Una trappola malriuscita: le condizioni di Mosca per il cessate il fuoco

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Una trappola malriuscita: le condizioni di Mosca per il cessate il fuoco




di Clara Statello per l'AntiDiplomatico

L’operazione delle Forze Armate Ucraine nel Kursk sta volgendo al termine perché i suoi obiettivi sono stati raggiunti. A meno che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, quando il 6 agosto lanciò l’offensiva sul territorio russo, non avesse in mente di decimare le proprie truppe e agevolare l’avanzata russa sul fronte del Donbass, queste sue parole di ieri suonano cinicamente tragicomiche.

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha letteralmente implorato a Putin di risparmiare la vita a migliaia di soldati ucraini “completamente circondati”.

“Sarebbe un massacro orribile, uno di quelli che non si vedeva dalla seconda guerra mondiale”, ha scritto venerdì pomeriggio in un post di Truth, lasciando intendere di aver parlato con il presidente russo.

Vladimir Putin ha risposto che se Kiev darà ordine alle sue truppe di arrendersi e deporre le armi, le loro vite ed un trattamento dignitoso saranno garantiti. È evidente che Washington e Mosca abbiano concordato la resa delle forze armate ucraine in territorio russo, come presupposto primo del cessate il fuoco.

Le trattative tra la Casa Bianca ed il Cremlino

Al consiglio di Sicurezza Putin ha riferito che la situazione nei rapporti tra Russia e Stati Uniti sta “iniziando a muoversi”. Ha anche riferito che l'amministrazione Trump sta facendo di tutto per ripristinare almeno in parte le relazioni tra Russia e Stati Unitiì. Allo stesso modo il presidente statunitense ha dichiarato che il processo di pace in Ucraina "sta procedendo bene", di essere fiducioso perché sta avendo risposte positive sia dalla Russia che dall’Ucraina. Ha fissato una data: “lunedì 17 ne sapremo di più” sul cessate il fuoco, ha promesso.

Le posizioni di Mosca e Washington sembrano concilianti, nonostante alcuni piccoli dettagli stonino con l’apparente armonia tra le parti. Ad esempio la telefonata fissata ieri tra Trump e Putin non è avvenuta, nonostante i proclami del presidente statunitense di voler parlare con il suo omologo russo al più presto possibile. Dopo il post ambiguo pubblicato su Truth, la Casa Bianca ha precisato che Trump si riferiva ai contatti attraverso Witkoff. E a proposito di quest’ultimo, l’inviato speciale di Washington ha dovuto fare dieci ore di anticamera prima di essere ricevuto Putin martedì sera.

Prima, il presidente russo ha incontrato il suo più stretto alleato, Aleksandr Lukashenko, in occasione dell’entrata in vigore del Trattato dell’Unione. Durante la conferenza stampa, Putin ha rilasciato importanti dichiarazioni in merito alla proposta di cessate il fuoco di 30 giorni, emersa al tavolo di Geddah.

Solo dopo è iniziata la riunione a porte chiuse con Witkoff, conclusa all’una e mezza di notte. La Casa Bianca non ha rilasciato alcuna nota sul contenuto dei colloqui. Tuttavia sembra che siano stati positivi, in base alle reazioni di entrambe le parti. Mosca mira ad imporre alle trattative il suo ritmo ed il suo modus operandi, utilizzando come leve la situazione sul campo e la fretta di Washington.

C’è da aspettarsi che la telefonata ufficiale tra Trump e Putin avverrà allo scopo di annunciare una data sullo stop ai combattimenti.


Le condizioni della Russia per il cessate il fuoco

Il presidente Putin ha aperto al cessate il fuoco, ma pone delle condizioni. La prima è il ritiro delle Forze Armate Ucraine dal territorio russo. E’ una richiesta realistica. Kiev potrebbe approfittarne per evitare la disfatta, riorganizzarsi e rafforzarsi, al fine di riprendere i combattimenti dopo 30 giorni.

Altre due richieste importanti sono lo stop alla mobilitazione e all’invio di armi. La prima sarebbe molto popolare tra la popolazione ucraina, la seconda invece è più irrealistica. Ammesso che Washington voglia fermare le forniture (ma giusto ieri il Pentagono ha inviato un lotto di bombe a lungo raggio GLSDB in sostituzione degli ATACMS), i Paesi europei hanno già detto che continueranno il sostegno militare anche durante il cessate il fuoco, per garantire una posizione di forza a Kiev.

