Venezuela. Sanzioni USA e speculazione: il mix esplosivo che colpisce il bolívar
Le nuove restrizioni statunitensi hanno scatenato il mercato nero e la svalutazione
L’ultima mossa dell’amministrazione Trump contro il Venezuela ha acceso i riflettori su un’economia già minata dalle precendenti sanzioni USA. La minaccia di dazi sul petrolio venezuelano, insieme alla revoca della Licenza Generale 41 che favoriva Chevron, ha scatenato un’ondata di nervosismo nei mercati paralleli. In pochi giorni, il bolívar ha perso terreno rispetto al dollaro, con il tasso di cambio non ufficiale schizzato a 102,9 bolívares per dollaro, mentre quello ufficiale si ferma a 69. Una differenza del 40% che spezza la relativa calma degli ultimi due anni, quando il divario era rimasto entro limiti tollerabili.
Dietro questa improvvisa impennata c’è la paura di una stretta finanziaria ancora più dura. Molti temono che le nuove sanzioni possano asciugare le riserve di valuta estera di Caracas, spingendo imprese e cittadini a correre ai ripari. Ecco come si è scatenata la classica speculazione e una corsa al dollaro dettata dal panico. Quindi il cosiddetto "dólar promedio", un valore intermedio tra il cambio ufficiale e quello nero, è diventato il punto di riferimento per chi fissa i prezzi di beni e servizi. Intanto, il vecchio "dólar monitor", quello che un tempo segnava il passo grazie a piattaforme come Dólar Today, torna a far parlare di sé, anche se nessuno sa davvero chi o cosa lo stia trainando. Anche se vi sono numerose evidenze che conducono ai ben soliti noti settori in servizio permamente contro la Repubblica Bolivariana del Venezuela.
Le conseguenze si fanno sentire nella vita quotidiana. I prezzi iniziano a salire, i fornitori chiedono pagamenti in dollari a tassi più alti, e alla fine è il consumatore a rimetterci. Se la tendenza continua, il rischio è un nuovo ciclo di inflazione e contrazione dei consumi, con danni a cascata per produttori e distributori. Dunque il governo venezuelano si trova a dover bilanciare due esigenze opposte: mantenere in vita il settore petrolifero, nonostante il blocco, e stabilizzare il sistema monetario per evitare il collasso.
Nicolás Maduro non sta a guardare, forte anche della vasta esperienza accumulata in questi anni di resistenza alla tracontanza imperialista a base di sanzioni, boicottaggi economici e minacce. Davanti al Consiglio Nazionale dell’Economia, ha lanciato un duro attacco alle sanzioni, definendole un atto di "guerra commerciale" e un tentativo di bypassare le Nazioni Unite. Ha poi difeso i migranti venezuelani, spesso dipinti come criminali dalla retorica ostile, ricordando come la migrazione sia figlia legittima proprio delle sanzioni. Ma al di là delle parole, la sfida è concreta. Come al solito l’opposizione estremista a golpista rappresentata da María Corina Machado plaude alle misure statunitensi, mentre imprenditori e cittadini le respingono: secondo un sondaggio di Datanálisis, solo l’11% dei venezuelani approva le restrizioni contro la PDVSA, mentre l’81% delle aziende associate a Fedecámaras (l’equivalente della nostra Confindustria) ne denuncia l’impatto negativo.
Il quadro è incerto. La concessione della Licenza 41B, che permette a Chevron di operare in Venezuela fino a maggio, sembra un’apertura strategica, ma le mosse di Trump restano imprevedibili. Intanto, Caracas prova a navigare in acque agitate, cercando di proteggere la ripresa economica degli ultimi anni.