblicana, nella dignità del lavoro, nell’uguaglianza e nella laicità. A difendere questi valori da chi - sulla base della diversità “culturale” - pretende di istituire delle zone franche dove possono essere tranquillamente sospesi. O da chi, in nome del libero mercato, tenta costantemente di delegittimarli riducendoli a nostalgico retaggio del passato. Una difesa, quindi, che è unica vera precondizione per l’integrazione.
Scambiare questo per “superiorità razziale” dimostra soltanto crassa ignoranza o peggio malafede.
Perché rivendicare la bontà di un impianto giuridico comune non equivale a escludere. Tutto l’opposto. È la stessa differenza che intercorre fra il nazionalismo e il patriottismo. Ma mi rendo conto che spiegarlo a chi ritiene che l’accoglienza sia far sbarcare migliaia di disperati per poi sfruttarli come schiavi nei campi di pomodori, farli dormire in baracche di lamiera o mandarli a mendicare fuori all’Eurospin - sperando pure di essere compresi - è chiedere davvero troppo.