Sul Filo Rosso del Tempo

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Sul Filo Rosso del Tempo

 

di Paolo Crocchiolo*

Nel suo libro “Sul filo rosso del tempo” (Multimage Editrice, Firenze, 2024) l’autrice Alessandra Ciattini intraprende un percorso di analisi della condizione umana focalizzando la sua attenzione sui tre assi portanti dell’ideologia, della religione e della femminilità, visti nel loro dialettico intrecciarsi e compenetrarsi. Ciascuno dei tre temi poi è sviluppato sotto un triplice profilo, a partire dalle sue radici naturalistiche, passando per la sua evoluzione storica, per giungere ai suoi rapporti d’interdipendenza con l’attuale fase tardo-capitalistica e col suo corrispettivo ideologico, il post-modernismo, descritto nelle sue varie sfaccettature.

Le tesi esposte da Marx ed Engels nell’”Ideologia tedesca” già precorrono nelle loro linee fondamentali le attuali concezioni neuroscientifiche riguardanti lo sviluppo evolutivo dell’autocoscienza razionale in quanto tratto caratteristico della specie umana.

Quando i due autori parlano infatti dei bisogni materiali che condizionano e su cui è costruito il pensiero, il quale poi a sua volta si rovescia nella prassi del lavoro produttivo che trasforma l’ambiente naturale, colgono quell’aspetto fondamentale dell’evoluzione che vede nella manualità, frutto della stazione eretta dei nostri antenati confinati nella savana, come il presupposto dello sviluppo cerebrale che poi retroagisce dialetticamente sulla manualità stessa, affinandola e indirizzandola verso modi di produzione sempre più aderenti nel loro succedersi storico alle condizioni ambientali man mano emergenti.

L’ideologia, dunque, non può essere vista riduzionisticamente come un mero prodotto delle condizioni materiali (economicismo), ma neppure come un processo immateriale staccato dalla realtà corporea e sociale dell’essere umano (culturalismo).

La “plasticità cerebrale”, qual è emersa dall’evoluzione, rappresenta un’altra caratteristica fondamentale della nostra specie, e si traduce nella flessibilità degli schemi mentali e conoscitivi che, compendiata con gli istinti primigeni, ha permesso all’umanità di procedere storicamente lungo un percorso trasformativo caratterizzato dai reciproci condizionamenti dialettici fra strutture socioeconomiche e sovrastrutture culturali. A partire dal formarsi delle classi sociali e sullo sfondo del conseguente conflitto di classe, le ideologie sono così venute sempre più a rappresentare l’espressione degli interessi delle classi dominanti cui infine, nella fase del capitalismo industriale, si sono contrapposte quelle esprimenti gli interessi delle classi subalterne.

Ed è proprio qui che s’innesta il capovolgimento di prospettiva di Ciattini nei confronti di ciò che oggi viene comunemente presentato come “ideologico”, nella sua connotazione negativa di “pregiudiziale” e “slegato dalla realtà”, laddove paradossalmente proprio il preteso rifiuto di ogni ideologia costituisce il leitmotiv ovvero l’ideologia più pervasiva della post-modernità neocapitalista, funzionale al sistema di potere vigente. La decontestualizzazione, parcellizzazione e frammentazione dei fenomeni che caratterizzano le analisi post-moderne generano in questo senso un effetto inibente rispetto ad ogni possibile intervento concreto di trasformazione della realtà sociale che scaturisca da un’ideologia unificante quale il materialismo storico.

È come se il marxismo fosse destinato alla stessa obsolescenza programmata degli altri effimeri prodotti esposti in vendita sugli scaffali del centro commerciale globale del pensiero. La caducità e la volatilità della produzione culturale ricalcano in effetti quelle della produzione materiale, essendo entrambe sottoposte alle impellenti esigenze di un sempre più frenetico ricambio consumistico. La mente collettiva di gramsciana memoria, strumento di trasformazione della realtà sociale, viene così soppiantata da schemi interpretativi tendenti alla decontestualizzazione, all’individualismo, e in generale a un’ideologia paralizzante nei confronti di ogni processo che possa mettere in discussione l’ordine e le strutture sociali esistenti.