Più l’Ucraina sarà trasformata in un “porcospino d’acciaio”, più la Russia proseguirà la sua offensiva militare per evitarlo. Dall’altro lato, la Casa Bianca non sfodera il bastone per imporre un cessate il fuoco a Mosca, anzi le dichiarazioni di Trump finora appaiono concilianti.

Putin pone delle questioni dirimenti: ad esempio chi dovrà garantire il silenzio su una linea di contatto di oltre 2000 chilometri? Come avverrà il controllo e la verifica e, soprattutto, come sarà risolta la situazione al fronte, ovvero: chi dovrà ritirarsi? Non certo la Russia, lascia intendere.

Tutti questi aspetti dovranno essere risolti dalle rispettive diplomazie, prima di arrivare ad un cessate il fuoco. È emblematico che Putin abbia fatto i suoi annunci pubblicamente, a fianco di Lukashenko, e non abbia comunicato queste condizioni tramite Witkoff.

Un altro segnale importante per Washington è che ieri, anziché parlare con Trump, Putin ha avuto un incontro pubblico in videoconferenza con il presidente del Venezuela Nicolas Maduro, nel quale ha annunciato che il trattato di cooperazione strategica fra i due paesi è pronto per la firma. Insomma, la Casa Bianca può attendere, Mosca ha altre priorità.


L’Europa e l’Ucraina

Il tentativo dell’Occidente di far passare come un pareggio una sconfitta strategica si sta trasformando in un’imbarazzante farsa mediatica. Il partito della guerra è letteralmente in preda ad un delirante panico. Ponendosi al di fuori dei confini della realtà, il presidente francese Emmanuel Macron e il ministro degli Esteri britannico David Lammy hanno lanciato alla Russia qualcosa che somiglia ad un ultimatum: Putin deve accettare senza condizioni il cessate il fuoco di 30 giorni. “Altrimenti ci arrabbiamo”, verrebbe da aggiungere se i due esponenti europei avessero gli stessi “muscoli” di Bud Spencer e Terence Hill, protagonisti dell’omonimo film.

I loro strepiti valgono quanto un ronzio di mosche per il Cremlino. L’unico che si scomoda a rispondere, in maniera affatto diplomatica, è l’ex presidente Medvedev. Non ripeteremo cosa ha consigliato di farci con la loro proposta di cessate il fuoco. 

Al contrario da quanto affermato da Trump, che ribadisce la sua fiducia in Mosca, Zelensky lancia l’”allerta russa”: Putin mente. Non vuole davvero il cessate il fuoco, perché sta perdendo la guerra e se smettesse di far combattere i suoi uomini non gli resterebbe più nulla. Per questa ragione sta ponendo delle “condizioni estremamente difficili e inaccettabili”.  In realtà non è così, poiché il capo del Cremlino, almeno in pubblico, non ha posto condizioni dure, mentre ci si aspettava che chiedesse il ritiro dei soldati ucraini dai territori di Kherson, Zaporozhye, Donestk e Kharkov sotto il controllo di Kiev.

Al contrario Zelensky, pone la questione della restituzione della centrale di Zaporozhye. Indebolita dalla debacle di Sudzha, l’Ucraina non ha la forza negoziale per avanzare questa richiesta. Tuttavia non è questo che dovrebbe sorprendere, quanto il fatto stesso che Zelensky chieda la pace ed il cessate il fuoco.


Il cessate il fuoco

Il risultato del tavolo di Geddah è una sconfitta totale della linea di Kiev. Per tre anni, le parole pace e cessate il fuoco sono state messe al bando e chiunque le pronunciasse, persino Papa Francesco, veniva accusato per sospetto “filoputinismo”, la più grave stigma sociale nel mondo libero.

Occorre ricordare che Zelensky aveva persino vietato le trattative con il Cremlino. Solo due settimane fa, il 28 febbraio, si era recato allo Studio Ovale per ribadire in faccia a Trump, con il favore delle telecamere, che non avrebbe accettato un cessate il fuoco senza garanzie di sicurezza.

