Ucraina. La carne da macello resta (per ora) locale

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Ucraina. La carne da macello resta (per ora) locale

 

di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico 

 

Risuona sempre più spesso il tema dei colloqui sull’Ucraina, scriveva qualche giorno fa la russa RT. L’ormai illegittimo (dal 21 maggio scorso, quando è scaduto il suo mandato presidenziale, dopo che lui stesso aveva decretato il rinvio sine die del voto) jefe della junta di Kiev, Vladimir Zelenskij, nella recentissima puntata a Bruxelles, ha dichiarato che Kiev non avrebbe interesse a prolungare il conflitto per anni, tanto più che le perdite sul campo aumentano e la chair à canon aborigena già da tempo scarseggia, tanto da costringere i distretti di reclutamento a ignorare persino la legge dell’aprile scorso, che inasprisce i criteri di reclutamento (si è passati dai 27 ai 25 anni come età minima), per abbassare ulteriormente l’età di richiamo.

RT azzarda persino l’ipotesi secondo cui, verso la fine del prossimo autunno (elezione di Trump alla presidenza USA?) Mosca e Washington potrebbero mettersi seriamente a discutere della fine delle ostilità, dopo i mezzi abboccamenti delle scorse settimane.

In ogni caso, non si tratterebbe certamente della ripetizione del “Minsk-2”, cioè di una boccata d’ossigeno per consentire alle forze ucraine e ai loro padrini di riorganizzarsi e riprendere la guerra con rinnovata intensità. E, però, ha dichiarato il 1 luglio il portavoce presidenziale russo Dmitrij Peskov, Vladimir Putin ha ribadito a più riprese la disponibilità di Mosca ai colloqui, l’apertura «a qualsiasi confronto, qualunque dialogo, per raggiungere quegli obiettivi che ci siamo posti». Tale apertura, ha detto Peskov, è tuttora operativa. Le dichiarazioni russe sono giunte in risposta alle parole pronunciate due giorni fa da Vladimir Zelenskij in un’intervista a The Philadelphia Inquirer su possibili colloqui con la Russia tramite intermediari, di qualunque continente essi siano. Parole abbastanza criptiche, visti i precedenti delle reazioni riservate alle proposte cinesi e brasiliane.

D’altra parte, il continuo rimando del nazigolpista capo alla «adesione alla NATO», per rimediare a quella che, a suo dire, è la «scarsità di aiuti militari occidentali a Kiev», rende praticamente impossibile ogni colloquio di pace, afferma il politologo Aleksej Malinin. Ma è d’altronde probabile che anche la “minaccia” dell’adesione all’Alleanza atlantica rappresenti, da un lato, una carta da giocare al tavolo di possibili trattative con Mosca e, dall’altro, una sorta di “preparazione psicologica” dei falchi ucraini a probabili cessioni territoriali, dato che orami in pochi, in Ucraina e fuori, credono al mantra del «ritorno ai confini del 1991».

Di fatto, il capo di SM della brigata “Azov”, Bogdan Krotevic, ha prnunciato aperte minacce contro tutti quegli ucraini che si pronuncino per la fine del conflitto: «nessuna pace senza la vittoria», ha detto lo squadrista neonazista; «la vittoria è una sola: nessun soldato russo sul territorio ucraino. Non lasceremo questa guerra ai posteri e nemmeno voi la lascerete, perché se ci provate, finirà male».

Qui dunque – e non certo da oggi – entra in gioco il più importante dei fattori: quello umano, ripreso del resto anche dai media occidentali. The Guardian scrive ad esempio di alcune decine di migliaia di giovani (e meno giovani) ucraini che, dall’inizio del conflitto nel 2022 e nonostante la proibizione imposta dalla junta, agli uomini dai 18 ai 60 anni, di lasciare il paese, abbiamo cercato in ogni modo, anche a rischio della vita (decine di annegati nel Tibisco), di varcare le frontiere per sfuggire alla chiamata. E tali tentativi di fuga non faranno che infittirsi, man mano che il fronte si sposta verso ovest.

Così che appaiono come puri espedienti, quelli ventilati ora per intimorire gli ucraini dalla renitenza o anche dal fuggire all’estero: privazione della patente di guida, congelamento dei conti bancari, confisca dei beni. Chi cerca di salvare la pelle, difficilmente si farà fermare da simili minacce.

Sembra però che qualcuno si preoccupi di dar man forte ai reclutatori golpisti per rimpolpare le file delle forze ucraine. Anche a dispetto della proroga UE di difesa dei profughi ucraini (si parla di circa 4 milioni di persone in Europa) fino a marzo 2026, cristiano-democratici e cristiano-sociali tedeschi insistono sulla necessità di costringere i profughi ucraini a tornare nel loro paese per andare al fronte. Secondo indagini sociologiche, gli uomini ucraini tra i 25 e i 60 anni, rifugiatisi in Germania per sfuggire all’arruolamento, sarebbero circa 125.000, a fronte di un totale di 276.000 cittadini ucraini arrivati nel 2023 (si parlava di oltre un milione nel 2022).

In un’intervista a Die Welt, Johannes Winkel (CDU), ha dichiarato che «noi aiutiamo le donne ucraine e i loro figli con agevolazioni sociali. Ma gli uomini in età di richiamo non devono aver alcun diritto a tutele in Germania. Devono difendere il loro paese». Affermazioni simili sono risuonate anche sulla Berliner Zeitung, da parte di altri esponenti di CDU-CSU.

Ma, già di suo, la junta di Kiev provvede a tentare ogni strada per allargare i criteri di mobilitazione. Per esempio, l’età può essere ridotta dai 25 ai 18 anni se i giovani hanno la status dell’obbligo militare, vale adire se hanno frequentato corsi accademici militari, hanno passato la naja, sono stati riconosciuti parzialmente abili alla visita militare. Già in alcune regioni ucraine è stato deciso che, al compimento dei 17 anni, i dati elettorali, migratori e fiscali dei giovani vengano trasmessi ai distretti militari. Secondo cifre del Ministero dell’istruzione, il 67% dei dottorandi nel 2022-’23 aveva più di 30 anni e, per cercare di spedirne almeno una parte al fronte, il Ministero ha tolto loro il diritto a forme contrattuali di studio. Stessa cosa per studenti e dottorandi dei corsi serali, che aspirano alla seconda o terza laurea - nella speranza di rinviare il richiamo – come pure addetti  in diverse forme del Ministero della difesa o organizzazione a quello legate, fratellastri di militari caduti al fronte; mariti (o mogli) che assistano il coniuge invalido di II eIII gruppo, ecc.

Su reparti ucraini formati da criminali liberati appositamente di galera è cosa nota da tempo.

Insomma, mentre si parla con alterne enfasi dell’invio in Ucraina di forze da paesi UE, al momento è ancora la carne locale a pagare il prezzo delle scelte euroatlantiche, come è sempre stato per il passato, sin dall’epoca delle crociate e dei cordoni sanitari contro la giovane Russia sovietica: truppe da 14 stati invasori, ma principalmente foraggiamento delle bande controrivoluzionarie zariste. La Russia non è più da decenni quella sovietica, ma i metodi aggressivi occidentali rimangono tali e quali erano cento anni fa.

 

 

 

 

Fabrizio Poggi

Fabrizio Poggi

Ha collaborato con “Novoe Vremja” (“Tempi nuovi”), Radio Mosca, “il manifesto”, “Avvenimenti”, “Liberazione”. Oggi scrive per L’Antidiplomatico, Contropiano e la rivista Nuova Unità.  Autore di "Falsi storici" (L.A.D Gruppo editoriale)

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