The Donald-Harris: due facce della stessa medaglia
di Giuseppe Giannini
Il mondo guarda all'America, ma l'America non è abituata ad ascoltare il mondo.
Un Paese preda del delirio collettivo, attraversato da crisi esistenziali ed economiche, che ne hanno accentuato la deriva psichica. Le elezioni statunitensi rappresentano l'apice della politica spettacolo che miete vittime intorno ad essa. Già il fatto stesso di vedere due contendenti e due soli partiti - gigantesche macchine organizzative, gruppi – apparati raccoglitori di milioni di dollari - dà l'idea dello stato in cui versa la democrazia.
Un modello di competizione importato anche in Europa con la scusa di garantire l'efficientismo impantanato dal pluralismo politico. Scongiurare i veti e andare spediti. Mettere all'angolo le visioni altre. I sostenitori del bipolarismo diranno che in essi confluiscono comunque le diverse anime presenti negli opposti schieramenti, sintesi assicurata dalla scelta finale risultante dalle primarie. In realtà l'intento è quello di uniformare, ostacolare la presenza di voci contrarie. Semmai la paralisi istituzionale è figlia delle lotte intestine all'interno degli stessi apparati. E se guardiamo all'Italia ogni riforma, o modifica della legge elettorale, ha solamente accentrato il potere nelle mani dei vincitori a discapito della rappresentanza, stanando quel conflitto che prende corpo nella società e che cerca interlocutori.
Gli antagonisti a stelle e strisce sono parte integrante di quel sistema delle élite, che in campagna elettorale strizza l'occhio di qua e di là, solleva gli animi, tocca tasti sensibili, con il solo fine di acciuffare il potere. E qualora dovesse emergere un candidato con posizioni radicali faranno di tutto per ostacolarne l'acesa. I poteri forti vogliono essere assicurati. I lobbisti delle armi, e dell' High Tech, le multinazionali estrattive, dell'agrobusiness e farmaceutiche, ed ogni sorta di donatore che finanzierà la campagna elettorale ne condizionerà, inevitabilmente, le decisioni.
I gendarmi del mondo fomentano guerre e colpi di Stato da sempre, e vinca l'uno o l'altro le politiche americane non cambieranno. C'è ancora qualche ingenuo progressista che finge di credere che "se vincono i democratici". Certo, ci sarà qualche piccola concessione ma le ingerenze continueranno. D'altronde i democratici hanno condotto più guerre rispetto ai repubblicani. Barack Obama (premiato con il Nobel della pace sulla fiducia) poi ha consentito l'inervento militare in Libia. Si è impegnato di allargare la copertura sanitaria, e le tutele sociali, ma i suoi due mandati sono da ricordare anche per il sostegno a Wall Street. Lo stesso Biden, tristemente famoso per la poca lucidità, pur avendo approntato degli aiuti – la riduzione del debito studentesco – ha continuato la costruzione di muri e la lotta alle migrazioni. Nel frattempo, la diffusione delle armi produce stragi infinite. Il conflitto in Ucraina ripropone le mire imperialistiche. E il dramma palestinese viene cancellato dai sionisti presenti nelle sfere che contano.
E' ovvio che, da un punto di vista formale, della presentabilità, le differenze tra la Harris e The Donald sono evidenti. L'uno è il classico miliardario arrivista amorale, sceso in politica dice per salvare il proprio Paese. Prendendo di mira la globalizzazione economica ha pensato di far riprendere gli USA attraverso le politiche protezionistiche ed i dazi. L'idea di Stati uniti nella tradizione, basata sulla supremazia capitalistica, che alimenta le differenze ed esaspera le diseguaglianze. Alla costante ricerca di nemici interni ed esterni, e che per tale motivo risultano in eterna lotta con i propri demoni. Il percorso di Trump ricorda tanto la parabola berlusconiana fatta di illegalità diffusa e spregio delle istituzioni. Le amicizie pericolose con i settori criminali e le forze partitiche apertamente reazionarie e razziste.
Ispiratori di quella galassia populista, che sposta l'attenzione altrove, criminalizzando comportamenti (la questione lgbt+, l'aborto) e fenomeni ( i migranti) al solo scopo di celare le loro malefatte (la corruzione sistemica, la visione patriarcale). Difensori del predominio – reggere ed orientare il capitalismo nazionale – attaccata dal nemico esterno: ieri il comunismo; oggi la Cina e le alterità culturali. E che trova terreno fertile nel suprematismo bianco.
L'altra è il personaggio giusto al momento giusto. Donna e di colore, esattamente ciò che serve al sistema. Solo che ai fini di un cambiamento sostanziale questo non è sufficiente. Le donne di potere sono parte del potere (maschilista). Anche l'origine etnica è poco rilevante. Due esempi come Hillary Clinton e Condoleeza Rice bastano ad evidenziare la continuità della politica americana, gli interessi imperialistici, e la brama personale di potere.
Kamala Harris, donna che ride sempre ( non esite un frame che la ritragga in maniera diversa), il cui atteggiamento "ironico" è stato spesso considerato inadeguato per chi riveste una carica istituzionale, è famosa per le innumerevoli giravolte. Pur di ricevere il sostegno dei poteri che contano e fare carriera, tanto da procuratrice, e poi da senatrice, ha pensato bene di non esporsi troppo. La realpolitik impone di non scontentare gli altri apparati, soprattutto le forze dell'ordine. E così, se in passato si era pronunciata contro la pena di morte, poi, per racimolare i loro voti ha deciso di impugnare la decisione di un giudice che aveva dichiarato incostituzionale la punizione capitale. Una volta ottenuti soldi e consensi eccola avere dei ripensamenti. Giustizialista a giorni alterni, sostenuta trasversalmente dalla Silicon Valley e dallo star system, pur avendo l'appoggio della maggioranza della comunità nera rende difficile dare corso alle loro rivendicazioni. Allo stesso modo dimentica il sociale: dal salario minimo ad un tetto sugli affitti, fino alle coperture sanitarie. La testimonianza dell'allontanamento dalla working class che, negli ultimi trent'anni, un pò ovunque, spesso ha votato a destra.
Preoccupato dalla perdita del potere d'acquisto e della diffusione dell'insicurezza il popolo americano è in maggioranza stanco delle guerre in Ucraina e Medio Oriente, allo stesso modo dell'opinione pubblica mondiale, ma i gangli del potere non accettano discussioni. La distanza della politica, soprattutto di quelli che dovrebbero rappresentare il cambiamento come i democratici americani, il cui atteggiamento chic tende sempre più ad allontanarli dalle masse popolari. Masse che certa propaganda liberal vuole rappresentare come rozze, arretrate ed ignoranti, ritratte come tipiche persone in sovrappeso e col cappellino da baseball a sostegno di quella tradizione americana perduta e di cui Trump vuole essere il portavoce. Mentre i media occidentali danno prova di scarso equilibrio, facendo indirettamente il tifo per la Harris, e mettono in campo di tutto pur di denigrare il repubblicano impresentabile. Trump, autore di mille illeciti, fiancheggiatore dei complottisti, negazionista climatico, e che, non bastasse l'assalto al Campidoglio, già parla di possibili brogli elettorali
In definitiva, nessuno dei due vuole mettere in discussione lo strapotere della finanza e il ruolo abnorme di magnati come Bezos o Musk. Tantomeno hanno in mente di porre in essere delle regole in grado di governare gli eccessi di una tecnologia che ha rimodellato, peggiorandola, la vita di tutti.