SIRIA, La Posta in Gioco: Morte al sociale - Deregulation, privatizzazione, monetarismo

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SIRIA, La Posta in Gioco: Morte al sociale - Deregulation, privatizzazione, monetarismo

 

di Fulvio Grimaldi

Qui si prova a percorrere una panoramica che va dal “no limits” delle atrocità israeliane a Gaza, dall’osceno collaborazionismo in Cisgiordania dell’ANP e dei suoi sgherri che, contro i propri concittadini, gareggiano in ferocia con l’esercito di occupazione, all’evidenza di un paese progressista, laico, nella tradizione del socialismo arabo, squartato. Una nazione identificata dai colonialisti euro-atlantici come “liberata” e democratizzata” dal rigurgito subumano di mercenari al soldo di Turchia, Israele, Fratellanza Musulmana, USA e NATO. Ennesima balcanizzazione imperiale di una unità storica, culturale, multietnica, che onorava l’intera umanità, ma che si era resa colpevole della vittoria su colonialismo e neoliberismo e di perseguire un altro modello di organizzazione della società. Come in Libia, Iraq, Jugoslavia, Venezuela….

Tra privatizzazione draghiano-prodiano-montiana, dittatura Covid e regime Meloni, siamo stati talmente ridotti ad accettare per fatto compiuto la scomparsa dei nostri diritti politici, civili e sociali, un’iniqua distribuzione della ricchezza, la totale rimozione del pubblico a vantaggio del potere-profitto privato nel segno della “fine della Storia”. Tuttavia non pare che vi sia una piena consapevolezza dell’obiettivo perseguito, utilizzando l’ormai prediletto strumento terrorista, dalla rivoluzione reazionaria imperialcapitalista in Siria.

Della Sira (come del resto di molti paesi-canaglia, tipo Venezuela, Nicaragua, Nordcorea, Bielorussia, Algeria, Jugoslavia, Cuba…) l’intollerabile era la funzione di esempio, il rischio del contagio, la potenzialità di punto di riferimento politico, economico, sociale. Certo, il clamore era tutto sulla dittatura che le risorse della democrazia, coltivate e vigorosamente rigogliose in Occidente, dovevano eliminare. Siccome il fine giustifica i mezzi, per tale nobilissima missione era perfettamente tollerabile che i mezzi fossero il più raccapricciante mercenariato terrorista mai allevato al mondo, insieme alle più abiette forme di mistificazione della realtà come praticata con la diffamazione-criminalizzazione del soggetto governativo da abbattere.

Meccanismi ottimamente serviti alla causa in sei sui sette stati la cui disintegrazione dai neocon era stata programmaTA a partire dalla “guerra al terrorismo” alla quale il loro supergesto terroristico dell’11 settembre, aveva fornito il pretesto. Ha funzionato in Afghanistan, Libia, Siria, Iraq, Somalia, in Yemen ci stanno riprovando e all’ Iran ci stanno arrivando (anche a forza di provocazioni di ogni tipo, comprese, come si sta vedendo, quelle mediatico-spionistiche, ispirate al modello Giulio Regeni).

In questa lista di proscrizione sarebbero dovute entrare, a completare la resa dei conti con gli arabi iniziata mille anni fa, anche Egitto, Tunisia e Algeria. Ma nel primo la popolazione si è mostrata insofferente al modello israelo-turco-qatariota di Al Jolani, qui impersonato dal Fratello Musulmano Mohamed Morsi. Nella seconda, tradizioni laiche consolidate, violenze, arbitri e incompetenze, con conseguente disastro economico e sociale, hanno svuotato il tentativo integralista di Ennahda (della stessa setta anglodeterminata). E nella terza, una tradizione anticolonialista, costantemente rivitalizzata dai tentativi “colorati” dei revanchisti parigini, ha goduto anche del sostegno del vicino Sahel, dal Senegal al Chad vittorioso sul vecchio padrone coloniale francese, reinsediatosi via minaccia ISIS.

Tornando a bomba, ciò che l’oligarchia monopolista delle dittature finanzcapitaliste teme di più, è tutto fuorchè una più o meno presunta – secondo schemi eurocentrici – dittatura, o autocrazia. Che nel caso della Siria era asseribile sulla base di “evidenze” costruite ex-post, come quelle delle migliaia di carcerati “scoperti” sepolti nel carcere di Sednaya. “Evidenze” che avevano tutta l’aria di essere state suggerite da modelli interni, come Guantanamo e Abu Ghraib, o dal centro di detenzione israeliano di civili gazawi a Sdè Teiman, le cui torture e soppressioni sono state riferite da medici USA in visita, da testimoni israeliani e da prigionieri rilasciati. Centro che ora ha inghiottito perfino il dottor Abu Safiya, eroico direttore dell’ultimo ospedale parzialmente attivo a Gaza Nord, dopo i bombardamenti, la cacciata dei pazienti, l’arresto e l’uccisione dei sanitari.

Con le dittature si convive agevolmente e in comunità d’intenti. Purchè concedano controllo ideologico e sfruttamento delle risorse gli si permette di farsi parassite dei propri popoli per quanto dai potenti è tralasciato. Non siamo messi così perfino noialtri, impoveriti all’osso per sostenere, a forza di armi, sorveglianza e guerre altrui, coloro che chiamiamo nostri alleati (che sarebbe come dichiarare santo un papa che, in combutta con demoni a stelle e strisce, si era impegnato a sovvertire e distruggere, con costi di sangue inenarrabili, popoli e nazioni. E, di passaggio, anche qualche fanciulla).

