Trumptower dappertutto CISGIORDANIA, UNA QUESTIONE DI FAMIGLIA
di Fulvio Grimaldi
Il costante sovradimensionarsi del carattere terrorista e fuorilegge nell’immediato agire dello Stato sionista impedisce di vedere ed esaminare la profondità della portata storica del progetto imperiale in altalenante corso di attuazione. Che, a guardare lontano, è la guerra dei mille anni dell’Occidente cristiano agli arabi. La superficie ribolle di episodi di feroce tracotanza, particolarmente rilevabili nella sistematica violazione, sotto i pretesti più farlocchi, di ogni accordo concluso con la controparte e delle garanzie offerte da mediatori che poi si rilevano essenzialmente sponsor della parte più cinica e sleale.
Ne dovrebbe risultare, all’opinione pubblica internazionale, una sempre meno annebbiata, dalla propaganda politico-mediatica, percezione dello stato delle cose, del giusto e dell’ingiusto. Effetto che l’omologazione-concentrazione proprietaria dell’informazione in area occidentale si preoccupa di sventare. Alla stessa maniera in cui l’abbagliante evidenza del contrasto tra quanto ci viene mostrato della liberazione delle prigioniere israeliane e quanto ci viene occultato della fine del sequestro, perlopiù ultradecennale, degli ostaggi nelle Guantanamo israeliane.
Abbiamo capito che quanto a Israele, a dispetto di tutte le complicità armate, finanziarie, (im)morali fornite, non è riuscito a Gaza, ora, su probabile spinta del neo presidente USA, va messo in campo in Cisgiordania. Il “resort” che lo speculatore edile Trump dice di intravvedere lungo le spiagge della Striscia, sarà per un più in là. Troppe macerie, 50.000 tonnellate, da rimuovere prima di iniziare a incassare da vendite e affitti nei “resort” dei rientrati coloni. Troppa forza socio-militare-morale palestinese sul cui, apparentemente impossibile, abbattimento svenarsi, per non indirizzarsi verso un obiettivo meno oneroso e anche più promettente sul piano dei talleri.
Dopotutto Gaza è un’enclave di appena 60km per una decina, tracimante di palestinesi che insistono a nascere e a stare abbarbicati alle loro macerie e alla loro Resistenza. “Giudea e Samaria”, più Galilea, si estendono dal fiume al mare, si proiettano in Libano e Giordania. Sono la base di lancio per Erez Israel, la Grande Israele, fissata negli psico-codici millenaristici degli eurocaucasici invasori sionisti fin dalla prima idea di un “focolare ebraico”. Focolare basato sull’appropriazione di leggende altrui, oltrechè su sensi di colpa sapientemente seminati tra chi da essi doveva trarre indulgenza, se non consenso, se non complicità. Focolare che soddisfaceva anche il bisogno di rivalsa di un colonialismo anglosassone che stava andando in pezzi.
Si obietterà che Trump ha appena ululato minacce contro i Gazawi, avvertendo che tutti quei 2,3 milioni dovranno togliersi dai piedi, salvo voler ricevere in testa le superbombe USA da 900kg che Biden aveva sospeso. E questo, secondo gli astuti, non può non significare che Gaza rimane al centro dell’attenzione della coppia di fulminati israelo-statunitensi. Sarà.
Intanto la forza con la quale questo milione virgola tre spinge i suoi piedi nudi, a rischio di fucilate, verso le macerie delle proprie case pur di restare attaccato alla sua terra, pare apparire difficile uno spostamento spontaneo in Giordania ed Egitto. Poco meno difficile sembrerebbe anche un’uscita a forza di quelle bombe che non ci sono riuscite in 15 mesi di apocalisse. Molto più difficile, invece, lo rende il rifiuto, tra l’incredulo e l’indignato, della pur quieta Giordania e del molto meno quieto e piuttosto bene armato Egitto, alla cui buona disposizione verso Washington Trump dovrebbe tenere, tanto più che in quel campo di gioco si trova a competere anche con la Russia.
Restiamo dunque in Cisgiordania, terra di campi generosi, ulivi, acque, ortofrutta, dolce clima, 828 presidi militari dell’IDF e…. 800.000 coloni già insediati. Presenza muscolare, priva di scrupoli e ubbie umanitariste, ben accasata, ben armata, ben guidata, ben rappresentata nelle istituzioni, ben determinata, non meno di coloro che ne hanno perseguitato gli antenati. Giovani convinti di dover rovesciare un passato inventato su un presente di loro esclusiva gestione, impediti dal fanatismo etno-imperialista a volgersi in fuga verso le vere patrie d’origine, fuga, invece, che la crisi economico-morale senza uguali inflitta a Israele da Hamas suggerisce agli intrusi di più antica occupazione (700.000 “remigrati” dal 7 ottobre della riemersione della Palestina).
Il ministro delle Finanze, Bezalel Mostrich, capo ideologico e fattivo degli insediati nelle roccaforti erette sui resti di villaggi palestinesi bruciati a partire dal 1947 che da quelle alture della Palestina cisgiordana hanno iniziato a scendere per bruciare, devastare, uccidere, sradicare, ha dichiarato Giudea e Samaria terre da “annettere”. L’ambasciatrice USA all’ONU, nominata da Trump, ha sentenziato: “Israele ha il diritto biblico all’intera Cisgiordania”. E’ solo fisiologico che attraverso di essa si congiunga con i nuovi territori, oltre-Golan occupati in Siria, come con quelli del Libano fino al prezioso fiume Litani. E’ la fascia da cui, a termini dell’accordo di tregua, l’IDF avrebbe dovuto ritirarsi fin dal 27 novembre e da cui, invece, continua a togliere di mezzo i titolari, sparandogli.