Il presidente statunitense lo aveva ricevuto pensando di firmare, da lì a poco, l’accordo quadro sulla cooperazione mineraria. Il presidente ucraino, invece, era lì per rinegoziare le condizioni dell’intesa davanti a tutti i media americani, con tanto di foto dei prigionieri ucraini per catturare l’empatia dell’opinione pubblica statunitense. Come finì lo sappiamo ed è stato solo grazie al lavoro certosino del premier britannico Starmer che è stata possibile una ricomposizione tra Kiev e Washington, come spiega bene il Telegraph.

Era stata raggiunta una soluzione di compromesso: Kiev, sostenuta dai partner europei, avrebbe proposto un cessate il fuoco parziale in cielo ed in mare. Qualche prima di sedersi al tavolo di Geddah, il capo delegazione ucraina, Andriy Ermak, in un editoriale pubblicato sul Guardian, ribadiva la posizione dell’Ucraina. Non è passata. L’Ucraina ha dovuto cedere ed accordarsi per un cessate il fuoco di 30 giorni senza garanzie di sicurezza.

I media hanno dovuto fare una drastica inversione ad U per presentare il risultato del tavolo come un grande successo per l’Ucraina. L’opinione pubblica ci ha messo pochi attimi a dimenticare che una tregua era considerata una sconfitta strategica solo fino a qualche ora prima. Ursula von der Leyen, Emmanuel Macron, Keir Starmer e persino Boris Johnson hanno applaudito come se nulla fosse. “La palla adesso passa a Putin, se vuole davvero porre fine ai combattimenti”, il nuovo leit motive. L’arte di cadere in piedi.


Una trappola malriuscita

In realtà la Russia è sempre stata contraria al cessate il fuoco. L’Occidente pensava di offrire una mela avvelenata, tuttavia Mosca è stata abile nel rilanciare la palla a Kiev, ponendo le sue condizioni.

Può farlo perché è l’attore con più potere negoziale, perché ritiene di avere il tempo dalla sua parte. Mentre Trump ha fretta. Più continuano i combattimenti, più la Russia rafforza la sua posizione con nuove conquiste territoriali, più l’Ucraina si indebolisce, perché perde uomini, equipaggiamento e territori.


Le leve di Mosca

A parte le sanzioni, la Casa Bianca sembra non avere grosse leve da utilizzare. Secondo quanto riporta NBC News, addirittura avrebbe rimosso l’inviato speciale Keith Kellogg perché i russi lo considerano troppo filo-ucraino.  Se ciò fosse vero, significa che il Cremlino gode addirittura di potere di veto sulla scelta dei negoziatori statunitensi.

Oltre al vantaggio militare, una ragione di ciò potrebbe essere che, parallelamente ai colloqui per la pace, Stati Uniti e Russia lavorano per ripristinare le loro relazioni. In conferenza stampa giovedì, Putin ha implicitamente confermato le trattative sulla cooperazione energetica. Sembrano realistiche le notizie sull’offerta di acquisto da parte di investitori americani del  Nord Stream 2 e della filiale tedesca di Rosneft. Washington avrebbe premura di chiudere lo scenario ucraino per fare affari con Mosca in Europa. La pace per i profitti.

Con il suo atteggiamento Putin sta mostrando di dettare i ritmi e le condizioni dei negoziati. Se falliranno, nessuno dei due attori ha troppo da perdere. I russi ritengono di poter raggiungere con mezzi militari i propri obiettivi strategici. Washington potrebbe semplicemente sfilarsi e lasciare l’Europa al suo destino. Sarà l’Ucraina a pagare il prezzo più pesante. E noi a pagare il costo della guerra e della ricostruzione.

Clara Statello

Clara Statello

Clara Statello, laureata in Economia Politica, ha lavorato come corrispondente e autrice per Sputnik Italia, occupandosi principalmente di Sicilia, Mezzogiorno, Mediterraneo, lavoro, mafia, antimafia e militarizzazione del territorio. Appassionata di politica internazionale, collabora con L'Antidiplomatico, Pressenza e Marx21, con l'obiettivo di mostrare quella pluralità di voci, visioni e fatti che non trovano spazio nella stampa mainstream e nella "libera informazione".

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