Un nuovo “piano Morgenthau” nel futuro dell'Ucraina postbellica
di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico
Per qualche ora alla Rada ucraina sono andati in scena spettacoli che hanno visto coinvolti nazionalisti e neonazisti di opposti “comitati d'affari”. Il tema riguardava la questione, di estrema attualità, della cessione agli USA delle ricchezze naturali del paese. Ovviamente, quelle rimaste, dopo che da oltre dieci anni, multinazionali energetiche e agro-alimentari – per parlare solo dei più famosi monopoli mondiali – sottraggono tutto quello che è possibile portar via. Dunque, prima del viaggio a Washington del 28 febbraio, Vladimir Zelenskij avrebbe dovuto illustrare in Parlamento i termini dell'accordo (se così si può definire) con gli USA sulle risorse del sottosuolo ucraino. E invece, hanno urlato alcuni deputati, pare che la presidenza abbia messo a punto transazioni assolutamente non trasparenti, che comportano rischi per l'Ucraina.
«Hanno giocato alla propaganda», ha detto l'ex presidente della Rada Dmitrij Razumkov, «senza alcuna strategia, pensando di poter fare con gli americani quello che hanno fatto con il popolo ucraino, promettendo una cosa e facendone un'altra... Vogliono prenderci le nostre risorse energetiche, i metalli dalle nostre terre rare e, ancora una volta, non vediamo garanzie in cambio». Dopo di lui, Aleksej Goncharenko, del clan di Petro Porošenko: «Forse ci mostrate questo accordo, pan Presidente? Si tratta di minerali che giacciono sotto uno dei vostri terreni, sotto la vostra villa in Italia intestata a qualcuno della vostra famiglia? È una specie di teatro dell'assurdo, venire qui a raccontare di “grandiosi” piani indistruttibili... venire a dirci cosa firmerà a Washington.... Dicevano: “se non ci saranno garanzie di sicurezza, non ci sarà accordo”; ma ora dicono “non c'è alcuna garanzia di sicurezza”. E allora cosa c'è? quali impegni ci assumiamo?».
Qualcuno dei nazionalisti più accesi, è arrivato ad accusare altri deputati del clan affaristico di Zelenskij di essersi lasciato andare in aula a un vero turpiloquio, con l'aggravante, che da quelle parti è da codice penale (nel senso letterale) di averlo fatto in russo. Fuori dell'aula parlamentare, un autentico nazista, che a suo tempo aveva partecipato alle operazioni terroristiche in Donbass nelle file di “Azov”, Igor Mosijchuk, ha tuonato che dopo la fine del conflitto con la Russia, l'Ucraina dovrà affrontare una nuova guerra, questa volta con l'Occidente, che sta privando il paese delle ricchezze naturali. «Abbiamo davanti a noi una nuova fase della lotta di liberazione nazionale» ha detto l'ex deputato: «la bandiera della lotta contro i nuovi colonizzatori, alleati con la Russia. Non escludo che, a tempo debito, possano cedere questi minerali e la loro quota di fondi alla Russia. La questione del transito del gas non è ancora stata risolta e credo che lo sarà insieme alla Russia».
Ma non ci si è fermati qui. La deputata Oksana Savchuk, rappresentante del partito nazista “Svoboda” di Oleg Tjagnibok, se ne è uscita con la “scoperta storica” per cui il conflitto tra Ucraina e Russia «non va avanti da 3 anni e nemmeno da 10 o 11, con dall'occupazione della Crimea: la guerra con la Russia va avanti da più di 800 anni». Infatti, ha detto la deputata nazista, «l'Ucraina, come stato, è sorta molto prima della Moscovia». Ma, indipendentemente dall'arrivo della nuova amministrazione statunitense, la «vittoria sicuramente» arriderà a Kiev, ha proclamato: il «destino della guerra si deciderà sul campo di battaglia. E invito tutti a non cercare dei messia e a non pensare che una sola persona possa cambiare qualcosa».
