Tristi scoperte
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Un antifascista NON può essere razzista, quindi NON può essere antisemita. Altrimenti non sarebbe antifascista. Ma non sempre è vero il contrario.
Ce lo dimostra il fatto, venuto a nostra conoscenza in seguito alla pubblicazione su un giornale di destra , che l’avvocato Alfredo Belli Paci, marito della senatrice a vita Liliana Segre - la quale deve la sua nomina al fatto di essere stata perseguitata dal nazi-fascismo - era un fascista convinto, tanto che nel giugno 1979 si candidò per il MSI, il partito di Almirante, detto anche il “fucilatore”, quello della famigerata Repubblica di Salò i cui “ragazzi” si macchiarono di delitti orrendi insieme ai loro complici nazisti.
Peccato Senatrice, questa scoperta è davvero triste, ma lei è stata molto brava ad andare in TV dal simpatico Fazio e uscirne pulita e innamorata.
L’amore si dice sia cieco, ma la coscienza dovrebbe avere lo sguardo acuto, almeno quanto basta per non tradire i milioni di vittime di cui il fascio-nazismo porta la colpa. Sia dei sei milioni di ebrei come lei, sia di sei o sette milioni dei altre vittime non ebree.
E’ vero che non appena questa brutta notizia è stata divulgata suo figlio, iscritto a LEU, ha fatto sapere che quella candidatura comportò disarmonia in famiglia, come lei stessa ha confermato, ma certe scelte non si fanno né all'improvviso né a cuor leggero e un fascista è un fascista anche prima di candidarsi e solo perché tale si poteva presentare alle elezioni nel partito di Almirante. Poi, dopo aver preso solo 698 voti che, siamo onesti, in confronto ai 15.395 dell’ultimo eletto nella sua lista erano proprio una miseria, suo marito decise di abbandonare la carriera politica restando, immaginiamo, un fascista nell'animo anche se fuori dal sogno parlamentare.
Però Borsellino, che si sappia, non aveva toccato con mano un numero marchiato a fuoco grazie all'operato dei complici stretti dei fascisti della generazione di suo padre e, si sa, quando le cose si toccano con mano anche le coscienze dormienti si svegliano. Così però non è successo all'uomo con il quale la Senatrice Segre ha condiviso la vita.
Non è una bella notizia e possiamo immaginare che ora la signora Segre, senatrice per “merito” di quell'infame numero tatuato sul braccio a testimonianza della malvagità del nazifascismo, verrà fatta oggetto di strali da una parte e di adulazioni dall'altra, in quel gioco che in quest’Italietta è sempre più diffuso e che trasforma in tifo da ultras qualunque evento che richiami l’attenzione.
Noi non lo faremo, e non solo perché la Senatrice se l'è cavata bene in TV. Non è nostro compito schierarci, prendiamo atto della notizia con un certo disappunto, questo sì, ma niente di più.
Certo, di fronte a votazioni di leggi importanti per la tenuta democratica – sempre più fievole bisogna dirlo – del nostro Stato, non vorremmo trovarci a dover pensare che il ricordo della deportazione nei campi di sterminio non sia di per sé garanzia di rispetto assoluto per i diritti umani e per i principi fondamentali della nostra Costituzione. L’amore può essere cieco, ma la coscienza democratica no. E la senatrice Segre la coscienza democratica, ora più che mai, sicuramente dimostrerà di averla, come richiesto dalla Costituzione della Repubblica Italiana.
Di questo siamo certi, soprattutto dopo aver letto che alla Senatrice, pur non essendo una letterata, ma in forza della sua esperienza drammatica, è stato chiesto di scrivere la definizione di “indifferenza” per il nuovo vocabolario Zingarelli. Siamo certi, quindi, che non può sfuggirle l’importanza dei valori universali applicabili a tutti gli umani e non solo agli ebrei vittime del nazi-fascismo.
La senatrice Segre scrive infatti che “L’indifferenza racchiude la chiave del male, perché quando credi che una cosa non ti tocchi, non ti riguardi, allora non c’è limite all'orrore. L’ indifferente è complice. Complice dei misfatti peggiori”. Di tutto questo noi siamo da sempre convinti.
Patrizia Cecconi
Roma, 25 gennaio 2020
Non è una bella notizia e possiamo immaginare che ora la signora Segre, senatrice per “merito” di quell'infame numero tatuato sul braccio a testimonianza della malvagità del nazifascismo, verrà fatta oggetto di strali da una parte e di adulazioni dall'altra, in quel gioco che in quest’Italietta è sempre più diffuso e che trasforma in tifo da ultras qualunque evento che richiami l’attenzione.
Noi non lo faremo, e non solo perché la Senatrice se l'è cavata bene in TV. Non è nostro compito schierarci, prendiamo atto della notizia con un certo disappunto, questo sì, ma niente di più.
Certo, di fronte a votazioni di leggi importanti per la tenuta democratica – sempre più fievole bisogna dirlo – del nostro Stato, non vorremmo trovarci a dover pensare che il ricordo della deportazione nei campi di sterminio non sia di per sé garanzia di rispetto assoluto per i diritti umani e per i principi fondamentali della nostra Costituzione. L’amore può essere cieco, ma la coscienza democratica no. E la senatrice Segre la coscienza democratica, ora più che mai, sicuramente dimostrerà di averla, come richiesto dalla Costituzione della Repubblica Italiana.
Di questo siamo certi, soprattutto dopo aver letto che alla Senatrice, pur non essendo una letterata, ma in forza della sua esperienza drammatica, è stato chiesto di scrivere la definizione di “indifferenza” per il nuovo vocabolario Zingarelli. Siamo certi, quindi, che non può sfuggirle l’importanza dei valori universali applicabili a tutti gli umani e non solo agli ebrei vittime del nazi-fascismo.
La senatrice Segre scrive infatti che “L’indifferenza racchiude la chiave del male, perché quando credi che una cosa non ti tocchi, non ti riguardi, allora non c’è limite all'orrore. L’
Patrizia Cecconi
Roma, 25 gennaio 2020