In Siria la priorità assoluta era, ancora una volta, di cancellare dall’orizzonte, perfino dell’immaginario e della memoria, il modello sociale consolidato e sostituirlo con l’economia di mercato. Che sappiamo bene cosa significhi in tempi di neoliberismo capitalfinanziario, dei Bezos, Fink, Soros, Musk (e mettiamoci anche nel nostro non tanto piccolo, gli Agnelli con i loro miliardi in opere d’arte, spettanti allo Stato, ma imboscate in Svizzera). Significa deregolamentazione, privatizzazione, esproprio di quanto del popolo è e dal popolo è prodotto. Come da Verbo dettato da Goldman Sachs a Mario Draghi da recitare sul panfilo Britannia a George Soros e soci.

In Siria l’economia era mista, con preminenza e potere d’indirizzo dello Stato che aveva provveduto a fornirsi di una base produttiva che gli garantiva un inaccettabile grado di autonomia e autodeterminazione rispetto ai rapinatori designati dalle dittature capitaliste all’indebitamento, alla predazione e alla sottomissione di paesi e popoli: FMI, OMC, Banca Mondiale, OMS. Enti detti transnazionali e dall’apparenza pubblica, magari ONU, ma tutti manovrati da interessi privati dalla capacità di condizionamento e ricatto irresistibile.

In Siria ci si era conquistati l’autosufficienza, a partire da quella alimentare, decisiva (ora sotto scacco di curdi e americani che ne trasferiscono la componente energetica in Turchia e Israele). Nessun prestito FMI dagli anni ’80. Nessun intervento “salvifico” di ONG o agenzie ONU.  La Siria stava in piedi da sola. E permetteva, talvolta tragicamente disconosciuta, ai palestinesi di contare su una simile prospettiva. Non è soltanto Abu Mazen a dover essere chiamato a certe responsabilità.

In Siria l’istruzione di ogni grado era gratuita e libera a tutti. Il paese era il più alfabetizzato del Sud del mondo, insieme a Cuba e Iraq. In Siria non esistevano liste d’attesa per cure e interventi, la qualità della sanità richiamava pazienti perfino dai paesi del Golfo, i trattamenti, i ricoveri, le terapie erano gratuiti. E della loro efficienza ho tratto beneficio io stesso, in Siria come in Iraq ed Egitto. Non mi è mai stato chiesto neppure il ticket.

Assetto sociale incompatibile con la democrazia contrassegnata Al Qaida, ora Hayat Tahrir al-Sham, poi sempre quella degli operativi giordani, turchi, uiguri, kazaki, marocchini, colombiani, ucraini, messi in campo contro i renitenti alla Sharìa e all’imperialismo. Per questa renitenza sbudellati, scuoiati, arsi vivi e stuprati (vedi il mio documentario “Armageddon sulla via di Damasco”). Sempre quelli anche del Bataclan, degli attentati a Bruxelles, Berlino, Mosca, Londra, ovunque.

Democrazia apprezzata istantaneamente dalla nostra, nelle sue dichiarate forme di destra e di sinistra, e che si è subito dichiarata disponibile all’introduzione del modello del liberissimo mercato e ne ha informato i grandi operatori mondiali del settore.

Pensate che sarebbe andata a finire così in assenza di queste assicurazioni, dettagliatamente discusse, fin dai tempi dell’addestramento con i Marines in Giordania, Turchia, Golfo, tra il capo-brigante Al Jolani, il suo predecessore ISIS Al Baghdadi, l’attuale premier Al Bashir? Pensate che Abu Mohammed Al Jolani avrebbe potuto mettere il naso, o un mitra, fuori dalla ridotta di Idlib, senza averne avuto licenza dai rappresentanti dell’imperialismo economico a Tel Aviv, Londra, Washington, Golfo e Ankara?

Un’innovazione del resto collaudata, in presenza di revisori atlantici, nei lunghi anni in cui Erdogan aveva garantito ad Al Qaida-Al Nusra-ISIS l’amministrazione della provincia siriana di Idlib, diventata una specie di banco di prova di quanto nuovi reggitori avrebbero potuto fare a Damasco. Economia privatista di rapina di risorse naturali, commercio, manifattura, imposta da 30.000 terroristi con famiglia su 3 milioni di cittadini siriani controllati a vista.

Ora il sistema Idlib verrà esteso a tutta la Siria e messo a disposizione degli interessi dei vincitori. La Turchia avrà modo di prendersi quanto dovrà alleviare la sua pesantissima crisi economico-sociale. Crisi che il califfo cerca di offuscare abbagliando i suoi cittadini con la più fetida delle ipocrisie: la finta solidarietà con Gaza. Gli israeliani, già distrutto a forza di bombe il potenziale produttivo siriano, si avvarranno del prodotto agricolo delle zone occupate (annesse) nel Sud e, per grazia dei curdi, del petrolio del nordest. Il Qatar e il Big Oil avranno finalmente il gasdotto attraverso la Siria e verso l’Europa che Assad gli aveva negato.Ai tagliagole il ruolo dei parassiti di terza o quarta istanza, per quanto cadrà dal tavolo del banchetto multinazionale.

C’era una volta la Siria.

 

 

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