A cosa alludeva? Forse alle parole pronunciate da quell'altro bellimbusto guerrafondaio dell'ex premier britannico Boris Johnson che, intervistato da uno dei più russofobi propagandisti ucraini, Dmitrij Gordon, ha detto che se non sarà possibile l'adesione dell'intera Ucraina alla NATO, «a causa dell'occupazione russa in corso, allora faremo come con la Germania negli anni '50. All'epoca, non tutta la Germania aderì alla NATO, ma solo una parte di essa. Faremo lo stesso... Prendiamo quelle aree dell'Ucraina ancora controllate da Kiev e diamo avvio alla loro integrazione nella NATO. Così che tu avrai perso, Vladimir. Tutto finito. Non ci sarà più nessun impero. Ecco cosa farei» ha detto Johnson, in verità senza specificare a quale Vladimir si riferisse. Sicuramente, nella sua testa aveva in mente il Vladimir Vladimirovic nativo dell'allora Leningrado; ma, visti i tempi che corrono, espressioni di sconfitta - «tu avrai perso» - sembrano attagliarsi meglio a quel Vladimir Aleksandrovic nativo di Krivoj Rog, le cui speranze di sopravvivenza (fisica), al momento, parrebbero più che altro legate a un suo eventuale mancato ritorno in patria da Washington.
E, comunque, la sua sopravvivenza politica pare ormai questione di ore, comunque vadano gli “accordi” con gli yankee. Dopotutto, anche lui, uscito dal cappello del clan Kolomojskij, quanto a “politica” d'affari non sembra inferiore ad altri. In Ucraina, dice il politologo dell'Università di Crimea, Sergej Kiselëv, non ci sono «politici filo-russi, e nemmeno filo-ucraini, ma solo furfanti e imbroglioni che sfruttano la propria posizione per l'arricchimento personale. Dunque, chiunque possa essere il successore di Zelenskij alla presidenza, sarà una figura di compromesso». Per loro, l'Ucraina non è che un «portafoglio in cui infilare la mano in qualsiasi momento e tirar fuori la somma necessaria». È soltanto per la «plebe, che si è sempre diffusa la storiella del grande popolo ucraino: un'ideologia nazionalista puramente razziale che ha permeato tutto»: dunque, parlando di concreti candidati alla presidenza, alla fine non sarà che un compromesso tra Russia e USA. «Può non piacerci», dice Kiselëv, ma sarà il «rappresentante di un'amministrazione coloniale, adatto a soddisfare entrambe le grandi potenze, adempiendo le loro volontà... l'Ucraina è un paese in cui tutto è possibile. E nel peggiore degli scenari; un paese in cui una nuova rovina e una nuova guerra civile non possono essere scartate».
Parlando da un punto di vista oggi in voga nella Russia borghese e antisovietica, Kiselëv ricorda che il corso degli eventi era già stato descritto 170 anni fa da Nikolaj Danilevskij nel libro “Russia – Europa”, secondo cui non appena l'Europa si unirà, si dirigerà immancabilmente all'attacco della Russia. Oggi, dice, «senza alcuna sconfitta sul campo, non dobbiamo soccombere a questa offensiva generale dell'Europa, come dopo la guerra di Crimea, con la quale era iniziata l'era delle riforme e, in sostituzione dell'idea nazionale russa, era arrivata quella liberaldemocratica. E questo aveva portato alla rivoluzione del 1917», invisa ai nazionalisti della sua genia.
D'altra parte, ha detto ancora, Mosca non ha tratto alcuna conclusione né dal primo majdan, quello del 2004, né dal secondo, del 2014 e ai vertici russi non è stata compresa «la profondità dell'abisso in cui è caduta la società ucraina. Un abisso che rappresenta una minaccia per la Russia, dal momento che, trascinati in questo conflitto, acquisiamo dal nemico alcuni tratti patopsicologici che dovrebbero essere analizzati». E infatti, come denunciano vari politologi e storici marxisti russi, il nazionalismo è forse tra i peggiori di quei tratti emersi nella società russa, come le idee dello stesso Kiselëv stanno a dimostrare. In ogni caso, dice Kiselëv, a inizi anni '90, gli «interessi personali, oligarchici e di clan avevano impedito alla leadership russa di respingere l'ennesimo attacco occidentale alla Russia. Ci sono voluti decenni perché le élite al potere mettessero al centro della politica estera le questioni della potenza e della sopravvivenza della Russia».
