Venezuela, nuove sanzioni USA e strani attacchi 'da sinistra' alla Rivoluzione Bolivariana
di Geraldina Colotti
Un articolo fotocopia, seppur comparso con firme diverse sia su un grande quotidiano italiano che sulla versione in spagnolo del New York Times (“Champán en medio de la crisis”) compie un’operazione ardita: criticare “da sinistra” la politica economica del governo venezuelano. Dietro la “retorica socialista” di Maduro – dice in sostanza il Nyt, e così la copia italiana – vi sarebbe, in realtà, il ritorno sic e simpliciter alle ricette neoliberiste. “Il ritorno a un capitalismo selvaggio che cancella anni di lotta”, sosterrebbe addirittura Elias Jaua, ex vicepresidente di Chávez, “che tuttavia – scrive il NYT - fa parte della direzione del Partito Socialista Unito del Venezuela”.
Così dice l’articolo: “La nuova economia di libero mercato esclude completamente la metà dei venezuelani che non ha accesso ai dollari. Questa disuguaglianza esacerbata, uno dei grandi fallimenti del capitalismo, mina le pretese di Maduro di preservare l’eredità di una maggiore uguaglianza sociale lasciata dal predecessore, Hugo Chavez, e la sua ‘Rivoluzione bolivariana’”.
Cosa spinge il New York Times a porsi più a sinistra di Bernie Sanders? Cosa spinge un giornale italiano, che ha avallato praticamente tutte le svolte più penalizzanti per le classi popolari italiane a ergersi d’improvviso a paladino del socialismo, di quel socialismo che si dedica quotidianamente a demolire? Parliamo di un giornale che in tutti questi anni ha cercato di convincere i lettori (e gli elettori) che non esiste alcuna alternativa al capitalismo, e che, a questo fine, dipinge come “fallimentare” o come insopportabile dittatura ogni governo che, sia il Venezuela o Cuba, si ponga sul terreno della trasformazione sociale.
Visto il pulpito da cui viene la predica a cosa mira e a chi si rivolge, dunque, una simile operazione di propaganda? Intanto, a seminare confusione, a ribadire la tesi che, senza ricorso al capitalismo, nessun beneficio è possibile per le classi popolari. Serve a presentare il socialismo bolivariano e le contromisure messe in campo dal governo Maduro come disastrose e, comunque, mosse da interessi occulti, proprio nel momento in cui due grossi scandali sono sotto gli occhi di tutti: la denuncia del furto miliardario degli “aiuti umanitari” erogati da Trump, compiuto dall’”autoproclamato” e dalla sua banda, e la conferma del marciume che impregna il sistema politico colombiano, messo in evidenza dalla ex senatrice Aida Merlano, che ha chiesto asilo politico in Venezuela.
A questo fine, i giornalisti evitano di chiedersi: ma se Maduro è diventato d’un tratto più liberista di Trump perché il presidente USA lo sanziona e non lo ringrazia? E perché se il popolo è così represso e maltrattato, non si vedono proteste, ma immense marce di sostegno al governo bolivariano e solo quattro gatti a quelle costantemente convocate dall’estrema destra?
E ancora: se il socialismo bolivariano è un’apparenza e un inganno perché i popoli di tutto il mondo lo difendono? Perché dirigenti politici imbevuti di dubbi e di luoghi comuni dopo aver visto da vicino il Venezuela bolivariano tornano nel proprio paese con un’opinione diversa da quella diffusa dai media egemonici? Sono tutti scemi? O sono tutti irretiti dal “Super Bigote” Maduro, tanto vituperato dall’imperialismo quanto considerato capace di promuovere tempeste in ogni parte dell’America Latina?
La realtà che vivono i venezuelani è assai diversa da quella che raccontano i falsi difensori dell’uguaglianza sociale in casa d’altri: una realtà difficile, dovuta a storture accumulate da ben prima di Chavez, che l’imperialismo si è dedicato ad approfondire con ogni genere di attacco, fuori da ogni legalità internazionale. La differenza con i paesi capitalisti, però, è che qui le coperture sociali non sono mai venute meno, la crisi non la pagano i settori popolari.
I ristoranti pieni di cui parlano questi articoli c’erano anche quando gli scaffali dei supermercati erano vuoti: perché a confiscare i prodotti erano per l’appunto quelli che affollavano i ristoranti di lusso, e che speculavano pagando tasse irrisorie. Anche ora, i commercianti continuano a incamerare le agevolazioni che il governo paga loro in dollari, vendono i prodotti in moneta straniera, però pagano le tasse in bolivar, la moneta nazionale il cui valore è stato polverizzato dall’inflazione indotta.
Per questa ragione, l’Assemblea Nazionale Costituente ha votato in questi giorni una legge che dovrebbe regolare la riscossione delle tasse e le imposte doganali e portare denaro liquido nelle casse dello Stato. L’urgenza principale, infatti, è appunto questa: come far cassa, come fare arrivare denaro liquido per alimentare i piani sociali rivolti ai settori popolari.
