"Troppo prudente"? Il cattobellicismo dei gran sacerdoti delle cannoniere

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"Troppo prudente"? Il cattobellicismo dei gran sacerdoti delle cannoniere



di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico

 

Dice: tanto poi la domenica vanno alla messa e si mondano di tutti peccati commessi durante la settimana. Già, ma intanto l'hanno detto e approntano a più non posso tutti i mezzi per farlo, incuranti del male che procurano alle masse, non tanto con le loro miserabili uscite, quanto col dare il benestare al massacro sociale che accompagna le scelte guerrafondaie su cui tanto insistono. Così: «Il riarmo europeo è troppo prudente», predica dal pulpito del Corriere della Sera quel cattobellicista del professor Romano Prodi, tenendo a precisare che, lo scorso 12 marzo, a Strasburgo, lui avrebbe «votato sì. Anche se si poteva cambiare nome fin dall’inizio». Lo aveva pur suggerito, appena pochi giorni fa, anche il signor Angelo Panebianco, dalle pagine dello stesso foglio in cui, sull'abbrivo dell'ardore franco-britannico a schierare truppe in Ucraina, di qua dalle Alpi ci si contenta per ora di chiedere che un posticino venga riservato anche alle armi italiche e intanto si rimembrano le italiche gloriose imprese di ottant'anni fa. Quel “Riarmiamoci” proposto in prima battuta dalla signora Ursula Albrecht, aveva scritto Panebianco, lasciava un sapore troppo “ansiogeno”,  anche se, che diamine, qualche volta «persino l’elettroshock può risultare utile», dal momento che, come si rammaricava il 21 marzo il signor Daniele Manca, agli «italiani piace così poco difendersi».

Dopo cotanti suggerimenti, ecco che la signora von der Leyen ha virato per un più catechistico «Readiness 2030»: essere pronti. Ma, per cosa? Le interpretazioni non sembrano lasciar margine a dubbi: pronti alla guerra che la Russia è intenzionata, già oggi, a scatenare contro la pacifica Europa. Dunque, se il pericolo, come vanno da tempo ammonendo specialmente polacchi e baltici, non è così lontano, cinque anni da qui al 2030 sembrano un po' troppi. Così che, lamenta l'evangelico professor Prodi, anche cambiando nome al riarmo, sostituendolo con uno più “pionieristico” (a quanti conoscano le nostre simpatie per l'URSS, il paragone non appaia blasfemo: “Sempre pronto”, dal 1972 era il motto dei giovani pionieri sovietici) come questo “Readiness”, rimane comunque il problema che «manca totalmente l’indicazione di una volontà precisa sulla comune difesa. Sono passi ancora troppo prudenti». Perdiana: se guerra dev'essere, che non si usino né mezzi termini, né mezze misure. «Guerra e morte, morte allo stranier» come si gridava nel palazzo del re a Menfi.

E poi, quel rammollito del ministro Crosetto, che sostiene che per una difesa comune ci vorrebbe un voto all’unanimità del Consiglio europeo; ma faccia il piacere: «Il voto all’unanimità si può saltare, basta volerlo... si parte con chi condivide il progetto. Poi chi vuole segue», sbotta con cipiglio guerresco il gran sacerdote delle cannoniere, l'ex presidente del consiglio Romano Prodi. E dire che c'è chi lo reputa un martire, caduto dagli scranni governativi per essersi dimostrato troppo languido!

Un professor Prodi che, inoltre, non manifesta il minimo dubbio sulle sacre scritture liberal-metafisiche a proposito della guerra: è sacrosanto continuare a mandar soldi e armi alla junta nazista di Kiev, perché «finché la guerra continua la solidarietà verso l’aggredito è un fatto concreto». Evvia! Bando a quelle credenze anti-cristiane secondo cui «la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi», cioè della politica condotta da tutte le forze in campo, anche al di là di quelle ufficialmente riconosciute come “parti in conflitto” e che aveva portato allo scoppio della guerra guerreggiata. Quella è roba da rozzi materialisti, cui non si addice il rosario sgranato da mons. Prodi. Orsù, ma quale lotta di classe; quali interessi di classe; quale politica degli stati negli almeno trent'anni precedenti lo scoppio del conflitto sul campo! Chiedersi quali fossero e siano le «condizioni obiettive e la situazione concreta della data guerra» è roba da decrepiti leninisti. Inquadrare la specifica guerra «in quella situazione storica in cui si svolge», per essere in grado di poter stabilire il corretto atteggiamento verso di essa, non conviene ad alcuna rispettabile famiglia cristiano-borghese; per carità! Chiedersi «per cosa la guerra venga condotta, da quali classi sia stata preparata e diretta» non si addice a verecondi seminaristi del culto euroliberale.

