Ricompaiono in Germania i bambini ucraini “rapiti dai russi”
di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico
I soldati di Mosca rapiscono e deportano in Russia i bambini ucraini; s’intende, per indottrinarli e trasformarli in “automi” agli ordini del Cremlino e, in generale, per “distruggere la nazione ucraina”. Le organizzazioni umanitarie russe che evacuano i bambini dalle zone di guerra sono in realtà agli ordini di Putin e del FSB. Quante volte si sono ripetute queste “verità”, a conferma della malvagità dei “vicini settentrionali” nei confronti dei “poveri ucraini” che, sin dalla più tenera età, soffrono per le “mire imperiali” di Mosca. Ladri di bambini!
Non che davvero molti bambini ucraini non siano venuti a trovarsi in Russia; si calcola che siano stati almeno 700.000: che i genitori li abbiano affidati alle cure delle organizzazioni umanitarie russe per il periodo della guerra, oppure che queste ultime li abbiano evacuati da orfanotrofi e asili all’approssimarsi del fronte, o ancora che siano venuti a trovarsi in Russia insieme alla mamma, dopo che il padre era stato mobilitato.
Poi, all’improvviso, un gruppo di quei bambini – 161 per l’esattezza - “rapiti e deportati” in Russia, viene scoperto in Germania. E Kiev, per bocca del capo della polizia Ivan Vygovskij, è costretta ad ammettere che ciò sia la dura verità.
C’è di più: la Commissione d’inchiesta della Duma russa sui crimini di Kiev nei confronti dei bambini, ad esempio, aveva accertato che lo scorso anno, nel territorio di Kupjansk (nella regione di Khar’kov controllata da Kiev), reparti ucraini si erano dati a «rapire bambini, sottraendoli forzatamente alle famiglie», seguendo una rotta che conduce all’organizzazione “Angeli bianchi” e, quindi, a “Save Ukraina”, che vende i bambini a famiglie dell’Europa occidentale.
Per la verità, il “deficit” di piccoli ucraini ha radici un po’ più lontane e diverse dai “rapimenti di guerra”.
Stando ai dati del Ministero della giustizia di Kiev, nota Viktorija Titova su Ukraina.ru, dal 2013 la natalità in Ucraina si è praticamente dimezzata e nel 2022 si è quasi ridotta di ¼ rispetto al 2021. Secondo l’economista ucraino Aleksej Kushch, la natalità annuale si è ridotta dai 660.000 bambini del 1991, ai 364.000 del 2017, fino ai 187.000 del 2023.
Secondo The Times, l’Ucraina è oggi il paese con la più bassa natalità al mondo (l’accademica ucraina Ella Libanova prevede un coefficiente di natalità per il 2023-2024 di 0,71) e l’economista ucraino Evgenij Astakhov afferma che «il problema demografico è sorto non per la guerra, ma molto prima; quantunque la guerra lo abbia approfondito di molto». In base alle cifre riportate da Viktorija Titova, il picco demografico ucraino si era avuto nel 1993, quando la popolazione aveva raggiunto i 52,17 milioni; al 1 gennaio 2022 (prima dell’inizio del conflitto) il Comitato statistico rilevava 34,5 milioni di abitanti, da cui poi si devono sottrarre i milioni di profughi, a guerra iniziata.
Così che cause prime della crisi demografica sono state la bassissima natalità, l’alta mortalità e l’emigrazione, a partire da quella delle persone in età fertile, afferma la sociologa Ol’ga Jarmak, che evidenzia il calo sistematico della natalità e l’alto livello di mortalità: rispettivamente 8,1 e 14,7 su mille nel 2020. Inoltre, se in generale si ritiene che una normale riproduzione della popolazione sia assicurata con un tasso di natalità di 2,15 figli per donna, già nel 2021 in Ucraina l’indicatore era fermo a 0,7.
Se Kiev accusa Mosca per la propria catastrofe demografica, ecco che Countrymeters mostra tutt’altra dinamica, soprattutto a partire dal 1993, con prospettive da ora al 2100 in calo costante.
E ciò che più di ogni altro fattore agisce sulla situazione è, anche qui, il fattore economico-sociale. Dopo l’inizio del conflitto nel febbraio 2022 e l’enorme flusso di profughi ucraini, ricorda Jarmak, varie organizzazioni tedesche presero a studiare i gruppi di emigrati e risultava che la guerra era al 5-6° posto tra le cause che li avevano spinti a lasciare il paese. Gli intervistati raccontavano per lo più che pensavano da tempo di emigrare e l’inizio della guerra aveva solo dato loro la spinta decisiva.
Un altro esempio: nel 2015-2016, racconta la sociologa, con gli studenti si erano esaminati i documenti di giovani delle formazioni neonaziste disponibili in rete e risultava che, nella stragrande maggioranza dei casi, provenivano da piccoli centri di provincia, in cui, negli anni precedenti la distruzione dello “spazio economico comune” postsovietico, non mancavano né lavoro, né imprese sviluppate, né c’era carenza di abitazioni, ecc. Quando quello spezio fu liquidato, in quelle aree non era rimasto più nulla e si erano trasformate in agglomerati di delinquenza “lümperizzata”, così che a quei giovani, desiderosi di «autorealizzazione, non rimaneva che la strada della idea “idea nazionale”, del patriottismo banderista e dell’ideologa del superuomo» propagandate dal regime di Kiev; oltre, ovviamente, all’emigrazione.
In generale, afferma Jarmak, bisogna parlare di genocidio demografico della popolazione ucraina da parte della stessa Ucraina, con migliaia e migliaia di donne che emigrano coi figli, senza alcuna intenzione di tornare, e anche con centinaia di migliaia di uomini in età lavorativa che rimangono in emigrazione per qualche decennio, allora il futuro non promette nulla. Oltretutto, pare che l’emigrazione per motivi di lavoro si sia verificata soprattutto dalle regioni occidentali dell’Ucraina, dove maggiore era il numero di famiglie numerose rispetto alle regioni orientali.
C’è da dire che quello demografico non è l’unico “anti-record” conquistato da Vladimir Zelenskij che oggi parla di un esercito di 880.000 uomini e di una popolazione di circa trenta milioni di persone, anche se l’ex primo ministro ante-majdan Nikolaj Azarov parla di meno di 20 milioni: d’altronde, da oltre due decenni non è stato condotto un censimento.
Ridotto alla disperazione, il nazigolpista-capo tenta di portare dalla sua parte i riflettori ormai irrimediabilmente puntati su altre aree e blatera di attentati alla propria vita, mentre impone a tutti gli uomini ucraini di non lasciare il paese, tanta è la fame di chair à canon indigena di rimpiazzo alle armi occidentali che arrivano sempre meno.
La realtà, già oggi, afferma il direttore dell’Istituto ucraino del futuro Vadim Denisenko, è che, anche a guerra terminata, si dovrà «prorogare per almeno per tre anni il divieto di emigrazione per gli uomini. In caso contrario, non ci conserveremo come nazione».