Senza fine le violenze in Myanmar
Il presidente birmano Thein Sein impone lo stato d'emergenza e minaccia l'uso della forza
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Non si placano le violenze inter-religiose in Myanmar. Il Monsignore Charles Bo, arcivescovo di Yangon, ha diffuso venerdì un messaggio di pace e speranza rivolto a tutti i responsabili religiosi per fermare gli scontri tra buddisti e musulmani in Myanmar. In un discorso alla nazione, il presidente birmano Thein Sein ha invece accusato i "sobillatori", coloro che volontariamente stanno perpetrando le violenze anti-musulmane per "opportunismo politico ed estremismo religioso". Sein ha concluso che "non esiterà a usare la forza" se questa sarà "l'ultima spiaggia" che resterà in campo per "salvare vite umane e proteggere le proprietà".
Le violenze sono riesplose nuovamente il 20 marzo scorso a Meikhtila, in seguito ad un banale scontro tra un commerciante musulmano ed un cliente di fede buddista. La lite è sfociata in veri e propri scontri di piazza, durante i quali - secondo fonti della polizia - sono morte 42 persone. Ingenti anche i danni materiali, con 37 edifici religiosi (in maggioranza moschee) e 1.227 case andate distrutte. Il presidente Thein Sein ha imposto lo stato d'emergenza e l'inviato delle Nazioni Unite, Vijay Nambiar, che ha visitato la città di Meiktila martedì, " le case sono state bersagliate con brutalità". Nello stato occidentale di Rakine, dal 2012 le violenze inter-etniche hanno portato alla morte di 180 persone ed oltre 110 mila dispersi.
In settimana, intanto, storica partecipazione mercoledì di Aung San Suu Kyi alla parata annuale dell'esercito nella capitale Naypyidaw. Preparandosi per le elezioni presidenziali del 2015, la partecipazione del Premio Nobel per la pace è particolarmente simbolica e rappresenta il gesto più significativo nel processo di transizione in corso nel paese, da quando due anni fa la giunta militare ha permesso la formazione del governo civile di Thein Sein.