Nella seconda parte del libro l’autrice passa ad esaminare il fenomeno religioso nei suoi vari aspetti, a partire da quello antropologico. Ciò che caratterizza tutte le religioni è una visione cosmogonica da cui derivano le regole etiche da applicare nell’agire quotidiano. Anche nel caso delle religioni, la loro origine “naturale”[1] e il loro sviluppo storico appaiono inestricabilmente intrecciati con quelli delle ideologie, tanto da risultarne spesso indistinguibili. Recenti analisi neuroscientifiche[2] indicano infatti che le motivazioni del sentimento religioso andrebbero ricercate, da una parte nello sviluppo dell’autocoscienza razionale e nella conseguente coscienza della morte individuale, dall’altra nella primigenia tendenza all’aggregazione dei membri della nostra e delle altre specie, istinto largamente premiato dall’evoluzione.

Storicamente, anche le religioni come le ideologie tendono a svilupparsi e modificarsi sino ad aderire quasi camaleonticamente al terreno socioeconomico e politico-culturale in cui si trovano ad operare. La narrazione religiosa, pur nascendo a livello popolare, tende a essere fatta propria dalle classi dominanti e a quel punto si presta ad essere strumentalizzata da queste ultime per giustificare e rafforzare l’ordine costituito, i modi di produzione e le gerarchie sociali corrispondenti.

In Europa in particolare, la storia del cristianesimo ricalca la storia dei conflitti sociali, da movimento di liberazione dallo schiavismo in una prima fase a puntello del potere in epoca post-costantiniana, dai movimenti pauperisti contrapposti alle gerarchie feudali all’imposizione violenta dello status quo mediante la santa inquisizione nel Medio Evo e fino alla Rivoluzione Francese, dalla rivolta dei contadini guidata da Müntzer alla feroce repressione della stessa invocata dalla stesso Lutero all’inizio dell’era moderna e dalla querelle fra l’abate Bossuet, favorevole al rigido conservatorismo dell’aristocrazia e l’abate Fénélon, fautore del liberalismo della nuova borghesia emergente.

Una perfetta esemplificazione di queste molteplici versioni della religione cristiana viene presentata da Ciattini nella sua analisi della diffusione del cristianesimo in America Latina. I primi secoli della colonizzazione erano stati caratterizzati fin dal momento del “descubrimiento” da una penetrazione capillare del cattolicesimo, che svolse un’importantissima funzione fiancheggiatrice del saccheggio sistematico operato dai conquistatori e dai loro epigoni.

Fu solo in séguito ai moti indipendentisti di inizio Ottocento, e soprattutto alla proclamazione della dottrina Monroe del 1823, che cominciarono a diffondersi anche confessioni protestanti di vario tipo, in parallelo alle ideologie liberali del Nord del continente e dell’Europa. Ma solo a partire dal secondo dopoguerra questo fenomeno assunse dimensioni imponenti, fino a diventare politicamente assai rilevante nell’ultimo mezzo secolo, grazie soprattutto alla “riesumazione” di quell’attitudine prepotentemente universalistica propria del cristianesimo, e più tardi dell’islamismo, che le distingue da tutte le altre religioni “etniche” e che quindi le rende promotrici di un proselitismo particolarmente aggressivo con effetti politici dirompenti fin dai tempi dell’Impero Romano.

Tra tutte le sette protestanti diffuse in America Latina, un ruolo di primo piano hanno assunto quelle che si richiamano al pentecostalismo, cioè alla discesa dello Spirito Santo sui seguaci di Gesù, che ne escono trasfigurati e quindi fiduciosi di risolvere i loro problemi esistenziali e quelli della comunità. Nell’attuale contesto latinoamericano questo approccio religioso, del tutto acritico rispetto all’organizzazione capitalistica della società, si traduce nella cosiddetta “teologia della prosperità”, una riedizione dell’edonismo reaganiano caratterizzata da un irrazionalismo visceralmente anticomunista, in contrasto stridente con il suo opposto, la “teologia della liberazione”, diffusasi negli anni ’60, ’70 e ’80 del secolo scorso nel solco dell’antica tradizione rivoluzionaria e pauperista, componente da sempre presente, all’interno del cattolicesimo, accanto a quella reazionaria della chiesa ufficiale.

