"Uccidi la belva palestinese": breve cronistoria di una (censurata) de-umanizzazione

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"Uccidi la belva palestinese": breve cronistoria di una (censurata) de-umanizzazione

 

Torniamo al 7 ottobre dello scorso anno. Parto dalla testimonianza, proprio di quei giorni, resa da Omar al Middle East Eye che riporta la gioia, la felicità di un intero popolo che, dopo anni di assedio e prigionia senza colpa compie un atto di libertà, riconquista il diritto all'autodeterminazione, e ri-calpesta la propria terra. È un racconto che mostra con franchezza estrema, senza mediazioni, e riassumendo in poche parole, la piena umanità di un popolo. Ed è proprio questa riconquista, questa prorompente e visibile umanità emersa in un inatteso atto di ribellione che più delle debacle militari atterrisce il “padrone”, il “dominatore coloniale” nel caso specifico Israele. Un'umanità che non è il frutto di una concessione, della riapertura dei flussi di acqua, cibo o corrente elettrica ma un atto di libertà imposto a chi da 70 anni impone impunemente.

Mi è subito venuto in mente J. Conrad che noi conosciamo come l'autore di “Cuore di tenebra” perché proprio sul tema della sorprendente umanità si è espresso in quel romanzo. Cito: “Noi siamo abituati a vedere la forma incatenata di un mostro soggiogato, ma lì, lì si vedeva il mostro in libertà. Non era terreno e gli uomini erano... No, non erano inumani. Ecco, sapete, era questa la cosa peggiore: il sospetto che non fossero inumani […]. Quello che faceva rabbrividire era proprio il pensiero della loro umanità, simile alla nostra, il pensiero di una nostra lontana parentela con quella violenza selvaggia e appassionata”. Conrad scriveva a un pubblico abituato a vedere nel nero africano tutta la belluinità e bestialità possibili. Ma tocca il problema: quello del rischio di riconoscere ai palestinesi la stessa umanità dei berlinesi che nel 1989 fecero le prime brecce nel muro di Berlino.

Una riaffermazione di umanità che non può che allarmare chi, invece, ha lavorato per una piena de-umanizzazione fisica e ideologica del popolo palestinese. Basta questo per comprendere le parole del ministro della Difesa israeliano Yoav Galant: “siamo in guerra contro animali che hanno forma umana. Attueremo un blocco totale senza elettricità, cibo, acqua o altro”. Chiaro no? Come se dicesse: vi siete mostrati umani con quelle scene di gioia e libertà riconquista, avete abbattuto un muro che vi confinava, ebbene è il momento di farvi ritornare nella condizione di bestie. Il racconto di una bestialità che si era alimentato con la notizia della strage di bambini – decapitati – nell'insediamento coloniale israeliano di Kfar Aza. Notizia poi non confermata, ma poco conta ormai, come poco conta il fatto che la fonte di questo macabro quadro pare essere Ben Zion, leader dei coloni e vice comandante dell'Unità 71 dell'esercito israeliano. Una fonte di certo credibile, di cristallina umanità, visto che in quei ormai lontani giorni aveva dichiarato in una intervista: “Sappiamo che sono animali, ma ora abbiamo scoperto che non hanno un cuore”. Insomma, con i palestinesi siamo giunti ai gradi infimi della scala zoologica. Meno che animali!

Fosse l'unico a pensarla in questo modo! Facciamo una breve antologia:

2014, l'allora vicepresidente del parlamento israeliano (Knesset) del partito Likud di Netanyahu, Moshe Feiglin dichiara: “I nostri soldati sono gli unici innocenti a Gaza. In nessun caso dovrebbero essere uccisi a causa di una falsa moralità per la quale si preferisce proteggere i civili nemici. Un capello sulla testa di un soldato israeliano è più prezioso dell'intera popolazione di Gaza, che ha eletto Hamas e sostiene e incoraggia chiunque uccida gli israeliani”.

Nello stesso anno si pronuncia anche l'attuale primo ministro Netanyahu: “Cosa c'è di così orribile nel comprendere che l'intero popolo palestinese è il nemico? Sono tutti combattenti nemici e il loro sangue ricadrà su tutte le loro teste. Ora questo include anche le madri dei martiri, che li mandano all'inferno con fiori e baci. Dovrebbero seguire i loro figli, niente sarebbe più giusto. Dovrebbero andarsene, così come le case fisiche in cui hanno allevato i serpenti. Altrimenti lì verranno allevati altri serpenti”. Come serpenti che, purtroppo, hanno anche la tendenza a riprodursi e nutrirsi.

Siamo nel 2013 quando l'appena insediato vice-ministro alla difesa di Tel Aviv con il compito di supervisionare l'autorizzazione dei permessi di viaggio e di ingresso per i palestinesi in Cisgiordania e a Gaza, tiene a ribadire che  – cito il Times of Israel – secondo lui i palestinesi “sono come animali, non sono umani. Non sono educati alla pace e neppure a volere la pace”. Semplicemente sottolineava che il suo compito specifico era quello di aprire e chiudere il recenti degli animali rinchiusi in fattoria. E per quanto riguarda la pace? Ebbene, agli incapaci persino di pensarla deve essere imposta. 

Non ci bastano queste citazioni? Eccone all'ora un'altra: siamo nel 2002 e il capo di stato maggiore israeliano Moshe Yaalon ha il merito di rendere chirurgicamente chiara la questione: “La minaccia palestinese nasconde caratteristiche simili al cancro che devono essere recise. Esistono diversi tipi di soluzioni al cancro. Alcuni dicono che sia necessario amputare gli organi, ma al momento sto applicando la chemioterapia”. Come a dire: per colpire Hamas dobbiamo anche colpire tutto quello che gli sta intorno, anche se “sano”.

Nulla di nuovo sia chiaro: emerge qui tutto il plurisecolare bagaglio dell'ideologia sterminatrice e segregazionista del colonialismo occidentale. Basti pensare a come i coloni inglesi del Nord America agivano alla minima provocazione dei nativi/indigeni, con lo sterminio e la bestificazione. Cito Robert Gray colono e scrittore della Virginia di inizio 700: “Bruciammo e saccheggiammo. Sono bestie selvagge e creature irragionevoli, o selvaggi brutali che, a causa della loro empia ignoranza e della blasfema idolatria, sono peggio di quelle bestie di natura ancor più selvaggia e ribelle. Sono incredibilmente rozzi, adorano il diavolo e gli offrono i bambini in sacrificio, vagano in lungo e in largo come bestie, e in quanto a maniere e condizioni di vita, si distinguono poco dalle bestie”.

Diego Bertozzi

Diego Bertozzi

Laureato in Scienze Politiche all'Università degli Studi di Milano e in Filosofia e Scienze filosofiche all'Università degli Studi di Verona, si occupa da tempo di storia del movimento operaio e di Cina. Ha pubblicato per Diarkos  "La nuova via della seta. Il mondo che cambia e il ruolo dell'Italia nella Belt and Road Initiative" (2019)
 
 
 

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