Un terzo mandato per Donald Trump?

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Un terzo mandato per Donald Trump?

 

Di Paolo Arigotti

 

Il 20 gennaio 2025 Donald Trump è tornato alla Casa Bianca, dopo il primo mandato del quadriennio 2017 – 2021. Non è la prima volta che un Presidente rientra nella prestigiosa residenza di Pennsylvania Avenue: nel 1893 (e fino al 1897) Grover Cleveland, già in carica dal 1885 al 1889, si insediò per un secondo mandato non consecutivo; per curiosità, Cleveland era democratico, quindi a Trump spetta per lo meno il primato in quanto esponente del partito repubblicano.

Va detto che fino al 1951 – quando venne approvato il ventiduesimo emendamento alla Costituzione federale – non era previsto il tetto dei due mandati (anche non consecutivi) presidenziali: fino a quel momento, quella di non concorrere per un terzo incarico era semplicemente frutto di una prassi, invalsa dai tempi di George Washington, e infranta durante la presidenza di Franklin Delano Roosevelt, eletto per quattro volte e rimasto in carica per circa dodici anni e 4.422 giorni (tra il 1933 e il 1945), per quanto non riuscisse a completare l’ultimo, morendo 82 giorni dopo il suo insediamento. Il suo primato resta ineguagliato, anche perché, come dicevamo, nel 1951 entrò in vigore la modifica costituzionale che impone il tetto dei due mandati (anche non consecutivi), nell’ottica del principio del bilanciamento dei poteri, che rappresenta uno dei pilastri dell’ordinamento della federazione a stelle e strisce.

Stando così le cose, una candidatura di Trump per le elezioni del 2028 è fuori discussione, anche senza tener conto del dato anagrafico (il tycoon compirebbe 82 anni a giugno del ‘28), il che non ha impedito che si inseguissero alcune voci al riguardo, anche senza prendere in esame le consuete “sparate” fatta da Trump in campagna elettorale, come quando – a luglio scorso – dichiarò, in occasione di un comizio elettorale, che se lui avesse vinto non si sarebbe più dovuto votare; a ben vedere, la frase letta nel contesto in cui venne pronunciata, era soltanto una sorta di elogio circa gli esiti del suo secondo mandato.

Iniziamo col dire che non sarebbero pochi gli ostacoli da superare per una permanenza di altri quattro anni alla Casa Bianca.

Il primo deriverebbe dal complesso procedimento di revisione costituzionale, necessario per operare una modifica (per meglio dire, un’abrogazione) del ventiduesimo emendamento. L’articolo V della Carta fondamentale richiede un’ampia maggioranza, pari ai due terzi dei due rami del Congresso, unitamente alla ratifica di un numero elevato di stati. I repubblicani, che pure avranno la maggioranza nelle due Camere, non dispongono di tali numeri (e lo stesso dicasi per i singoli stati), anche ipotizzando, il che non è affatto scontato, che tutti gli esponenti del «Grand Old Party» votassero a favore. Lo stesso discorso potrebbe farsi qualora fosse convocata una Convenzione, anch’essa prevista dall’articolo quinto della Costituzione, nella quale la maggioranza richiesta sarebbe molto elevata (38 stati su 50).

A conti fatti, la possibilità di un terzo mandato andrebbe esclusa, non foss’altro perché, ammesso e non concesso che passasse una riforma del genere – la questione è oggetto di ampio dibattito da tempo – l’imprescindibile voto favorevole delle minoranze sarebbe di sicuro subordinato alla non irretroattività della norma.

Un altro scenario che è circolato, in teoria non escluso dal dettato costituzionale, vedrebbe Donald Trump candidarsi nel 2028 come vicepresidente, il che gli riaprirebbe le porte della Casa Bianca in caso di dimissioni del capo dello Stato in carica. Un’ipotesi che però Michael McConnell, docente di diritto costituzionale presso l’Università di Stanford, si sentirebbe di escludere.

In realtà, se Trump volesse restare “sulla cresta dell’onda” anche dopo la conclusione del suo secondo mandato, ci sarebbe un altro scenario, assai più verosimile, che passerebbe per la conservazione della leadership del suo partito e della (eventuale) maggioranza, con un presidente a lui “vicino”. Se il primo pensiero, in uno scenario del genere, andrebbe al suo vice, J.D. Vance, risulta impossibile fare previsioni certe.

Ora come ora, dovremo “accontentarci” di valutare le prime mosse della nuova Amministrazione, delle quali – probabilmente – abbiamo avuto un’anticipazione su alcuni temi caldi (Ucraina e Medio Oriente), senza mai dimenticare quello che, per amici e avversari del tycoon, è un vero e proprio mantra: l’imprevedibilità di Donald Trump.

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