Il testo della canzone di Johnny Cash, “Your own personal Jesus”, può a questo proposito essere addotto ad esempio paradigmatico, rivelatore del messaggio politico-ideologico veicolato dalla teologia della prosperità.

Il tuo Gesù personale, ovvero il tuo Gesù privato (“your own Jesus”) è uno che ascolta le tue preghiere e si prende cura di te (“someone to hear your prayers, someone who cares”), una presenza fattiva, consolatoria (“I’m a Forgiver”), che libera dalla sensazione di solitudine che ti attanaglia in questo mondo malvagio e materialista (“feelig unknown, and you’re all alone, flesh and bone, by the telephone). E poi, passando all’azione concreta del proselitismo affrancatore, “lift up the receiver, I’ll make you a believer”, solleva il ricevitore del telefono, farò di te un credente (sic…et simpliciter). Nella società che tutto monetizza, è importante commercializzare il prodotto, anche quello ideologico/religioso, attraverso i canali pubblicitari disponibili, sfruttando la tecnica della neuropromozione, che si avvale dei meccanismi della gratificazione propri della mente umana. Insomma, abbandonandoti alla Fede (“Reach out, touch faith”), la via della salvezza è, banalmente, a portata di ricevitore telefonico; perché non averci pensato prima?

Facendo un bilancio in termini di costi/benefici, le notevoli somme investite dall’establishment statunitense nella propaganda pentecostalista non sembrano essere state sprecate invano, se il ritorno dell’investimento è consistito nel condizionare in maniera determinante l’elezione di personaggi ultrareazionari e fedelissimi al modello più distruttivo del turbocapitalismo nordamericano come Milei e Bolsonaro.

Un terzo aspetto di cui si occupa l’autrice è la condizione della donna e la questione femminile, anch’essa analizzata nelle sue radici biologico-naturalistiche e nel suo evolversi storico, per approdare alla fase attuale del capitalismo maturo e del suo corrispettivo ideologico, il post-modernismo.

Anche qui la dialettica natura/cultura gioca un ruolo fondamentale nella specie umana, l’unica dotata di quell’autocoscienza razionale che va al di là dei semplici istinti geneticamente determinati.

Anche in questo caso però le radici del dimorfismo sessuale risalgono a ben prima della comparsa della nostra specie e rappresentano pertanto un fattore imprescindibile, come giustamente rileva Ciattini, per ogni discorso ideologico riguardante la sessualità.

Anche negli altri animali infatti, come nell’uomo, le differenze fra i due sessi si sono sviluppate evolutivamente attorno alle caratteristiche dei gameti sottostanti (pochi ovuli fissi e numerosissimi spermatozoi mobili) e alla loro esigenza di incontrarsi per fondersi dando luogo a un nuovo individuo.

Sia la selezione naturale che la selezione sessuale hanno poi concorso a plasmare le differenze fisiche e psicologiche delle portatrici e dei portatori dei gameti sottostanti e da tale meccanismo selettivo sono emerse le caratteristiche dimorfiche di cui s’è detto. Ciò ha implicato lo sviluppo di un sistema della gratificazione generatore dell’attrazione sessuale, necessaria premessa dell’accoppiamento, a sua volta presupposto indispensabile della riproduzione che ne costituisce, non tanto lo scopo quanto un possibile effetto (tutti si accoppiano ma non tutti si riproducono, il che si traduce in un equilibrio demografico, diverso per ciascuna specie).

Il sesso cromosomico condiziona in gran parte quello “mentale”, lasciando però aperto nell’ambito di quest’ultimo un amplissimo spettro di varianti (tra cui una certa percentuale di omosessualità, oscillante a seconda dell’ambiente sociale/culturale circostante), varianti emerse anch’esse dal processo selettivo, in quanto generatrici nel loro insieme di un maggior tasso di riproduzione rispetto ad altre combinazioni di varianti meno efficienti ai fini riproduttivi.

I meccanismi della riproduzione sessuata implicano necessariamente un’asimmetria che condiziona nell’uomo, la rivalità fra maschi e soprattutto la tendenza a garantire che i figli siano i propri, segregando le femmine o comunque impedendo con ogni mezzo che vengano inseminate da altri (giungendo fino all’orrenda sevizia dell’infibulazione).