Si dice che sia stato Trump a invogliare Netaniahu a preferire a un genocidio non completato a Gaza, un altro da realizzare nel territorio cisgiordano, ritenuto più malleabile e redditizio e con una giustificazione storica altrettanto fasulla, ma meno contestata in armi. Genocidio da perpetuare alla stessa gente, ma da un’altra parte, anche perché strisciante da tempo, con meno Hamas e opportunamente preparato alla bisogna dall’intervento degli amici collaborazionisti di Abu Mazen e della cricca ANP, mediante una mesata di incursioni devastatrici e letali in quelli che si ritengono i covi della Resistenza: Jenin, Nablus, Tulkarem, Hebron.
Dichiara Daniel Luria, direttore di Ateret Cohanim, associazione di coloni ortodossi e con i denti a sciabola: “Noi operiamo affinchè in tutta Israele, comprese Gaza e tutta la Giudea e Samaria, non debbano più esserci arab,i perché queste terre appartengono da sempre agli ebrei”.
Per quanto la rivendicazione di Luria abbia più o meno lo stesso valore giuridico-storico di uno Zaja che rivendica la Repubblica Veneta, o, meglio, di un nostro concittadino che volesse installare i confini del paese sul Vallo di Adriano (sul quale, perlomeno, i suoi antenati sostavano), il dato che conta è l’incoraggiamento dato al mattocchio ortodosso dagli amici e, soprattutto, dai soci di Trump. E qui la faccenda si fa più seria, perchè un conto sono gli eserciti conquistatori che, come dimostrano i Taliban in Afghanistan, Hamas a Gaza, i Vietcong, gli algerini, i cubani, e un altro è il capitalismo delle predazioni chiamate sviluppo.
In Vietnam i marines non ci sono più da tempo, ma fin da quanto, pochi anni dopo, vi ho visto i vietnamiti ricucirsi nel corpo e nei campi, le ferite da napalm o da agente Orange (diossina), vi ho anche visto, a Hanoi, i contadini cacciati dalle loro terre per farvi costruire “resort” e sedi e campi da golf per le multinazionali USA e i relativi manager. Che oggi si fumano i loro sigari seduti in riva al Mekong, all’ombra delle nuove Trump Tower di Saigon (già Ho Ci Minh City).
Jared Kushner, ebreo di caratura israelista al 100% e per niente incidentalmente genero di Donald Trump, è una specie di martello pneumatico utilizzato dalla società israelo-americana Phoenix Financial Ltd per perforare il territorio palestinese occupato che, secondo gli azionisti, di cui Jared è il capofila, con la garanzia del già menzionato Smotrich & Co., dovrà essere la prossima propaggine della Grande Israele. La Phoenix Financial Ltd essendo, accanto a quello armato di Abu Mazen e Netaniahu, il braccio civile della sionizzazione di una Cisgiordania rimodulazione in corso.
La congiunzione Kushner–imprese e banche israeliane brilla da molti anni nel firmamento del sionismo. Il genero, fattosi rivelare dal suocero come sarebbe andata a finire in vacca la normalizzazione di Gaza, ha intravvisto nella Phoenix Financial lo strumento per avvalersi delle opportunità offerte da una Cisgiordania capace di offrire ben altri risultati e provvigioni. Pochi mesi fa, quando a Gaza già buttava male e ormai si trattava solo di blaterare di immaginifici “resort”, il giovanotto correligionario è entrato in Phoenix col 4,95% per poi salire al 10%. Un attimo prima della tregua a Gaza, tombale dal punto di vista della riuscita della sottomissione, Tel Aviv ha dato l’autorizzazione.
In partita ci sono anche, a dirci che l’Accordo di Abramo parrebbe sospeso ma scorre sott’acqua, l’Arabia Saudita, il Qatar della Fratellanza e gli Emirati. Sostengono con 2 miliardi dollari – per ora - il fondo di private equity (investimenti di medio o lungo termine in imprese non quotate) con cui Kushner va operando da quelle parti.
La Phoenix Financial degli oligarchi israeliani e della famiglia Trump possiede un illegale megacentro commerciale a Gerusalemme Est (che, per Oslo, doveva restare palestinese), coltiva vasti investimenti nelle colonie altrettanto fuorilegge di Beitar Illit e Oranit e copre di pale eoliche il Golan occupato, ha acquisito terreni palestinesi sui quali si è installato l’IDF e costruisce collegamenti e infrastrutture che collegano gli insediamenti e bloccano i centri abitati arabi.
Se alla vista della selva di vessilli a stelle e strisce e stella di David che offuscano l’orizzonte della Cisgiordania a qualcuno rimanesse qualche dubbio sulla confluenza di amorosi e coloniali sensi tra Netaniahu e Trump e rispettivi famigli, soci e succubi, si ricordi della velocizzazione dell’espansione degli insediamenti già sotto il primo mandato di Trump. Già allora Kushner funzionava da riferimento della politica USA nella regione. Ma forse quando Netaniahu ha deciso improvvidamente di rispondere al 7 ottobre, dove la Palestina si è ripresentata in vita, svuotando Israele della sua energia, sicurezza e forza da combattimento, Jared Kushner si era un po’ distratto. Col suocero presidente è tornato sveglissimo.
E Biden, Harris e tutto il cucuzzaio dell’establishment dem occidentale che negli ultimi anni ha perseguito gli stessi obiettivi, se ne farà, pur miagolando, una ragione.
Ci resta un’opzione: prima che a Jenin facciano una Trump Tower, Hamas batti un colpo!