SuperMario Dragher, come l’ex giovane Jedi caffettiano è passato al lato oscuro della forza

SuperMario Dragher, come l’ex giovane Jedi caffettiano è passato al lato oscuro della forza

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Questa è la storia di come un giovane Jedi caffettiano dimenticò gli insegnamenti del suo maestro, per passare al lato oscuro della forza neoliberista.

Quando tutto incominciò.

Nel 1970 Mario Draghi si laurea in economi all’università l'Università della Sapienza di Roma. Il suo relatore non è un professore qualsiasi ma l’economista italiano forse più importante del dopoguerra: Federico Caffè. L’accademico di Pescara è un keynesiano puro la cui politica economica s’ispira direttamente alla costituzione italiana nella parte in cui sancisce la prevalenza dell’essere umano rispetto all’ economia. “Al posto degli uomini abbiamo sostituito i numeri e alla compassione nei confronti delle sofferenze umane abbiamo sostituito l'assillo dei riequilibri contabili” annotava l’economista in uno dei suoi articoli. Al centro delle sue riflessioni c’è la necessità di assicurare elevati livelli di occupazione e di protezione sociale, soprattutto per i ceti più deboli. Il welfare dunque, ma non nella versione d’accattonaggio in cui è stato ridotto oggi da decenni di neoliberismo, ma il welfare vero, inteso come strumento che “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese” Art 3 costituzione italiana. Niente homo economicus esaltato dall’utilitarista John Stuart Mill ma homo e basta. Perché, scrive Caffè, il capitalismo maturo dei paesi sviluppati, “al pari di quello originario, poggia su sofferenze umane non contabilizzate, ma non per questo meno frustranti e degradanti”. Mario Draghi è uno dei suoi studenti migliori. Uno dei più brillanti sui cui l’accademico di Pescara ripone molta fiducia. All’orizzonte infatti si stanno ammassando nubi minacciose che non promettono nulla di buono: “Poiché il mercato è una creazione umana, l'intervento pubblico ne è una componente necessaria e non un elemento di per sé distorsivo e vessatorio. Non si può non prendere atto di un recente riflusso neoliberista, ma è difficile individuarvi un apporto intellettuale innovatore.” La tesi di laurea del laureando sembra una sfida all’Eurozona neoliberisti di oggi: Integrazione economica e variazione dei tassi di cambio. In essa Mario Draghi critica il progetto di una moneta unica europea argomentando come i fondamentali macroeconomici tra i vari paesi siano troppo differenti per consentire un’integrazione bilanciata.

Le tribolazioni del giovane Jedi gettato in pasto agli squali neoliberisti.

Nel 1971, fresco di laurea, Mario Draghi approda al Massachusetts Institute of Technology dove tra i nuovi professori incontra Stanley Fischer, futuro governatore della Bank of Israel e successivamente vicedirettore della Federal Reserve sotto Barack Obama. Tornato in patria dopo aver conseguito il Phd, diventa uno dei professori più giovani in un paese segnato dalla baronia gerontocratica. All’inizio degli anni Ottanta è consigliere del ministro del tesoro del governo Craxi e quando l’ex maestro Federico Caffè scompare misteriosamente nel nulla nel 1987, Mario Draghi è già altrove: executive director della Banca Mondiale. Contrariamente al maestro, che si era allontanato dai centri di potere per dedicarsi all’insegnamento, Mario Draghi si allontana dall’insegnamento per avvicinarsi ai centri del potere mondiale nel cuore dell’impero.

 

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Il punto di non ritorno: 1992, il Britannia.