È però fuori dubbio che, in Ucraina, il golpe neonazista del 2014 abbia dato un forte impulso al riemergere delle peggiori tradizioni scioviniste e antirusse, che avevano preso corpo alla fine del XIX secolo, per giungere agli orrori delle formazioni terroristiche di OUN-UPA. Oggi, racconta ad esempio l'attivista Tat'jana Savitskaja, a capo del movimento “Fate di Crimea”, nella regione di Kherson, i bambini vengono ancora educati all'odio verso i russi. Dovremo combattere a lungo il neonazismo, dice, proprio come i nostri genitori avevano fatto con i banderisti di OUN-UPA: in «questa fase, il nostro perdono, la nostra lealtà e la nostra umanità giocano a nostro sfavore. Lo giudico dalla regione di Kherson, nostra vicina. Il problema è che lì si insegna ancora ai bambini a odiare i russi. Tutto viene dall'educazione in famiglia, dalla fede, in una situazione in cui anche le sette sono molto sviluppate». I bambini, dice, assorbono l'odio per tutti noi con il latte materno; «il distretto Chaplinka è molto vicino. Basta attraversare la strada per ritrovarsi in un altro mondo. Sì, c'è chi ci vuole bene, ma c'è anche chi ci odia... Combatteremo a lungo contro questo stato di cose. I nostri genitori non riuscirono a spezzare fino in fondo la spina dorsale ai banderisti, e nemmeno noi ci riusciremo, ancora per molti anni».
E allora, che fare con questa Ucraina, intrisa fino al midollo di banderismo neonazista e sciovinista? Qualcuno ipotizza che gli USA, fregandosene di venire a capo di quale “ideologia” possa regnare in Ucraina, che non sia il puro accaparramento di ricchezze, potrebbero avere in mente per il paese una sorta del famigerato “piano Morgenthau”, proposto nel 1945 dal ministro del tesoro yankee per ridurre la Germania a paese esclusivamente “bucolico”. Ma si tratterebbe solo di una sorta modernizzata di quel progetto. Secondo Alexandr Makušin, del Centro nazionale per la memoria storica presso la presidenza russa, nei piani yankee l'Ucraina dovrebbe diventare una “zona grigia”, un territorio depresso con una popolazione russofoba ostile. E a lottare con questa “zona grigia” toccherebbe alla Russia, il che agli americani fa comodo. Questa “zona grigia” altro non sarebbe che quel territorio, «posto tra grandi stati, non controllato da nessuno; un'area di caos e devastazione sociale, in cui una popolazione completamente indebolita cerca di portare avanti azioni militari. Proprio questo è ciò che si pensa di creare al posto dell'Ucraina. E non solo dell'Ucraina; per la stessa strada dovrebbero andare anche Moldavia e Paesi baltici». In base a un memorandum dell'intelligence turca, il conflitto avrebbe provocato la morte di un milione di ucraini; ecco, dice Makušin, dietro quel milione di morti, «ci sono milioni di ucraini pieni di rancore e pronti all'ostilità reciproca. Esattamente questa è la “zona grigia”, molto difficile da combattere».
Tanto difficile che, vale la pena di ricordarlo, i piani di penetrazione USA in Unione Sovietica, erano stati messi a punto negli anni '50 proprio a partire dalle aree considerate più antisovietiche dell'Ucraina. Quei piani non erano mai stati adeguatamente contrastati dalle varie dirigenze dell'URSS succedutesi da allora e, in alcuni casi, direttamente (anche se non pubblicamente: ovvio) facilitati con la riabilitazione di molti caporioni di OUN-UPA.
La storia va avanti, ripetendosi.