Tali tendenze sono state trasfuse ai costumi sessuali e da questi a rigide norme ideologiche e soprattutto religiose, finendo per rappresentare quelle che Wilson chiama “iperestensioni culturali”[3]. Un tipico esempio d’iperestensione culturale è la creazione di tabù sessuali ad opera dei detentori del potere nell’ambito delle religioni sessuofobiche, con conseguente colpevolizzazione del piacere associato al sesso, strumento utile a ricattare moralmente e controllare politicamente le classi subalterne.

Dal punto di vista biologico, uomini e donne differiscono unicamente in ciò che concerne la fisiologia riproduttiva, ma hanno in comune tutti gli altri sistemi, organi e apparati e le corrispondenti capacità fisiche e, soprattutto, intellettive. Relegare le donne al solo ruolo di riproduttrici e lavoratrici domestiche sarebbe come, all’inverso, relegare gli uomini al solo ruolo di donatori di seme ed esecutori di lavori pesanti riservando alle donne la realizzazione di tutte le altre potenzialità che biologicamente condividono con i maschi.

Il sistema economico-produttivo basato sullo sfruttamento della forza lavoro confligge in questo senso con la biologia nella misura in cui favorisce lo sviluppo delle capacità tecnico-scientifiche ed artistico-letterarie nel genere maschile e le inibisce in quello femminile. Ma tali fisiologiche potenzialità corporee e mentali, come abbiamo visto, sono trasversali ai due sessi e non dovrebbero quindi essere arbitrariamente subordinate a quelle specificamente riproduttive di uno dei due. In questo senso, le donne risultano doppiamente sacrificate, la prima volta sfruttate in quanto esseri umani nell’economia della produzione, la seconda volta “corvéables à merci” in quanto donne nell’economia della riproduzione.

Nel corso della storia, i diversi modi di produzione hanno condizionato nelle varie fasi storiche la posizione femminile, fino all’epoca attuale in cui assistiamo al femminismo “borghese” delle donne privilegiate, che adottano in toto la mentalità maschilista della competizione e del successo individuale dimenticando che il capitalismo, benché strutturalmente sfrutti sia uomini che donne, approfitta nel caso di queste ultime, dovunque possibile, della loro condizione d’inferiorità per decurtarne ulteriormente i salari, oltre a contare a gratis su di esse nell’economia della riproduzione.

Il maschilismo insito nel supersfruttamento della forza lavoro femminile di molti paesi del “sud globale” viene infatti considerato benevolmente, o negativamente, a seconda della collocazione politica del paese in questione e, anzi, derubricato a fattore culturale da rispettare astenendosi da ogni giudizio quasi fosse una mentalità connaturata alle popolazioni non ancora civilizzate, laddove può essere utile al capitalismo neocoloniale/imperialista (Sud Est Asiatico, Subcontinente Indiano, America Latina, Maghreb, Vicino Oriente e Africa Subsahariana).

Nel mondo post-moderno convivono quindi fianco a fianco il femminismo più avanzato, purché beninteso non ostacoli lo scorrevole svolgimento della massimizzazione dei profitti, col maschilismo più bieco, laddove il sistema di capitale ravvisa invece la necessità di “serrare i ranghi” intensificando lo sfruttamento della forza lavoro femminile. Anche in questo caso, la frammentazione caleidoscopica delle varie culture risulta funzionale al sistema dominante in quanto refrattaria ad un’ideologia critica unificante che potrebbe minacciarlo nelle sue fondamenta.

[1] Daniel Dennett, Rompere l’incantesimo: la religione come fenomeno naturale, Raffaello Cortina Editore (2007)

[2] Telmo Pievani, Vittorio Girotto, Giorgio Vallortigara, Nati per credere, Codice Editore (2016)

[3] Edward Osborne Wilson, L’armonia meravigliosa, dalla biologia alla religione, la nuova unità della conoscenza, Mondadori Editore (2022)

*Già professore di Etica e diritti umani all'Università Americana di Roma, attualmente professore di Geopolitica all'Università Popolare Antonio Gramsci

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