In quell’anno l’Italia, tanto per cambiare, è colpita da una crisi economico-istituzionale gravissima. La Lira va a picco, la politica è nel panico totale per le inchieste della magistratura, i giudici antimafia Giovanni Falcone e Paolo Borsellino vengono trucidati in due attentati i cui veri mandanti restano ancora nell’ombra. Come se non bastasse il 1992 è l’anno dei trattati di Maastricht che fissano i rigidi parametri economici e sociali per entrare nell’euro. In quell’estate infuocata Mario Draghi, in veste di direttore generale del ministero del Tesoro, incontra degli alti rappresentanti della comunità finanziaria internazionale sul panfilo Britannia, di proprietà della famiglia reale inglese. In quella sede illustrerà agli stakeholders, principalmente gruppi di interessi finanziari di London City, il piano delle privatizzazioni da lui intese come strumento di riduzione del debito e non del deficit perché “quando un governo vende un asset profittevole, perde tutti i dividendi futuri, ma può ridurre il suo debito complessivo e il servizio del debito”. Nel suo discorso (testo completo qui) agli stakeholders trapela tutta la forza del vincolo dei trattati di Maastricht, che in Italia avevano capito in pochi: “Non possiamo avere le privatizzazioni senza una politica fiscale credibile, che – ne siamo certi – sarà parte di ogni futuro programma di governo, perché l’aderenza al Trattato di Maastricht sarà parte di ogni programma di governo". Certamente quel piano di privatizzazioni fu una delle premesse per far entrare l’Italia nella moneta unica e altrettanto certamente il Britannia segnò simbolicamente il punto di non ritorno, la svolta dove il giovane Jedi caffettiano con Keynes nel cuore muore e al suo posto nasce l’implacabile Supermario Dragher, di specchiata fede neoliberista nel mercato globalizzato e nella sua finanza salvifica. Oggi, a tanti anni di distanza da quel momento fatidico possiamo dire che quel piano ha portato un aumento stabile del debito pubblico e la concentrazione della ricchezza del nostro paese in poche mani. Va anche notato che appena in Mario Draghi svanì l’ultimo residuo di Federico Caffè, la sinistra liberal-progressista lo elevò a suo idolo salvifico.

I trionfi internazionali

Da quel momento in poi la strada è tracciata e SuperMario Dragher colleziona un successo dopo l’altro. Nel 2002 viene nominato vice chairman e managing director di Goldman Sachs, una delle più importanti banche d’affari di consulenza e d’investimento del pianeta, la stessa dov’era transitato Mario Monti. Nel 2005 diventa governatore della Banca d’Italia. Nel 2011 è eletto Presidente della Banca Centrale Europea da dove lancia il famoso Quantitative Easing, le operazioni di acquisto di titoli di stato dei paesi dell’Eurozona che salvano la moneta unica. Pare che in una notte particolarmente agitata di non si sa bene quale anno, gli appaia il fantasma di Federico Caffè il quale, scuotendo la testa come a mostrare disappunto per la strada oscura intrapresa dal suo discepolo, sussurri con un filo di voce: “…da tempo sono convinto che la sovrastruttura finanziario-borsistica con le caratteristiche che presenta nei paesi capitalisticamente avanzati favorisca non già il vigore competitivo ma un gioco spregiudicato di tipo predatorio, che opera sistematicamente a danno di categorie innumerevoli e sprovvedute di risparmiatori in un quadro istituzionale che di fatto consente e legittima la ricorrente decurtazione o il pratico spossessamento dei loro risparmi…”

Draghi opera un capovolgimento completo della visione caffettiana. Ma non si tratta di un ribaltone tecnico, relegato cioè a una questione di teoria economica, ma di un ribaltamento filosofico profondo. Quello che muta è il modo di vedere l’uomo e il suo agire nel mondo. In Federico Caffè l’uomo è soggetto mentre l’economia rimane uno strumento, uno dei tanti a disposizione della società, usato per migliorare la condizione umana. Nella visione servita da Mario Draghi invece, l’uomo regredisce a oggetto e diventa uno strumento attraverso il quale imporre il sistema tecnico-finanziario considerato migliore. Il fine è il sistema e la sua stabilità, non l’uomo né tantomeno il miglioramento della sua condizione. E per realizzare l’equilibrio del sistema occorre un essere illuminato capace di guidare i sudditi verso il bene: Supermario Dragher.

 

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Oggi forse solo Repubblica e i suoi lettori liberal-progressisti non hanno capito che SuperMario Dragher non ha nulla a che vedere con il giovane Jedi caffettiano con Keynes nel cuore. SuperMario è uomo dell’impero, uno dei migliori di cui l’impero disponga. La sua missione è quella di stabilizzare il fronte sud, il ventre molle dell’Eurozona rappresentato dallo stivale italico che per qualche motivo non calza mai bene. Stabilizzarlo a qualsiasi costo, anche a rischio di distruggere la calzatura nel caso si ostinasse a non conformarsi al sistema.

 

Edoardo   Laudisi

Edoardo Laudisi

Edoardo Laudisi (Genova, 1967) è scrittore e traduttore. Ha pubblicato il romanzo “Zenone” (2001, Prospektiva Letteraria) l’ebook “Superenalotto” (2013), il romanzo “Sniper Alley” (2015, Elison Publishing), il romanzo “Le Rovine di Babele” (2018, Bibliotheka Edizioni), il saggio “Germania anno nero” (2020 Edizioni Epokè). Laureato in economia, suoi articoli sono apparsi su numerose riviste e siti internet. 

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