Scuola: verso una sorta di “modello gentiliano 4.0”
di F. Giusti, E. Gentili
Com’è risaputo, la riscrittura della storia va di pari passo ai disegni complessivi di riforma dell’istruzione. Ora, però, non faremo riferimento semplicemente alla revisione di programmi scolastici e libri di testo: se le grandi conquiste del passato sono sempre più denigrate o misconosciute, il risultato è che oggi è sempre più facile rilanciare una sorta di “modello gentiliano 4.0”.
Volendo fare un esempio, per anni il Sessantotto è stato visto come la madre di tutte le sventure, anche da quegli stessi ex-protagonisti dell’epoca che poi si sono omologati al sistema capitalistico, finendo persino per assumere ruoli-guida in campo economico e politico.
Le nuove parole d’ordine che accompagneranno lo sviluppo del nuovo modello di istruzione non riguarderanno più il problema delle grosse differenze esistenti nel sistema scolastico a livello territoriale (da Nord a Sud, come dal centro alla periferia delle grandi città), la democratizzazione dell’istruzione e via dicendo… e finiranno sempre più per scomparire anche i riferimenti alla normativa volta ad assicurare la rappresentanza a studenti e genitori e, più in generale, a quella lunga e profonda stagione di riforme che ha cambiato l’istruzione italiana nella seconda metà del secolo scorso, e che oggi è mal vista e ridotta a caricatura.
Le attenzioni del Governo sono volte a sviluppare una narrazione convincente per “far passare” anche in Italia tutta una serie di riforme che, in realtà, stanno venendo applicate in tutte le aree economicamente sviluppate del pianeta – dall’Ue, agli Usa, alla Cina… – e che riguardano principalmente l’aziendalizzazione dei programmi (più materie Stem[1], alternanza scuola-lavoro, certificazione delle competenze e valutazioni standardizzate…) e la creazione di poli di efficienza, sia a livello universitario che di scuola superiore di II grado (il che presuppone il finanziamento dell’eccellenza e dei risultati scolastici e la conseguente creazione di forti dislivelli tra un’istituzione e l’altra).
Da Draghi, ai governi di centro-sinistra, per finire ovviamente con la destra: tutti d’accordo. La differenza è che la narrazione scelta dal Governo attuale è esplicitamente antidemocratica e si basa su concetti che oggigiorno possono facilmente prestarsi a interpretazioni problematiche e retrograde, come quelli di “patria” e “dovere”[2]. Del resto è da sempre che, dietro le nozioni di “patria” e “patriottismo”, si celano insidie pericolose: dietro la scuola nozionistica, che trasmette un sapere acritico, chiuso e banale, stanno facendo la loro comparsa una concezione nazionalista e colonialista della storia, nonché un approccio funzionalista e imprenditoriale alle materie scientifiche. Nel mentre, si riducono gli spazi didattici per l’elaborazione libera e creativa.
Tutto ciò, però, non sembra preoccupare il Ministro… anzi! La sua postura politica pare molto allineata alle tendenze evolutive del sistema scolastico degli ultimi decenni. Nel dettare le linee guida per l’insegnamento dell’Educazione Civica – che allo stato attuale è a tutti gli effetti una materia scolastica –, ad esempio, Valditara ha sostenuto che questa debba «incoraggiare lo spirito di imprenditorialità, nella consapevolezza dell’importanza della proprietà privata», perché «la società è in funzione dell’individuo (e non viceversa)»[3]. Non per nulla, secondo lui «Spirito di iniziativa e di imprenditorialità sono (…) espressione di un sentimento di autodeterminazione»[4].
Sulla scorta di questa velenosa narrazione nascono i mostri. Se da un lato aumentano gli abbandoni scolastici e universitari, nonché i costi familiari per il mantenimento agli studi (e non solo per il caro-tasse di iscrizione e il caro-affitti per i fuori sede, ma anche proprio per l’erosione del potere di acquisto dei salari), allo stesso tempo la scuola pubblica retrocede a macchia di leopardo sul territorio, succube di un definanziamento progressivo che viene coperto e giustificato col fatto incontrovertibile del calo delle nascite.
Questo favorisce le istituzioni private, sia scolastiche che universitarie, che traggono vantaggio non solo dal proliferare delle certificazioni richieste per fare un qualsiasi lavoro, che per l’appunto vengono rilasciate molto più agevolmente dalle università private, ma anche dalla politica di welfare state basata sui bonus: questi ultimi sono spendibili indistintamente nelle scuole pubbliche e laiche come in quelle private, elitarie e confessionali. Infine, dal momento che alla “filiera tecnico-professionale” verrà tagliato l’ultimo anno di scuola, regaleremo interi pezzi di istruzione pubblica ai privati, in attesa di quella autonomia differenziata che affosserà definitivamente l’istruzione pubblica. Contestualmente, l’insegnante continua a perdere d’importanza e rispettabilità sociale, anche a causa della progressiva burocratizzazione del ruolo della docenza e di una scuola sempre più simile a un’azienda, che al posto del fatturato pone l'aumento degli iscritti e, in luogo dei livelli di efficienza pedagogica, i progetti presentati e promossi dal Provveditorato e dall’Unione Europea, congiuntamente al livello di gradimento dell'Istituto.
Quelli attuali sono, dunque, gli anni dei processi valutativi, del mercato che entra nella scuola, dell'offerta individualizzata; anni in cui ogni approccio egualitario e democratico all’insegnamento viene considerato un limite, anziché un valore aggiunto. Gli obiettivi della controparte sono due: aumentare la produttività del lavoro; creare il collante ideologico adeguato a giustificare guerre e adesioni ai programmi Nato, magari sdoganando un passato fascista e nazista di cui nessuno – e proprio nessuno – avrebbe mai, spontaneamente, sentito la mancanza.
[1] Scienze, tecnologia, ingegneria e matematica. È curioso il fatto che, nonostante i numerosi sforzi fatti, sulle materie di questo tipo sono molto più performanti gli studenti asiatici e, nello specifico, cinesi.
[2] Nelle Linee guida per l’insegnamento dell’educazione civica il Ministro è ricorso 69 volte ai termini “regola”/“norma”, 34 volte alla parola “nazione”, 29 a “legge”; 2 volte “emozioni”, 4 “insegnante”, 1 “genitori” e 0 “accoglienza”. Cfr. Matteo Lorenzini: Analisi semantica delle Linee guida dell’Educazione civica di Valditara: che cosa emerge?, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università.
[3] Questa e altre citazioni sono riportate nella lettera polemica del prof. Giancarlo Burghi, del liceo “Torquato Tasso” di Roma, a Valditara. È disponibile qui: https://osservatorionomilscuola.com/2024/12/23/lettera-di-giancarlo-burghi-al-ministro-giuseppe-valditara-sulleducazione-civica/
[4] Ministero dell’Istruzione e del Merito: Linee guida per l’insegnamento dell’educazione civica, p. 3.