A fronte del blocco economico-finanziario imposto dall’imperialismo USA e dai suoi vassalli, il governo bolivariano si sta letteralmente inventando i draghi. Da qui la criptomoneta Petro, la flessibilizzazione del controllo dei cambi, le agevolazioni agli imprenditori che intendano davvero investire nel paese, il sostegno alle piccole e medie imprese, ma anche il nuovo impulso all’economia comunale.
Da qui l’apertura controllata agli investitori esteri, nel quadro delle relazioni internazionali che collocano il Venezuela nel campo che prefigura un mondo multicentrico e multipolare. La visita del ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, che ha ribadito il sostegno al governo Maduro e ha respinto le manovre internazionali dell’estrema destra, dev’essere andata di traverso a molti, sia in Europa che in Nordamerica.
In questi giorni, è arrivato di nuovo a Caracas Luis Rodriguez Zapatero, mediatore in tutti i precedenti tentativi di dialogo tra governo e opposizione, mandati all’aria dall’entrata a gamba tesa dei falchi del Pentagono. Le parti hanno annunciato che è già pronto l’accordo per un nuovo Consejo Nacional Electoral (CNE), il potere elettorale che dovrà gestire le prossime elezioni parlamentari. Per bocca di Timoteo Zambrano, quella parte dell’opposizione moderata che non cerca il golpe, né l’invasione militare del proprio paese, ha ribadito la volontà di dialogo e ha respinto le ingerenze esterne.
In una conferenza stampa che si è svolta all’Hotel Melia di Caracas e alla quale abbiamo partecipato, la vicepresidenta Delcy Rodriguez ha espresso la posizione del governo. Ha detto di aver messo al corrente Zapatero degli importanti passi avanti realizzati in questi mesi, come “i benefici accordati a oltre 236 ex privati di libertà. Numeri che non si conoscono – ha detto – perché il sistema mediatico cerca di occultare la realtà”.
Nella precedente ronda di dialoghi, una telefonata di Trump ha annullato un accordo già firmato dando la stura a una nuova escalation golpista culminata con l’attentato con i droni esplosivi al presidente Maduro e con l’autoproclamazione di Guaidó. Esiste un rischio analogo questa volta?
“Dobbiamo isolare il settore guidato da Juan Guaidó, che ha rubato il denaro del Venezuela – ha risposto Delcy – La natura di questa banda criminale, connivente con gli Stati uniti si evidenzia con le nuove misure coercitive unilaterali, espresse con un inconcepibile e inaccettabile linguaggio volgare”.
In questi giorni, una risoluzione unanime del parlamento, a maggioranza di opposizione, ha deciso di aprire un’inchiesta per chiedere conto a Guaidó e alla sua banda dei fiumi di denaro ricevuti dall’agenzia della CIA, USAID, erogati a Ong di opposizioni o finiti direttamente nelle tasche dei rappresentanti di estrema destra.
Dopo la visita dell’”autoproclamato” in Europa e negli Stati Uniti, Trump ha deciso di imporre sanzioni alla compagnia aerea nazionale venezuelana, Conviasa. “L’imperialismo si è tolto la maschera e attacca direttamente il popolo, colpisce tutti i cittadini – ha detto Rodriguez – perché a chi prende un aereo non si chiede la tessera del PSUV”.
Le nuove misure coercitive mirano a impedire che il governo bolivariano possa andare a riprendersi quei cittadini che si sono pentiti di essere andati all’estero, spinti dalla propaganda, e che finora sono già tornati a migliaia. Impediscono, inoltre, il trasporto di malati in altri paesi dell’America latina con i quali esistono, come con Cuba o Nicaragua, appositi convegni. Impediscono i viaggi all’estero degli atleti nazionali. Colpiscono, poi, i piloti e i lavoratori che vengono sanzionati e ostracizzati, limitati nella possibilità di volare con altre compagnie.
“Contro chi vuole un cambio di governo con la forza, dobbiamo costruire un fronte nazionale in difesa del Venezuela”, ha aggiunto Delcy risaltando l’importanza dello spazio di dialogo con quella parte dell’opposizione contraria all’intervento esterno che chiede un cambiamento di governo, però per via democratica, attraverso le urne.
La vicepresidente ha poi ribadito la ferma volontà del Venezuela a decidere del proprio destino, rivendicando il proprio diritto allo sviluppo economico, in pace e senza ingerenze: “Nella nostra costituzione – ha detto ancora – non c’è scritto che comanda Trump, ma il popolo sovrano. Denunceremo questa nuova ingerenza in tutte le sedi internazionali”.
Il vicepresidente per l’area economica, Tareck El Aissami, ha per parte sua organizzato un’assemblea con i lavoratori di Conviasa alla presenza dei giornalisti. Ha detto che il Venezuela non si piegherà, né tantomeno lascerà soli i lavoratori della compagnia aerea nazionale che – ha assicurato – continuerà a volare, più forte di prima.
E per domani, lunedì, il popolo venezuelano marcerà di nuovo in sostegno ai 2.000 lavoratori di Conviasa e contro le sanzioni dell’imperialismo.