Non sia mai! Dio ce ne scampi: c'è solo un “aggredito”, democratico, liberale, anelante all'Europa, e un malvagio “aggressore”, semi-asiatico, una riedizione dell'Orda che minaccia, dopo otto secoli, di arrivare di nuovo fino alle porte della Sacra Europa, i cui confini orientali, fino a una trentina d'anni fa, nella visione liberal-europeista dei signori Prodi, Panebianco, Crosetto, von der Leyen & Co., non arrivavano nemmeno all'Elba e che oggi, sempre nel loro “pensare bruxelliano”, si spingono fino al Dnepr, dopo di che cominciano le gelide regioni iperboree, nelle quali nessun “europeista” civilizzato oserebbe addentrarsi.

Ma, attenzione: bisogna fare in fretta, se non vogliamo che la nuova “Orda”, sia essa composta di redivivi Variaghi, Cimmeri o Peceneghi, varchi anche quel limite idrico che bagna la Santa Kiev, un tempo detta “madre delle città russe”, dopo che il principe Oleg, nel IX secolo, vi aveva trasferito la residenza dalla Grande Novgorod. Già: “madre delle città russe”, non semplicemente ucraine. Ma di questo prima o poi si dovrà trattare molto più accuratamente. Non ora.

Ora il tempo stringe e la questione più urgente è quella di evitare che, nel determinare le «truppe sul campo per difendere lo status quo» una volta arrivati al cessate il fuoco, cui accenna Marco Ascione chiedendone parere all'esimio professor Prodi, ci si limiti al «coinvolgimento di truppe di pace appartenenti solo a paesi neutrali, escludendo quindi l’Europa».

Ah, eccoci al dunque: qualcuno aveva forse mai pensato che l'Europa fosse neutrale? Era forse neutrale nel 2014 e nel 2015, quando andavano in scena i “Minsk 1 e 2”? Era forse neutrale durante gli otto anni in cui i nazisti di Kiev hanno continuato a terrorizzare e bombardare la popolazione civile del Donbass? Quante volte la “pacifica” e “neutrale” Europa ha avuto parole di “resilienza” e sostegno, sia pur soltanto morale, per il Donbass? L'Europa è stata e continua a essere diretta parte in conflitto, sostenendo finanziariamente la junta nazista di Kiev, rifornendola di armi e mettendo a disposizione aeroporti italiani per voli spia di velivoli NATO. Una tale Europa non ha diritto ad avanzare alcuna pretesa di ergersi a “forza di pace”, una volta eventualmente raggiunto il cessate il fuoco; non ha nessun diritto, semplicemente perché è direttamente coinvolta nella guerra, sia come “struttura politico-militare” nel suo insieme, sia nelle singole formazioni statali. Questo, checché ne ciancino professori e gran sacerdoti, che sproloquiano gesuiticamente su “aggredito” e “aggressore”, ignorando scientemente la politica euro-atlantica condotta fino allo scoppio della guerra guerreggiata e che, per quanto riguarda specificamente i signori di Bruxelles, Parigi, Roma, Berlino, ecc. viene tuttora continuata.

Blateri pure il professor Prodi sulla “minaccia” rappresentata da Putin «se siamo divisi», o su nessuna “minaccia” se «siamo uniti. Se avessimo avuto la difesa comune, l’Ucraina non sarebbe stata invasa». Ci fosse stata una “difesa comune”, lui avrebbe mandato i carri armati sul Dnepr? Avrebbe mandato le cannoniere sul mar Nero, rinverdendo la politica coloniale di quando anche la regia marina italica mandava marò nel mar Cinese o, una trentina d'anni più tardi, inviava reparti a Arkhangelsk, con americani, francesi e inglesi, per cercare di soffocare la giovane Repubblica sovietica? Forse che, se «avessimo avuto la difesa comune», qualcuno avrebbe contrastato, per fare un solo singolo esempio, l'attacco terroristico alla Libia, nel 2011, cui prese parte anche l'Italia? Qualcuno, se «avessimo avuto la difesa comune», avrebbe inviato “forze di pace” a impedire i massacri nazisti contro i civili del Donbass?

Ci fosse stata una “difesa comune” - la si rigiri come si vuole, ma a rigor di termini, una difesa comune significa un esercito comune e gli eserciti, esimio professore, servono a fare le guerre – la si sarebbe forse impiegata per entrare nel territorio del “civile e democratico” paese “aggredito” e respingere l'asiatico “aggressore”? E chi avrebbe dato il diritto a quella “difesa comune” di entrare nel territorio di uno stato che nemmeno oggi (figuriamoci allora) fa parte di quel consesso che, con tanto fervore, anela a una “difesa comune”? Sarebbe forse stato lo stesso “diritto” invocato per andare a bombardare – anche allora, con i caccia che decollavano da aeroporti italiani – la Jugoslavia, nei due mesi della primavera del 1999: il “diritto” delle cannoniere, che salpano per ogni mare in cui ci siano da proteggere i profitti dei monopoli euro-atlantici.

Che il popolo vi stramaledica, voi e le vostre guerre con cui arricchite l'industria militare. «Il popolo dunque gridò e i sacerdoti suonarono le trombe; e quando il popolo udì il suono delle trombe lanciò un gran grido, e le mura crollarono». (Giosuè 6,20)

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